Piccolo manuale di Umanesimo ateo

Il perché e il percome di una vita senza dèi.

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Intro
Prima parte / Un leggerissimo cambiamento
1. Allora, chi è Dio?
2. Quali prove abbiamo che esiste un dio?
3. Che bisogno c'è di credere?
4. Ma se Dio non c'è, come può l'uomo essere buono?
5. In cosa credere? Il cuore dell'Umanesimo
Seconda parte / Cosa dice la Chiesa
6. Perché ci battezzano?
7. A che serve la prima comunione?
8. Un dio così ci rende schiavi

9. Il male, il peccato, il sesso
Terza parte / Quello che la Chiesa non dice
10. Le bugie della Bibbia
11. Credenze cristiane tutte da verificare
12. I brutti esempi di chi predica il Bene
Help & Tips / I trucchi della comunicazione
Finale
Appendice A / I comandamenti: 10 …o 40?
Appendice B / Il peccato originale
Bibliografia

Terza parte

Quello che la Chiesa non dice. Perché i fatti parlano chiaro

Se nella prima parte abbiamo visto che l’esistenza di Dio come minimo è dubbia, e nella seconda abbiamo scoperto e criticato alcuni princìpi e metodi della religione cristiana e cattolica, ora ci soffermiamo sui fatti.
Nella bibbia tutto è vero e corretto? Le credenze dei cristiani sono tutte affidabili? Il comportamento della Chiesa è sempre stato illuminato da Dio? La risposta è ovvia… già, come risulterà chiaro dopo aver letto questo incredibile capitolo.

Non avendo preconcetti né fini diversi dalla verità, ho cominciato a informarmi senza l’intento di provare la bibbia falsa o la chiesa meschina. Che sia così mi è diventato chiaro nel corso degli studi, via via che toccavo con mano tutto quello che poi ho scritto. I conti, infatti, non tornano: basta andare un po’ oltre le solite semplici affascinanti 4 cose che si raccontano, per notare tante imperfezioni – grandi e piccole – nell’ispirata storia del Cristianesimo, e nel suo libro sacro.
La relazione che stai per leggere è frutto di una estesa ricerca, svolta sulle fonti più importanti e attendibili, con spirito obiettivo e aperto. Ne scaturisce con chiarezza un ritratto sgradevole, imbarazzante, a volte indigesto, e coerente con le osservazioni precedenti.
Non ho una formazione accademica, lascio questo obiettivo professionale ad altri: le migliori scoperte della storia e della scienza, le risposte della teologia e i commenti dell’apologetica da leggere e confrontare sono oggi a disposizione di tutti. Non ci si mette molto a scoprire chi lavora con buon metodo e senza scopi nascosti, e chi – magari vantando lauree e copertine – invece no, e serve molto meno di una cattedra per capire se una fede regge, se una dottrina fa acqua per storia, logica ed etica, e se quindi vale veramente la pena di sceglierla, viverla, difenderla. La verità sulle religioni oggi è alla portata di chiunque. Rinvenirla sta a noi, perché limitarsi alle fonti più ovvie senza una verifica è facile, fermarsi agli altrui giudizi (e pregiudizi) è sciocco, di abili chiacchieroni è pieno il mondo e tuttavia, in mezzo a queste impurità essa ci attende.
Poi, rimanere pronti ad accogliere eventuali nuovi buoni argomenti. È così che ci si arriva, alla verità, o il più vicino ad essa che sia effettivamente possibile. Dalla sua prima versione, anche il Piccolo manuale è migliorato molto.
Con vero piacere allora, ecco le mie conclusioni. Mi raccomando: se anche le trovassi illuminanti non farne subito oro colato, prima confrontale, discutile, riflettici, verifica, se serve lima, pulisci, aggiungi e migliora… allora saranno tue.

10. Le bugie della Bibbia

Chissà quante volte ti hanno detto che la Bibbia contiene tutti fatti veri e indiscutibili. Si dice che il Vecchio e il Nuovo Testamento sono proprio la ‘Parola di Dio’, cioè sono giusti, stragiusti, supergiusti al 100%, perché sono ispirati direttamente da Lui e Lui non può sbagliare. Probabilmente nessuno, tra i credenti che conosci, mette in discussione questa idea.
La questione è essenziale, perché è questa ispirazione divina che rende la Bibbia autorevole, e degni di fede i suoi insegnamenti, noiosi e irritanti che siano.
Eppure… Eppure non è così.
Studi importanti sull’origine della Bibbia (anche della moderna critica cattolica liberale [sì, esiste]) concludono che tali testi sono nient’altro – attenzione – che racconti tramandati a voce, poi scritti da persone diverse e in tempi diversi senza grande precisione, per sviluppare una teologia più che fare storia. In essi vengono raccolte ed elaborate idee ebraiche e di altri, in forma di eventi e regole soprannaturali anziché umane, poi sottoposti lungo i secoli a fantasiose aggiunte, traduzioni capricciose e convenienti interpretazioni.
È un puzzle, ideato e scritto da semplici uomini, come tutti i libri sacri, il cui messaggio – frammentato, anche inesatto, a volte inconciliabile e in parte oscuro – proprio per la sua approssimazione ed evanescenza di fondo è possibile ricomporre in modi diversi.
Bibbia che cerchi, bibbia che trovi…
Il che, se ha sempre affaticato gli storici, ha fatto il gioco dei tanti difensori della fede. Ecco perché da cristiani si può essere evangelici, anglicani, ortodossi, cattolici e quant’altro, perché gli ebrei e i musulmani possono restare tali, perché si può credere ad altri dèi, e perché di conseguenza… è possibile, legittimo e sensato il non credere affatto.

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D’accordo che uno crede in quello che gli piace, ma meglio qualcosa che dia una certa garanzia di autenticità, no?

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Da sapere: alcuni, di fronte all’evidenza di questi e altri errori, produrranno spiegazioni d’ogni tipo per dimostrarne invece la divina coerenza. Ma il vestitino teologico non sempre nasconde contenuti: se senti puzza di dogma o le info non ti convincono, non sentirti obbligato/a a crederci.
Altri, poi, si affretteranno a minimizzare come niente fosse, dicendo che fra noi e Dio il succo è ‘ben altro’. Ah sì? Ma se dimostriamo che la Bibbia traballa, che Dio non esiste, e che non è affatto la fonte del buono, che succo rimane?

E bada che non le ho inventate io queste notizie, sono fatti che puoi verificare. Stanno lì, nella bibbia stessa, nella storia, nel lavoro dei critici, e nello stridente contrasto con l’etica umana.
Eppure, certe cose saranno lo stesso considerate ‘blasfeme’, cioè false, offensive, corrotte e crudeli. Perciò, sarà meglio usare un po’ di tatto nel parlarne in giro, soprattutto con persone particolari: ad esempio qualcuno, molto credente, potrebbe dispiacersi davvero tanto, nel capire che ha sempre avuto torto. Alcuni saranno aperti e rispettosi, di certo persino interessati, ma qualcun altro potrebbe sentirsi molto colpito/a e chiudersi in difesa, o non tollerare che tu abbia un’opinione tua e informazioni contrarie sull’argomento. Allora, invece di ascoltarti, potrebbe prenderti in giro, o farti sgradevoli pressioni, persino cercare di intimidirti in qualche modo… come se avere ragione così avesse qualche valore! Non sarebbe affatto giusto, perché ogni Essere Umano ha diritto alle sue idee, e siamo d’accordo che non te lo meriteresti proprio: non solo avere idee proprie è una cosa lodevole, ma avresti anche ragione tu sull’argomento… Una reazione esagerata, quella, che si può capire: certe persone per prima cosa non accettano che si mettano in dubbio le loro certezze, e non gradiscono opinioni diverse, soprattutto se evidenziano errori e limiti di una visione di vita in cui hanno investito sé stessi da capo a piedi. Così li tengono nascosti o non ci pensano, e alzano il volume del gregoriano quando ne sentono parlare, senza curarsi delle orecchie altrui. Ma questo non cancella i problemi della fede, anzi, semmai li inasprisce.
Se ti capita di parlare di queste cose con persone così, ti do un consiglio, meglio un po’ per volta, così assaggi le loro reazioni e decidi se ti va di approfondire, se vale la pena di ascoltare, e a tua volta spiegare. Non è detto che tu debba per forza farlo: a volte è meglio nemmeno iniziare l’argomento, con chi è più pronto/a a predicare e litigare che a ragionare con te.
Invece, parlane liberamente con chi sai che rispetta di sicuro la tua opinione (il che non vuol dire essere sempre d’accordo) ed è ben disposto/a al dialogo. Tieni conto che è vero che gli adulti hanno più esperienza e nozioni dei giovani, ma l’età non dà automaticamente ragione né rende per forza migliori. Che esperienze, che nozioni?

A qualcuno non piace ammetterlo ma anche i genitori e i professori, i preti e i papi possono sbagliare. Se una cosa è vera o buona si capisce guardando i fatti e camminando insieme.

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Sta’ a sentire, e fatti un’idea:

La nascita di Gesù fu annunciata da una stella cometa
Cominciamo bene! Quella dell’annunciazione di dèi ed eroi tramite stella era una credenza molto diffusa ancor prima del cristianesimo: si vuole, ad esempio, che la nascita del dio Horus in Egitto e di Krishna in India (1400 AEC) furono così notificate, come quella del re Mitridate, di Giulio Cesare ed altri ancora. In qualche modo, il cielo si accorgeva sempre di tutti loro, e non mancava di rendere omaggio. Per l’evangelista Matteo Gesù non poteva essere da meno, perciò si aggrega alla leggenda aggiungendo la visita di tre astrologi orientali (che, per inciso, non dice essere dei re) come a dare un tocco di credibilità. Sorprende però – quanto appunto a credibilità – che sia il solo, di tutti gli autori del Nuovo – anzi, del tempo – a riportare un segnale così bello, significativo, ed evidente a tutti. È chiaro piuttosto che si tratta di una trovata da teatro del solito Matteo.
Un fenomeno astronomico particolare, una luminosità speciale nel cielo dovuta alla congiunzione di due pianeti, Giove e Saturno, fu effettivamente osservato nel 7 AEC. Ma sono 7 anni prima del tempo, e non si trattò affatto di una stella (la bibbia CEI fa suo in una nota il triste espediente del fenomeno atmosferico, in totale contrasto con il testuale greco aster, e con l’idea del suo movimento nei cieli ad uso dei magi).

Gesù era figlio unico
Così dicono… ma sembra proprio il contrario: nei vangeli è scritto piuttosto chiaro che Gesù aveva 4 fratelli e almeno due sorelle (es. Mc 6,3 e 3,31-34; Mt 1,25 e 13,55-56 e 12,46-50; Lc 8,19-21; Gv 7,3-5; At 1,13-14). Molto imbarazzante per la Chiesa, che ha pure stabilito il dogma della verginità perpetua di Maria…
Nel tentativo di trovare un accomodamento, alcuni dicono che fratelli va inteso come ‘amici intimi, fratelli di sangue’. Tuttavia, se è verissimo che il senso è tale in altri passi del NT, non lo è per questi, in cui specificamente ci sono la madre e i figli, in mezzo ad apostoli e discepoli.
Per altri allora si devono intendere come ‘fratellastri’, cioè figli di Giuseppe da un suo primo matrimonio. Ma è una totale fantasia senza riscontro alcuno. Comodo, eh? In ultimo, i fratelli diventano… cugini! «In antico ebraico, la stessa parola indicava sia fratello che cugino», dicono. Giusto! Peccato che in lingua greca la differenza si poteva fare, eccome. E nei vangeli scritti in greco (le copie a noi rimaste degli originali scomparsi) si usa proprio un’altra parola quando si deve dire ‘cugino’ (anepsiós), e non ‘fratello’ (adelfós).
Gesù è definito il primogenito. La parola era usata anche per indicare il primo e unico figlio, sarà questo il caso? Ma perché servirsi di una parola ambigua, sapendo di parlare per certo di un figlio unico e così singolare? Forse perché appunto… non lo si sapeva affatto? La bibbia lascia dunque pochi dubbi sulla questione. E allora perché ritenere 100% vera l’ipotesi più improbabile, fino a farci un dogma (solo cattolico)? La risposta è semplice: se era 100% vera non c'era bisogno di nessun dogma, si crea ‘una verità di fede’ proprio perché non dimostrabile come si deve. Chi ha voglia di crederci? Tu? Tu? E tu, là dietro?

La Madonna, quando ebbe Gesù, era vergine
I vangeli di Marco e di Giovanni non ne parlano. E quelli di Matteo e Luca dicono cose diverse tra loro. Comunque, anche la verginità della Madonna è un’idea elaborata successivamente a miti simili assai diffusi: non solo vi sono nella bibbia stessa diversi esempi di gravidanze impossibili risolte da Dio (es. Sara e Rebecca in genesi, Elisabetta in Luca [Lc 1,36]), ma ai fondatori di diverse religioni del passato, così come a re e faraoni, politici ed eroi, uomini saggi e santi, si era soliti attribuire una nascita miracolosa (persino quando le loro radici erano risapute, come per Buddha). Tanto era il desiderio dei seguaci di credere – e far intendere – che fossero mitici.

Se davvero fosse stata vergine, davvero la sua gravidanza annunciata da un angelo, un figlio così speciale, magi e pastori (avvisati in modo alquanto spettacolare) chiamati a testimoniare l’evento della nascita, e dopo la strage di bambini che avrebbe colpito l’intero territorio, davvero tutti se ne sarebbero infischiati di loro per i successivi 30 anni (cfr Lc 2,52), fino alla ‘vita pubblica’ di Gesù, come i vangeli affermano? Un punto essenziale, no?

Il testo dell’episodio non aiuta. Al contrario, una serie di dettagli incongruenti con l’eccezionalità della situazione fa pensare che sia stato semplicemente costruito e appiccicato in testa dagli autori per dar lustro al nuovo personaggio: l’angelo che ‘entra’ e non ‘appare’ a Maria, lei che resta turbata dal suo saluto e non dalla sua stessa presenza, lei che risponde ‘non conosco uomo’ (qui conoscere vale per: avere rapporti sessuali) come una donna poco seria (la risposta più ovvia, ma certo di minore effetto, di una promessa sposa sarebbe stata ‘non conosco ancora il mio uomo’), i due genitori che continuano a ‘stupirsi’ di ciò che si diceva del figlio, sacerdoti persiani che citano le Scritture ebraiche… Una successione di eventi che solo ciascuno di loro pare conoscere, dichiaratamente capitati affinché si compissero certe presunte profezie. Storie a sé stanti che si chiudono lì in entrambi gli autori, e mai più vi si accenna in tutto il Testamento.

Ma ammettiamo per un momento che Maria abbia concepito Gesù con un miracolo, senza aver fatto l’amore con Giuseppe. Poi ha partorito, no? Ed è impossibile fare un figlio e rimanere vergine. Fu forse un altro miracolo? Ah, sì, il miracolo di un concilio nel 649. E poi? Altri ancora – una raffica – per farla rimanere vergine dopo il concepimento (stavolta sì grazie a Giuseppe) e il parto dei suoi altri figli e figlie? Supponiamo pure che non ne ebbero: perché mai una coppia ebrea sposata e devota non dovrebbe aver avuto altri rapporti, nell’ordinario intento di allargare la famiglia (cfr Mt 1,25 nell’originale greco: ‘non la conobbe, finché [eòs] partorì il suo primogenito’. Perché usare un’espressione che rende incerta la verità, se verità era?)? Per considerare Maria vergine ci vuole proprio tanta fede. Deve saltare anche all’occhio del cristiano quanto questa credenza sia stirata all’eccesso.
Così in effetti, il mondo protestante ha rifiutato il dogma cattolico della ‘perpetua verginità’. Ma ci vorrebbe più coraggio ancora per ammettere la debolezza dell’intera faccenda, se non altro considerando quanto più è possibile la strada naturale della semplice bugia dettata da un bisogno legittimo, nella situazione di una ragazza che si ritrova incinta senza aver avuto rapporti con il marito. Altra riflessione: e se avesse fatto solo del petting, e dello sperma caduto vicino avesse trovato la sua strada? Niente di nuovo, succede. E ancora: visto che il dogma stesso sostiene la verginità dopo il parto di un bimbo, non sarebbe forse rimasta intatta, a maggior ragione, dopo un semplice rapporto sessuale? Si comparino le proporzioni. Dunque come può sostenere il contributo divino, per non parlare delle purezza della giovane?
È un coraggio che è difficile chiedere a chi è abituato ad arrendersi e accettare certi ‘misteri’, ma resta una scelta personale pur sempre possibile. Ciò che possiamo anche fare è prevenire, evitando ai nostri bambini di assumere questa forma mentis, in modo che sappiano misurarsi con le illusioni.

Che poi, la verginità di questa donna si fonda su una profezia del VT citata a occhio in Matteo, cioè Isaia 7,14. Sembra facile, diresti che la chiesa stavolta ci azzecca? Puntualmente no!
La ‘profezia’ (“Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”) infatti, soffre di tre grandi difetti, ciascuno dei quali è sufficiente a finirla. Come già per l’affare dei ‘cugini’ di Gesù, anche qui si gioca con la traduzione: la fonte greca di Matteo usa parthenos (giovane donna, vergine), ma nel testo ebraico originale l’autore scelse almah, che significa solo giovane donna (vergine o meno), e non invece betulah (vergine, appunto). Ma le parole che esistono a fare? Non solo: mica vi si parla di dio, mica si esclude il rapporto con un uomo! Insomma c’è una giovane, oggi vergine, che poi concepirà un figlio. Una frase che è straordinariamente normale, per essere l’annuncio di un’idea tanto nuova, di un evento eccezionale.
Il secondo difetto è evidente: il nome del ragazzo che tanti adorano non è stato Emmanuele, né in senso letterale, né come titolo (esattamente: Dio è con noi), mentre in Isaia sì. Infine, dozzine di nomi nella bibbia esprimono concetti su Dio: perché stavolta questo dovrebbe indicare che il bimbo è effettivamente dio?
Terzo e ultimo? Ma è che quelle parole si riferiscono alla situazione del tempo! Nel passo, Isaia parla al suo re circa un’alleanza contro di lui e di un segno imminente, non di un miracolo futuro, il contesto è chiarissimo e non si riferisce ad altro. Per questi motivi, dal tempo di Isaia solo con Matteo i cristiani si sono presi la libertà di rendere almah e parthenos nel doppio senso di giovane che concepirà un figlio tra poco, e vergine incinta di dio 700 anni più tardi. Ingegnoso, eh?
Dall’equivoca traduzione di una parola, si parte per far dire al passo ciò che non dice, fino a creare una profezia e qualche dogma di fede. Questa scelta è arbitraria, ma se basta la fede…

E quanto chiasso attorno a questa verginità! Che Maria non abbia mai fatto l’amore con l’uomo che ha sposato, per tanti cattolici è degno di rapita venerazione, e un piccolo lembo di pelle sembra fare scudo alle impurità del mondo. Poi dicono che non hanno problemi con il sesso.

Gesù visse 33 anni, morì e poi risorse
No. Probabilmente Gesù fu crocifisso durante la pasqua dell’anno 30 EC e dovrebbe essere nato tra il 9 AEC e il 4 EC (i vangeli su questo si contraddicono). Persino l’anno zero è sbagliato! Questo per parlare di storia, e non del dio-agnello-salvatore-amico-che-cammina-con-te del cristianesimo di oggi, che è solo un rigonfiamento della fede.
Infatti, non c’è fonte sicura a provarlo: oh che strano!, nessuno storico, filosofo o letterato del suo tempo ne parla. Filone di Alessandria (20 AEC-50 EC), Giuseppe Flavio (37-95 EC), Tacito, Seneca, Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Plutarco, Svetonio… studiosi che hanno riempito libri e libri e ancora libri su uomini, eventi naturali, fatti e fatterelli anche molto meno importanti, di quei precisi luoghi, eppure nessuno scrive di lui né della sua ‘rivoluzione’, sulla sua pazzesca nascita, gli incredibili miracoli, le guarigioni, le folle al seguito, e nemmeno sulla sua resurrezione… Dico, e che resurrezione! Imbarazzaaaaante.
Si accenna (molti anni dopo) ai primi cristiani, cioè all’esistenza di un gruppo che credeva a un certo leggendario maestro, e non si dedicano che poche, vaghe e indifferenti righe al maestro stesso. Decisamente debole come prova storica, di un uomo che si suppone abbia stravolto quel mondo. Si vede che in realtà c’era poco da dire… tranne per i suoi fedeli compagni e tutti quelli che in seguito credettero alle loro voci. Già, perché per decine d’anni fu il gioco del telefono – fra persone di cultura diversa, in città distanti, in lingue differenti – tutti che ripetevano ciò che avevano capito di ciò che gli era stato riferito da amici di amici di amici. Del resto nemmeno Gesù si preoccupò – poco furbamente – di scrivere o dettare un bel testo riassuntivo dei suoi insegnamenti, da lasciare in tante belle copie autografe come eredità chiara e sicura. Boh. Se riteneva il proprio messaggio e il proprio sacrificio tanto essenziali alla salvezza, perché incarnarsi ma poi lasciare che ciò assumesse i contorni del mito? Perché da risorto non farsi vedere da tutti, anziché dai discepoli, guarda un po’ i soli a raccontarlo? Di più: perché non farsi vedere mentre risorgeva dalla morte? Invece non lascia che un buco vuoto. Da riempire a piacere.
Così, gli unici che abbondano in dettagli saranno proprio… i cristiani. «Cristo-Dio esiste perché lo diciamo noi, eh-eh!». È come se io scrivessi un libro sulla mia capacità di volare, e poi per provare che è vero dicessi «C’è scritto nel mio libro». Ceeeerto, cosa si vorrà di più, mica una prova vera?
Al massimo si può dire che un Gesù-uomo visse, e che in certe cose fu un grande… Ma da lì, provare che era un dio e risorse, richiede tutt’un altro sforzo, più intenso che andare da re Artù a Excalibur. Invece, piano piano i primi cristiani rappezzano un pugno di indizi storici con una sfilza di fantasiose credenze, principalmente ebraiche, e per un motivo o per l’altro fanno di un maestro un Dio: come fedele cronaca dei tempi, i vangeli non saranno granché, ma per seminare un’ideologia sono perfetti… Questo lo sapeva anche Paolo, uno che ha avuto una parte decisiva nel rivedere e diffondere il pensiero di Gesù. Un bel record, per non averlo mai conosciuto.

Il buon Gesù, reso divino dalla testardaggine umana, con l’occhio della fede possiede i tratti mitici (stirpe divina, nascita prodigiosa, gesta e miracoli, detti e sagge verità, avversari malvagi, viaggi negli inferi, sacrificio e ritorno, mediazione e salvezza) che fedeli di ogni tempo hanno creduto di numerosi dèi (più volte in gruppi di tre, come le precedenti Trimurti indiana e Triade capitolina), eroi e maestri (ciascuno a suo modo), già da millenni prima. Osiride e Horus (Egitto, 4000 AEC), Krishna (India, 1200 AEC) Zarathustra (Persia, 700 AEC), Inanna, Buddha, Dioniso, Perseo, Eracle, Ercole, Attis, Mitra, Romolo/Quirino, Castore e Polluce, Asclepio, Pitagora, Augusto… E le storie di quei maestri e dèi, che vissero prima, sono considerate mitologia per creduloni. Quelle.

Idee niente affatto nuove, ma vecchie trame di religioni e leggende, di cronache (Plinio il Vecchio per es. riporta numerosi casi di ‘risorti’), arti (es. Iliade e Odissea di Omero) e filosofie (es. Platone in Repubblica [4° secolo AEC] narra di Er, tornato vivo dopo ben 12 giorni dall'aldilà, dove osservò pure un sistema di giudizio buoni/cattivi). Miseramente provate e quindi credute, se credute, soltanto per fede. Eppure seguaci non mancano mai. Straordinarie testimonianze della solita storia – c’è un personaggio ammirato, via via spontaneamente glorificato da chi lo ama, le cui doti nel tempo si fanno più numerose, le azioni epiche, le intenzioni esemplari… Umano, come umano è che quando si crede totalmente in qualcosa tendiamo a vederla universale, perfetta e per tutti, anche più di quanto davvero non sia. Lezione sulla facilità con cui gli uomini sanno creare e credere ai loro miti, con tutto il cuore.
Proprio l’episodio della resurrezione così testimonia, di fatto, da Paolo a Marco a Giovanni, nell’arco di quasi 70 anni. Era (ed è!) una tendenza popolare riconosciuta, psicologia già vista non solo in campo religioso, perché per Gesù non dovrebbe essere stato lo stesso? Forse perché ancora molti ci credono? Ma crederci da tanto – o crederci in tanti – non sono indicatori di verità. Allora l’Induismo ha più di 4000 anni (ed è sostenuto da 900 milioni di persone), l’Ebraismo 3000, il Buddhismo 2500, l’Islam ha da tempo superato in diffusione il Cattolicesimo…

Non portate miliardi di fedeli, ma 1 sola prova.

Il fatto è che più o meno tutte le religioni nascono per motivi simili e si basano per natura su elementi simili. Poi ciascuna ci cuce un suo lenzuolo di speranza, e ci si copre. Non è dunque che il cristianesimo abbia copiato di sana pianta, no. Per Gesù, il suo gruppo e poi quelli che scrissero i vangeli non era una gara di carta carbone (per nessuno lo era)… Peraltro è naturale che sentirono la spinta e l’ispirazione di idee e tradizioni che avevano tutt’intorno, comunque i libri del primo Testamento erano già fonte di spunti impagabile: cresciuti sotto queste forti influenze e assuefatti a spiegazioni pre-scientifiche, abituati fin da piccoli a usare la fede, e in seguito a caccia di proseliti in competizione diretta con gli altri culti, si fecero convinti di un affascinante, in parte nuovo e certamente utile ‘cammino di salvezza’, che nutrì la loro speranza di cambiare le cose in quel difficile periodo della storia.
Bastò per loro. Ma quel cammino così particolare, pur venendo dall'ebraismo e da ebrei, tuttavia durante la vita del maestro proprio non convinse la gran parte di essi, per la quale certe idee erano in realtà una grossa forzatura delle Scritture – che finiranno nel Vecchio Testamento cristiano, ma allora erano tutto ciò che di sacro c’era – e non vide cose tali da fugare i dubbi che suscitavano. La sua stessa famiglia si interrogava su di lui, e alcuni discepoli non si persuasero perfino della sua resurrezione (Mt 28,17; cfr Lc 24,16 e Gv 20,14). Come sarebbe stato possibile, fosse stata reale, evidente, osservabile, inequivocabile? Così infatti, la leggenda di quest’uomo prese piede dopo, altrove, e per merito di altri.

Tutto questo è significativo: non del fatto che allora avessero ragione gli ebrei, che la loro fede fosse più fondata di quell’altra, ma che non ci fossero prove sufficienti per nessuno. La gran massa di compaesani che poté testimoniare di persona era legata a una tradizione che gli diceva che Gesù non possedeva i requisiti nemmeno per essere il Messia: erano forse troppo presi da essa – diremmo, accecati dalla fede – da non riconoscere la verità? Sarebbe pazzesco eh? In effetti sarebbe la prova provata di quanto inaffidabile sia una certezza basata sulla fede, e quindi proprio i cristiani che a tutt'oggi vi ricorrono dovrebbero rifletterci profondamente. Invero infatti, non essendoci riscontri soddisfacenti nemmeno di quanto il gruppo di Gesù andava predicando, è possibile dire che anche per essi era questione di fede e interpretazione, ovvero che entrambe le fazioni, distinte sul piano dottrinale, commettevano lo stesso identico errore abbandonandosi a quella voglia di credere che si rinfacciavano l'una con l'altra. Simili racconti in realtà mancano tutti di dimostrazione, dal primo all’ultimo ‘dio’, e quindi non ci aiutano a capire, al di là della fede, se oltre ad essere creduti veri… erano anche veri. Letti, per così dire, terra-terra invece, se ne capisce l’origine, il fine, tutto.
Della stessa resurrezione, evento chiave del cristianesimo, i vangeli danno versioni contrastanti e inconciliabili. Che pensarne? Che di cronache disordinate e vacillanti qualsiasi spiegazione naturale, anche la più incredibile, è più plausibile di una sovrannaturale. E qui ce ne sono di quelle (es. reazione emotiva ad estrema delusione esistenziale [la psicologia sa che forza possa avere], allucinazioni, corpo sottratto o sepolto altrove, Gesù sopravvissuto alla croce [non sarebbe stato il primo, ci dice la storia], esperienza di pre-morte, bugia a fin di bene, un sosia, episodio tutto inventato, …o in mix di essi) che non si possono proprio escludere.

Niente è impossibile, in teoria, nemmeno risorgere: ma se succede nessuna fede serve, se invece non succede nessuna fede basta.

Pensiamo agli apostoli: il Messia non libera nessuno, non porta la pace, e muore. Immagina la delusione immensa, il dolore allucinante… il loro orgoglio fatto a pezzi, la profonda vergogna, l'angoscia sconfinata e lo smarrimento per il futuro… e la fede che li portò fin lì, a cui non volevano – e forse non sapevano – rinunciare, anziché ammettere con sé stessi di averla riposta in qualcosa che andò completamente storto: la potenza tragica di una simile miscela di sentimenti ed emozioni sarebbe stata incredibile, persino intollerabile. Possono forse aver rivisto e parlato col Maestro in una visione – del tipo oggi ben documentato, in cui persone comuni sconvolte dalla perdita di un caro assicurano di averlo fatto? Di certo sì. Essendo all’oscuro del fenomeno come risposta psicologica, non dovettero far altro che inquadrare la cosa nei semplici termini che gli consentiva la loro ignoranza e la loro fede. E ancora: per resistere, per sopportare quel peso spaventoso, è anche possibile supporre una reazione inconscia – anch’essa osservata in tante situazioni analoghe – che riconciliasse ciò che avevano creduto con l’opposta realtà dei fatti: «Doveva andare così… Sì, niente paura! Gesù non è morto – si è sacrificato per noi, e poi è risorto! Eccolo, è là, lo vedo! Andiamo, andiamo a dirlo a tutti!». Ipotesi estrema? Oh sì, così come doveva essere per loro la situazione.
Tentare una estrema razionalizzazione può venire istintivo, in questi casi, e crederci, crederci è tanto più facile quanto più fossimo già abituati a non domandare prove da tutta una vita. Così, si attenua il dolore, e si salva il proprio credo.
C’è la possibilità che sia andata così?

Bisogna ammettere che la dinamica ci è nota, ne conosciamo numerosissimi casi: laddove gli eventi contraddicono una nostra convinzione irrinunciabile, o stravolgono il nostro equilibrio emotivo, si può arrivare a una spiegazione che compensi la dissonanza cognitiva, che ci aiuti a negare i fatti e rimuoverli, risuscitando la speranza. Una che ci consenta di andare avanti, eppure di restare indietro. E sia anche illusoria, inverosimile, illogica e infondata, il suo senso sta nel proteggerci dall’urto della realtà e nel salvarci dall’incoerenza in cui siamo precipitati, e dunque andrà ciecamente abbracciata e difesa ad ogni costo.

Perdoni il credente questa mondana ricostruzione, come pure quella su Maria, ma non stiamo minimizzando i fatti. Al contrario, è una lettura fideistica che li gonfia di regola oltre misura. Restiamo pure aperti all’incredibile, ma è un errore prenderlo per buono senza motivo, cioè escludere a priori l’ipotesi naturale.
Considerata dunque la regolarità delle leggi fisiche, e per contro gli innumerevoli casi in cui persone hanno inconsciamente razionalizzato, confuso, o mentito, via via ingigantito, interpretato grossolanamente o magari solo ricordato male, date poi queste possibilità realisticamente più semplici, e il fatto che anche in questo caso non disponiamo che di testimonianze secondarie, disarmoniche e di parte, su un singolo episodio così antico: c’è o no la ferma possibilità che sia falso e illegittimo? E dunque, che ragione resta per credervi?

Anche se volessimo escluderle tutte, se pure avessimo delle prove consistenti e non delle dichiarazioni di 4a mano ansiose di fede e speranza… una resurrezione non ne farebbe con certezza un dio lui stesso. Come al solito è sempre possibile immaginare spiegazioni fuori dal normale, e fra le tante c’è chi predilige quella dell’intervento di Dio. Ma di fronte a una simile massa di dubbi, l’unica certezza è che affidarsi a una fede vale come il due di denari con briscola a coppe. Di nuovo, è una questione di metodo: la fede non tende alla verità, la presuppone. Perciò è utile come pettinarsi per risolvere un’addizione.

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Sia stato davvero una grande persona (saggio, guaritore, innovatore, …), perché non prendere i suoi messaggi più felici – e poi anche quelli degli altri grandissimi maestri della storia – adattarli dove serve, farli nostri dentro e viverli?
Basterebbe, funzionerebbe? Certo! Possono reggersi da soli senza obbligare all’adorazione del messaggero, all’identificazione con esso, e alla sopportazione di un ginepraio di dottrina? Naturalmente! Vanno scomodati gli dèi a loro garanzia? Niente affatto! Dobbiamo per forza anche essere ‘salvati’? No, questa è un’idea extra, allestita per farci sentire sbagliati e sperare a oltranza…
Certo invocando il divino tutto sembra più fantastiglioso, e forse allora aveva una sua utilità, ma oggi? A mio avviso è la maturità, non più la convenienza, la paura o il desiderio, che deve decidere.

Gesù è Dio
Cosa? Gesù non si è mai definito Dio. Proprio non ha mai detto questo di sé!
In nessuno dei vangeli si fa dire a Gesù una simile importante affermazione. Nemmeno in Atti e Lettere degli apostoli si conosce una Trinità, persino Paolo non osa fino a lì. Nessuna traccia, niente, nada, nicht, nothing, rien de rien! Predicava sì di avere una specialissima relazione con dio, dicevano ne fosse il figlio (ma si diceva anche di altri: nel VT di angeli e re, come nel mondo ellenico di eroi e pii uomini), ok, ma da lì a essere la divinità in persona ce ne passa!
Basta leggere la bibbia, eh, suvvia: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio» (Lc 18,19), e «…perché il Padre è più grande di me» (Gv 14,28. Anche: Gv 20,30-31).
Perché non ha detto «Signore e signori sì, io sono proprio Dio. Perché Dio è Uno e anche Trino, siamo Io, il Padre e lo Spirito Santo. Beccatevi questa. Domande?»?
Non sarebbe stato capito? Veramente era lì per questo. E gente pronta a credere, su cose così, non manca mai.
Mai chiaramente disse di essere Dio, né Una di ‘tre Persone’. Ciò che troviamo sono accenni e allusioni interpretabili a piacere, concentrate soprattutto nel quarto vangelo, il più tardo (di almeno 60 anni dopo), nato lontano (nella comunità orientale dell’Impero) e intriso di una teologia sostanzialmente diversa, frutto di progressiva idealizzazione e di contaminazioni culturali (perché offerta da Gentili ai Gentili), nell’intento di diffondersi e affermarsi fra gente avvezza a concetti simili. Per la mentalità pre-scientifica e superstiziosa del tempo, un tipo come Gesù poteva certamente suscitare la sensazione di essere un uomo di Dio. Ma mentre nei sinottici – e in particolare in Marco (il vangelo più antico) – lo si fa parlare principalmente del Regno, quasi mai di sé e distinguendosi da Dio al punto da far persino dubitare avesse coscienza e desiderio di un suo ruolo centrale, solo nel 4° troviamo un Gesù che si compiace di definire sé stesso in senso ambiguamente super-umano. Fosse stato vero, difficile credere che i 3 vangeli precedenti avrebbero omesso una cosa del genere.
E… se anche l’avesse detto? Che garanzie ci sono che dicesse la verità? Come l’ha provato in vita? In nessun modo soddisfacente e conclusivo, per essere un dio. La resurrezione? Ma fu risorto da Dio, nei vangeli è chiaro e tondo! Nemmeno i suoi miracoli, ammettendoli con l’audacia di chi non ha le prove, ne fanno più di un tizio strano con un superpotere (e infatti più o meno questo si diceva degli altri guaritori, all’epoca). Forse è per questo che non lo disse, ovvero che non glielo fecero dire mentre imbastivano i vangeli: sarebbe stata una responsabilità troppo grossa, e prove decisive dovevano darsi, meglio tenere tutto sul confuso, così che la verità fosse marionettabile a piacere con la scusa che tanto serve la fede. Ancora oggi continuano a nascere religioni e sette per mezzo di ‘testimonianze’, ‘esperienze’, interpretazioni ‘ispirate’, libri ‘sacri’, sedicenti ‘vicari’ e ‘visioni divine’… Sempre lo stesso meccanismo: le stesse esigenze, la stessa fede, le stesse inconsistenti – inesistenti – prove.
Se un credente in altro dio ti venisse a dire lo stesso, con lo stesso tipo di dimostrazioni, gli crederesti? Prenditi un momento per rifletterci.

Sia chiaro dunque che nei primi tempi la comunità cristiana non era per nulla convinta della consustanzialità di 3 dèi in uno. La trinità di oggi – smacco alla logica, alla chiarezza e alla bibbia stessa (v. Es 20,3; Dt 6,4; Nm 23,19; Is 45,5 e 46,9; Mc 13,32; Mt 12,31-32 e 20,23; Gv 5,30 e 14,28; Rm 5,15; 1 Cor 3,23 e 11,3; 1 Ti 2,5; ecc.) – si è affermata solo successivamente. Ma allora chi tira fuori questo dogma, bada bene un dogma fondamentale, e quando? Forse un apostolo che sapeva? Forse la mamma, che Gesù era troppo modesto? Non so, Dio in persona? Nooo: un pugno di religiosi riuniti in concilio quasi 300 anni dopo Cristo.
Il concilio fu convocato a Nicea dall’imperatore Costantino, proprio allo scopo di affermare la verità di fede di Gesù come Dio. Infatti, fra le opposte interpretazioni che circolavano fin dalle prime comunità post-pasquali, in quel periodo andava forte quella di un prete, Ario, che riteneva che Dio fosse così fico che non poteva essere composto da altre persone in contemporanea. Non ti dico il putiferio: c’era chi difendeva idee molto diverse, e benché né gli uni né gli altri avessero mai avuto prova alcuna, erano tutti lì che discutevano su chi aveva capito meglio, accusandosi a turno di eresia. Il concilio, allora, stabilì ‘definitivamente’ che Gesù e Dio erano della stessa sostanza, e, solo più tardi (381 EC, concilio di Costantinopoli), vi si aggiunse lo Spirito Santo. Tre secoli e mezzo dopo Cristo, si ebbe di colpo un dio fatto di tre… persone, non so come dire, un trittico, una diottria, uno stridio… la cosiddetta trinità. La principale verità – il principale mistero – del cristianesimo vide la luce non per l’annuncio del protagonista, ma proprio per la mancanza di esso, grazie al vantaggioso patteggio fra l’astuto imperatore e l’avido clero cattolico: storica occasione per entrambi di rafforzare il proprio potere politico e sociale a scapito del messaggio cristiano originale e di tutte le altre visioni religiose dell’Impero – ora duramente oppresse per ‘eresia’ – al culmine di una evoluzione teologica passata attraverso tre secoli di controversie, contaminazioni e interpretazioni, che ebbero per naturale oggetto la mitizzazione del maestro.
Ma dico io: se né Gesù né tanto meno Dio hanno puntualizzato di essere la stessa persona, è facile che non lo siano; o ce lo avrebbero detto chiaro e tondo, invece di lasciare a peccatori e teologi la chance di pannocchiare per secoli tonnellate di pensieri personali su di loro, uno meno ispirato dell’altro, no?
Interpretare a forza passi vagamente simili potrà essere stimolante, ma prendere certe deduzioni per vere è un salto nel buio, farne un dogma è azzardato! Dai, che poi i fedeli ci credono…

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Chi era davvero Gesù?
Beh, per sicuro fu una persona di cui si scelsero opere e insegnamenti fra quelli di una vita (Gv 21,25), che si trascrissero anni dopo raccogliendo ricordi, che furono completati e lustrati dai primi cristiani (malamente, come stiamo vedendo), che solo molto dopo furono riuniti (ma non erano nati per stare insieme e spiegarsi l’un l’altro), e poi furono tradotti in modi diversi, quindi variamente interpretati lungo tutti i secoli successivi… Il che rende esile e incerta la sua stessa storia di uomo. E detto questo, accettarne l’evidente idealizzazione subita è nient’altro che volontà di credere vero. In fondo è un po’ poco! Ciascuno misuri la sua.

Personalmente, do per buono che Gesù sia esistito, e che dai suoi sia stato considerato un carismatico maestro di vita, perché no. Non mi sento di poter andare oltre: scarto la natività come costruzione posteriore, nutro dubbi sui suoi miracoli, non mi turba l’idea che parte di azioni e detti possano essere in lui confluiti da figure diverse. L’episodio della resurrezione resta troppo incerto per suscitare fiducia. E il senso stesso della sua venuta si sviluppa prevedibilmente dalla mentalità tipicamente umana del tempo – che poi la si chiami piano divino è gioco facile. Non ho problemi ad accettare la sua natura di uomo, quindi, ma considerarlo di più penso sia una cosa da cristiani. Credere a cristo è credere ai cristiani, così da sempre disposti e predisposti alla fede e senza prove (fin dai discepoli che videro la morte di Gesù, fin dalla prima generazione di credenti che ascoltarono da terzi – e non vissero in prima persona – le sue gesta, e se lo fecero bastare. Sì, da allora in poi!) da non essere attendibili: non è Gesù che ha scosso il mondo, ma ciò che ferventi seguaci hanno voluto dire fare credere e ripetere della sua figura, ostinandosi e isolandosi in essa, decorandola d’onori e passione, spesso dandole ogni esclusiva di virtù e saggezza… ricostruendosela nel cuore per fede e lasciandola così in eredità.
Peccato, però: la spruzzata di paranormale che gli ha consentito di ritrovarsi così famoso, alla faccia di tanti altri grandi, doveva essere provata molto meglio, proprio perché tanto fuori dal normale, anziché riposare su episodi storicamente fragili, e propagarsi per atti di golosa fede. Per chi scrisse i vangeli la storia non era importante, ma per noi sì. E adesso?

Nella Bibbia ci sono molte profezie che si avverano
È uno degli argomenti più citati come prova dell’eccezionalità della bibbia, e quindi (?) di Dio. Solo che nell’ideare i vangeli, molti fatti furono costruiti volutamente in modo da adempiere ad una profezia, come per l’entrata di Gesù in Gerusalemme su… due somari (Mt 21,7), per un malinteso da Zc 9,9. Gesù, apostoli e compagnia, da bravi ebrei, conoscevano a menadito il Vecchio Testamento – da cui attinsero di continuo per citazioni e insegnamenti – ma Matteo evidentemente no, e anche qui rivela la sua maldestra, spudorata intenzione di manipolare il testo. In altri casi, dei passi qualsiasi furono considerati profezie soltanto all’epoca degli avvenimenti (come per i trenta denari del povero giuda e la nascita da ‘vergine’) secondo un processo inverso alla profezia, andando cioè a ripescare dal passato frasi da rettificare al presente, per legittimarlo. Persino, furono aggiunte in seguito profezie riguardanti fatti… già avvenuti (come quelle di Gesù sulla sua passione), che è come compilare una schedina dopo che si sono giocate le partite. Se poi uno esce di casa urlando «Ho fatto trediciii!». Bah!
Tutte quelle che il cristianesimo scova nel VT quale previdente annuncio della storia di Gesù, cadono in pezzi ad una ad una non appena si studia il testo: traduzioni abusate, contesti storici dimenticati, attribuzioni indebite e forzature di senso ne svelano l’ingenuità, se non la tattica. Con tutta la buona volontà è troppo poco per considerarle vere – men che meno una prova divina – e non prefigurano alcunché di ciò che i cristiani avidamente desiderano. Tutto è metafora, volendo. A ragione quindi, appaiono profetiche solamente a loro, nel paradossale e infondato tentativo di giustificare con la bibbia ebraica qualcosa che ebraico non è, segnando invece la propria fuoriuscita da quella religione per abbracciarne una diversa. Per tutti gli altri, cominciando dagli ebrei cui tali frasi originariamente appartengono, è chiaro che nessuno di quei passi può essere ricondotto a Gesù: né come uomo, né come messia, né come dio.

Perché sia evidente che un passo è profezia, dovrebbe essere (oltre che verificatosi con certezza) definito e considerato tale quando composto, non dopo che l’episodio è accaduto. Dovrebbe dare riferimenti chiari, precisi e inconfondibili di eventi inattesi, non vaghe descrizioni di fatti del tutto prevedibili, o interpretabili, o semplicemente possibili, o solo desiderati, o relativi a quell’immediato futuro. Non dovrebbe essere possibile dire «Sì, questa È una profezia ma… non si è ancora avverata!». E dovrebbe essere verificabile, in modo che ogni significato più ovvio, ogni altra possibile spiegazione (incluso il magheggio) sia scartata con certezza. Non è ‘strano’ invece che le profezie bibliche siano tutte poco chiare e specifiche? Che siano confermabili solo dalla fede forzandone il senso?
Perché non ce n’è una tipo: “Da aprire tra 206 anni esatti: il 25 dicembre del 753 AUC alle 12:32, a Betlemme – Sotto il governo di Erode il Grande, che in quel momento avrà i pidocchi, nascerà un bambino di 3 chili e 150 che Maria e Giuseppe (la madre e il padre adottivo) chiameranno Gesù. Maria lo avrà concepito ancora vergine e vergine resterà: la cosa sarà verificata da 2 medici famosi, che scriveranno un best-seller dal titolo ‘Una gravidanza della madonna’. Ci saranno, a parte voi, 179 testimoni oculari in tutto, tra cui cinque rinomati storici, quattro abili pittori, 3 cani, 1 gatto e 6 lucertole. Ah, dimenticavo: pioverà!”?
Niente del genere è stato fatto nella bibbia, che non passa il test.

Se anche fosse? Se davvero delle profezie fossero state infilate una dopo l’altra, proverebbe ciò l’esistenza di Dio? Non con certezza: chi dice che quelle profezie venivano da dio? Non potrebbe essere un’interpretazione di fede? Se anche, non potrebbe il resto della dottrina comunque essere falso? Ma poi, diciamo che tutto fosse connesso e verificato: non sarebbe la sua opera nel mondo a tratti infelice ed eticamente criticabile comunque? Per di più, l’idea di profezie circa fatti futuri si scontra prepotentemente con il libero arbitrio…

I dieci comandamenti: la chiara, completa e immutabile legge di Dio
Ovvio no? Spiacente, ma anche questo è falso. Aaaah, sui comandamenti la Chiesa sfiora la commedia. Tanto per cominciare, dei comandamenti originali vi sono 2 versioni, perché Mosè ruppe le prime due tavole (!) e quando Dio gliele scrisse di nuovo, erano diversi. Completamente diversi.
Dirai ma che, 2 versioni diverse? Clamoroso! Già, non l’ho mica scritta io la Bibbia! Poi una terza versione, differente un altro po’, è riportata più avanti (in un libro chiamato Deuteronomio, le prime due sono in Esodo 20,2 e 34,12). Inoltre il Vecchio Testamento è pieno zeppo di comandamenti sparsi qua e là, sempre parola di Dio eh!, che non vengono considerati. Perché? Ma il bello è questo: la versione che insegnano oggi al catechismo… è un’altra ancora! Guarda i 4 decaloghi insieme, nell’appendice A, in fondo al libro. Dovrebbero essere uguali, ma non è così. Che c’è, l’opinione di Dio… andava ritoccata?

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Scopriamo così che i comandamenti insegnati nel Catechismo sono in realtà nove. Infatti, il secondo comandamento è stato cancellato, e per far tornare i conti, il decimo è stato diviso in due.
Vediamo le differenze da vicino:

a – È sparito il n. 2, che proibiva di adorare le immagini invece che il dio (si chiama idolatria). Perché? È chiaro: oggi un mare di gente adora (ah già, ‘venera’) un sacco di immagini e statue. Santi, Madonne, improbabili ritratti di Gesù e crocifissi ovunque, e questo alla chiesa è molto utile.
b – Il n. 4, che comandava di santificare il sabato, è stato sostituito col n. 3 che comanda di santificare le feste. Chiaro anche questo: così si possono festeggiare tutte le ricorrenze che la chiesa cattolica infila nel calendario.
c – Il n. 7 originale proibiva solo di tradire il coniuge, ma è stato cambiato col n. 6 che proibisce tutti gli ‘atti impuri’. Già, il sesso è una forte ossessione dei cattolici… lo abbiamo capito.
d – Il n. 10 originale, che imponeva di non desiderare la casa, la moglie e parecchie altre cose del prossimo tra cui i suoi begli schiavi, nel catechismo di oggi è stato spezzato in due: il 9° contro il desiderio della donna d’altri, e il 10° contro il desiderio della roba d’altri.

Rattoppa lì e tagliuzza di là, i comandamenti tornano ad essere 10. La cosa è incredibile, dato che questi comandamenti sarebbero stati dettati da Dio in persona! Sei un po’ confuso/a? Allora siamo in due.
Come mai la Chiesa cambia le sue parole? Perché poi ne allarga il preciso senso originale come e quanto le fa comodo, per renderlo più idoneo e politically correct oggi? È una cosa intelligente, adattarsi ai tempi (a proposito di relativizzare!), ma perché non ha il coraggio di dircelo e li chiama ancora assoluti e divini? È chiaro: o il loro Dio ha sbagliato, e dunque non è perfetto, o la Chiesa da secoli mente e truffa i fedeli. E tace.

«Appendiamo ovunque il decalogo!», chiede ogni tanto qualche fanatico, per ficcare la sua fede nella vita pubblica di tutti gli altri. Non è giusto ma… ok, dico io: allora mettiamoci tutte e 4 le versioni! Non 10, ma 40 bei comandamenti per accontentare diligentemente tutti, il dio che li ha ispirati e coloro che ci credono… e stavolta persino chi non crede, il/la quale apprezzerà che sia esposta in cornice l’incoerenza della bibbia. E la sua morale, che stiamo per esaminare.

I dieci comandamenti: la perfetta legge morale
Per un microsecondo, diamo per buono che Dio esista.
Secondo il cristianesimo, costui vuole che ci comportiamo bene. Così ci ha dato delle regole da seguire. Regole positive, di buon comportamento: morali.
Senza, gli Uomini farebbero solo un gran casino, dice.
Beh, anche su questo è difficile essere d’accordo. L’Uomo può eccome essere buono, ed è meglio quando le regole se le fa da solo (vedi sopra il capitolo ‘Ma se Dio…’). Ok, forse potrebbero essere delle buone regole, in generale, no? Vediamole insieme: uhm… ah già, quale versione prendiamo? La prima e originale? La seconda, quando Dio cambia idea del tutto? Quella del catechismo? Tutte sarebbero importanti (parola di Dio o della Chiesa, mica poco)… ma tutte, come perfette regole di vita, sono di almeno una taglia toppo corte:

* Nel 1° comandamento, scopriamo subito che Dio è intollerante con le altre idee, anzi fin dall’introduzione vuole la guerra (Es 34).
* Nel 2° che è geloso, possessivo e ingiusto. Esigendo per sé amore e obbedienza, si fa un baffo della libertà religiosa. Minaccia i nostri nipoti a causa nostra. Spropositata invece la ricompensa del suddito: gioie per mille altrettanto ignare generazioni. E se uno poi nel mezzo toppa, che si fa?
* Nel 4° e nel 10°, riconosce la schiavitù.
* Nel 5° (4° per la Chiesa), scopriamo che i figli non sono citati, quindi gli si può mancare di rispetto a cuor leggero. E che sottomettersi a un’autorità intoccabile – non importa nemmeno se negligente o abusiva – si impara fin da piccoli. Ma l’onore va guadagnato non comandato! E dev’essere reciproco non a senso unico!
Ai figli di obbedire, ai genitori di disciplinare alla lettera del Signore: quale miglior schema educativo per assicurarsi potere – anziché favorire parità, indipendenza e fiducia – e con ciò ripetere i soliti scandalosi errori sociali? I genitori si meritano rispetto non qualsiasi cosa facciano, ma se da genitori si comportano da genitori in gamba. Così il rispetto fluirà tenero e spontaneo, non per dovere né per convenienza, come quella (peraltro affatto garantita) di una vita ‘più lunga’. Anche questa quindi, non può certo essere considerata regola perfetta e assoluta.
* 6°, 8° e 9° sembrano giusti, tanto che ispirano da sempre le leggi dello Stato e i migliori rapporti fra persone (3 su 10!), ma così definiti sono generici e incompleti: cosa dire di una madre poverissima che ruba del cibo per il suo bambino? E di un soldato che difende la sua terra? La legittima difesa dove la mettiamo? E perché Dio nel VT permette comanda e premia stragi ed atti efferati dei suoi? Ancora: le bugie pesano forse tutte uguali? E una bugia detta per evitare un’ingiustizia maggiore? E perché circoscrivere alla testimonianza, anziché dire in generale ‘non mentire’? Perché scrivere – in questo punto così essenziale – proprio ‘il vicino’ e non ‘gli altri’ o ancora meglio ‘l’umanità’?
Bugie, furti e omicidi stanno forse sullo stesso piano, da meritare la stessa pena? Ma poi perché non proibire tutti i tipi di violenza e di sopraffazione, anziché nominarne 3? Uhm. Neanche questi così funzionano, confermi?
* Nel 7° (6° della Chiesa) è proibito l’adulterio, eppure non risiede necessariamente qui il problema di una coppia. La Chiesa poi, nel suo slargare i significati, lo trasforma in tutti gli ‘atti impuri’. Cosa saranno mai? Semplice, il sesso. La Chiesa disprezza il sesso, ne avversa l’implicita libertà e il piacere; ai preti e alle suore è ancora imposto di negarselo e trattenersi tutta la vita – in modo innaturale e inutile – e ci vorrebbe tutti casti pure noi. Ma il sesso in sé non è impuro, né sgradevole, né pericoloso (se prudente). E allora? Anche questo, quanto a perfezione, non funziona.
* Il 10° (9 e 10 per la Chiesa) chiarisce: si parla agli uomini (un esempio di quanto poco le donne erano, e spesso ancora sono, considerate: alla faccia delle pari opportunità). E proibisce addirittura il desiderio! Ma il desiderio non si può proibire, comandare, decidere… viene, e prenderne atto è ciò che consente di capirlo, ed eventualmente superarlo. Il desiderio poi è anche ciò che ci spinge a migliorare la nostra vita, insomma in ogni caso non fa bene opprimerselo dentro. Non è altro che un forzare ad accontentarsi di poco. E perché poi far pagare un desiderio quanto al ladro o all’assassino!

Questa è la ‘moralità’ del decalogo.
Sono queste perfette regole di comportamento? Regole assolute e universali?
I primi comandamenti sono di stampo religioso, e non morale (cioè non c’entrano col fare il bene o il male), è evidente. Dunque proprio non morali, immorali, poiché diventano un’ingiusta imposizione a non credenti e altri credenti, ed equiparano il loro ateismo ai crimini citati dopo. La nostra Costituzione garantisce più rispetto (Art.3).
Il resto, un rigido incompiuto accrocchio di regolette che oggi non soddisfa per niente, in origine rivolto ai soli maschi ebrei, mica universali, e forse derivate da due illustri codici precedenti (il Libro dei Morti egiziano e il Codice di Hammurabi babilonese), storica testimonianza del fatto che prima del dio cristiano la morale c’era eccome.
Scompare, l’accrocchio, paragonato all’etica di un Socrate, un Epicuro, un Musonio Rufo (che pure non erano perfetti), o ai 5 Precetti del Buddhismo, o ai Dicta di Solone. Parole antiche che mostrano la virtuosa maestà del cammino dell’uomo. Non ‘comandamenti’, cioè ordini, da obbedire pena l’ira, l’offesa e la punizione di un dio, ma linee guida, raccomandazioni per la persona che desidera coltivare la sua nobiltà morale.
Che figuraccia ci fa il decalogo! Cosa abbiamo, in realtà? Da una parte il Dio biblico, aggressivo e impaziente, che comanda invece di insegnare, così vanitoso da dedicare 4 comandamenti a sé stesso (3 nei più recenti) (!). Dall’altra la Chiesa Cattolica, che accorcia e abbellisce le parole di Dio come le pare – un bell’esempio di relativismo – e non dice niente ai suoi fedeli. 2 volte scorretta.
Che moralità, insomma, in chi li ha scritti e in chi li insegna… Esistono valori e regole ben migliori a cui ispirarsi. Conclusione? Concludi quello che vuoi.

Il Papa è il legittimo successore di Pietro, e i preti sono ministri di Dio
Se Gesù avesse voluto creare una poderosa corporazione gerarchica fatta di papi, vescovi, arcivescovi, cardinali, preti, suore, santi, cattedrali, messe, sacramenti, dogmi, banche e finanziarie, palazzi e appartamenti di lusso, possedimenti miliardari, un intero Stato e quant’altro, ne avrebbe parlato con una certa chiarezza, ne avrebbe come minimo espresso il desiderio. Invece niente.

Ma da un certo momento in poi la Chiesa di Roma volle più potere, e più denaro. E questo è comprensibile: uomini senza scrupoli videro (e vedono) nella fede degli ingenui una miniera d’oro. Per avere questo, essa doveva darsi un prestigio indiscutibile agli occhi del popolo ignorante. Cominciò dunque a giustificare l’autorità che si dava forzando il senso di qualche frase di Gesù in una sorta di sua autorizzazione. Perché cosa meglio del volere di dio stesso?
Tombola! Ad esempio: «Andate e ammaestrate tutte le nazioni» (Mt 28,19). Il passo non si trova nei manoscritti più antichi (!) ed è quindi un’aggiunta non originale. Avrebbe comunque senso che Gesù volesse condividere quello che sapeva: ma dov’è scritto ‘Considerate la Chiesa un gradino sopra tutti’? ‘Imponetevi come autorità’? ‘Interpretate e aggiungete a piene mani’ (2 Pt 1,16)?
Disse anche: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa… e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli…» (Mt 16,18-19). Su questo passo, in particolare, la Chiesa cattolica romana fonda la sua esistenza e il suo prestigio, perché i Papi sarebbero nientemeno che i successori di Pietro. Chi se la beve?
Questa scusa fa acqua in mille maniere:

1) È presente solo in un vangelo su quattro. Che misera importanza gli si dà!
2) Non risulta che Pietro – trascinatore per passione, carisma ed età – abbia mai esercitato una funzione di comando esclusivo nella comunità, e nemmeno che fu primo papa a Roma, come Tradizione vorrebbe.
3) Come apostolo, Pietro non si scelse un successore (ovvio, non si considerava papa! v. At 10,25-26 e 14,15 + Ap 21,14 e 22,8-9; Ef 2,20; 1 Co 3,21-23). Chi decise di esserlo, e con quale autorità? Non di Gesù, che non ne parlò, non degli apostoli, nemmeno di Paolo, …di chi?? Nella Bibbia non si definisce regola di successione: che il potere di ‘legare e sciogliere’ e i vantaggi dello spirito santo (esistenza del quale tutta da verificare) passino di papa in papa è una trovata… dei papi.
4) Come testimone, ciò che ha visto è morto con lui. Non si può passare la forza di una testimonianza oculare: chi non ha visto (dunque tutti i successivi credenti) non può essere considerato testimone a sua volta. Anche questa ‘garanzia’ che rendeva speciali gli apostoli (v. At 1,8 e 21-23), se mai c’è stata, è scaduta da un pezzo.
5) In un passo dopo, lo stesso invito è rivolto a tutti gli ascoltatori (Mt 18,18; Gv 20,20-23). Dunque non in special modo a Pietro. Oppure Gesù voleva farli tutti papi?
6) Sebbene le grandi comunità cattoliche facessero a gara per ricostruire il proprio passato giù fino agli apostoli, nei primi secoli il primato di quella di Roma fu sconosciuto ai vescovi quanto a tutti i padri della chiesa. La gerarchia romana se ne accorse dopo (?) e la attestò alla svolta del millennio (!) a costo di uno scisma con l’Oriente, e anche per mezzo di documenti falsi. La linea di successione, peraltro, fu in venti secoli più volte interrotta, falsificata, sospesa, sdoppiata.

Frasi come quelle esprimevano il desiderio di Gesù di creare un largo gruppo di persone (un’assemblea, in greco ‘ekklesia’, chiesa) con una fede come quella di Pietro, e di assicurarsi che qualcuno predicasse i suoi insegnamenti nel suo stile di vagabonda umiltà. Pietro è l’esempio da cui partire, e come tale non viene posto sopra ma solo prima degli altri.
Pietro stesso lo sapeva bene, se disse “Questo Gesù è la pietra… In nessun altro c’è salvezza” (At 4,10-12 poi 1 Pt 2,4-6 e 5,1-3), e anche Gesù (Mc 10,42-45; Mt 20,25-28; Lc 22,25-26; Gv 14,12 v. anche 1 Co 3,4-11; Ef 1,9-22 e 4,11-16 …). Il succo di queste frasi è piuttosto chiaro, no? Interpretate a dovere, diventano l’ordine di fondare la Chiesa, una ricca casta di privilegiati burocrati dell’anima, invadenti e immodesti personaggi in maschera, diretti da presunti successori di Pietro in qualità di sostituti di Dio-Cristo in terra. È il festival della frittata rivoltata, il lunapark della lettura fra le righe. Fedeee, non autorità! E la cosa più bella (se non fosse triste) è che… in Vaticano lo sanno bene, è scritto e stampato nel catechismo, paragrafo 424: “Sulla roccia di questa fede, confessata da san Pietro, Cristo ha fondato la sua Chiesa”. Il primato papale non è storia, ma dogma (v. Pastor aeternus, cap. 3). Ma bravi! Il solito caos.
Se il vescovo a Roma fu il principale tra quelli importanti, tale primato non ha radici nel NT. Nessun diritto divino dunque, né apostolico lignaggio, ma superiori circostanze sociali e scelte politiche forti, in particolare dal IV secolo in poi, grazie agli imperatori Costantino e Teodosio. In forza del loro immenso potere, si venne a conclusione delle incredibili dispute teologiche circa la vera dottrina e persino sulla natura stessa di Gesù (uomo? Dio? Entrambi? Separatamente o simultaneamente? Queste e altre tesi teologicamente contrastanti erano fieramente sostenute da gruppi diversi, tutti cristiani e tutti convinti di possedere la verità originale) e si operò la messa a punto del canone neotestamentario, prima inesistente. La Chiesa cattolica oggi è la più diffusa, non necessariamente la più ispirata: che essa difenda le proprie idee è lecito, che ne abbia avute di felici è certo, ma che tutte in blocco siano quelle giuste per discendenza e timbro divino è… volontà di fede. Per questo l’altra metà dei cristiani può concedersi di non riconoscere al papa alcuna preminenza (e figuriamoci l’infallibilità).

Vogliamo proprio guardare nelle Scritture? “Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:… «Voi siete tutti fratelli… E non fatevi chiamare maestri»” (Matteo 23,8-12. Vedi anche Mc 9,33-35; Lc 14,11; e 1 Pietro 5,1-3). Punto.

La Bibbia è l’inerrante e ispirata Parola di Dio
Certo un dio, sapendo quanto possiamo essere duri a capire e presuntuosi nell’insegnare – ed essendo sceso proprio allo scopo di farsi scoprire e conoscere – poteva essere un filo più preciso, per non lasciare spazio a dubbi storici, divagazioni teologiche, idolatrie e sempre nuove richieste di fede… Ma perché dare prove, se tanta gente crede lo stesso? Meglio dire che la fede è necessaria, soprattutto se prove concrete non ce ne sono… Ah! Quanto tutto questo somiglia a maldestro lavoro d’uomo, sia nei risultati che nelle intenzioni!
La bibbia è piena zeppa di idee il cui significato è indefinito o incongruente con altri, tanto che una difficoltà insormontabile è conciliarle in armonia senza ‘preferire’ una alle altre.
Perché possiamo dirlo? Oltre agli esempi che ti ho fatto e a quelli che tra poco ti darò, considera che in 2000 anni – cioè proprio dall’inizio, dagli anni dopo Gesù – tanta teologia non c’è riuscita. La vita del maestro si è subito potuta trasformare in un tripudio epico di interpretazioni ‘ispirate’ e politiche sociali differenti, e spesso opposte, tanto a causa della finitezza biblica quanto della fede in sé, solleticata e anzi richiesta ai singoli, ma del tutto inadatta a perseguire la verità.
Così non c’è modo di sapere cosa Gesù intendesse dire davvero: di lui abbiamo (e abbiamo sempre avuto) solo ricordi e pensieri altrui, stando ai quali si espresse spesso in modo poco chiaro e incompleto, sia intenzionalmente – come a volte ammette – sia per suoi propri limiti. Di naturale conseguenza, la dottrina dei cristianesimi è un enorme castello di interpretazioni, la cui logica (a volte brillante) poggia e scivola sulle sabbie della fede. Proprio grazie a – o meglio, per colpa di – questa nebbia storica e filologica (cioè sui fatti e sul senso) tipica e fondante, che li circonda fin dal suo primo comparire, ogni grande ramo del cristianesimo, ogni sua derivazione, corrente, fazione o setta può leggere i significati a modo suo, e dire di essere quella veramente ispirata. Non è bizzarro? Spiccherà fra esse non la più vera (con questi presupposti?) ma la più abile a conquistare il suo pubblico …o a sfiancare la concorrenza. La verità è che, proprio in quanto dipendente da una fede, non esiste affatto quella base assoluta e perfetta in forza della quale si vorrebbe una interpretazione superiore alle altre.

Se chiedi a un cristiano se conosce la bibbia, quasi certamente dirà di sì. La maggior parte tuttavia non ne avrà letto che i passi più famosi, e anche coloro che la conoscono meglio è facile che non l’abbiano letta tutta, ma vaghino solo fra le pagine più profonde, gentili, stimolanti. Quasi nessuno ammetterà comunque – almeno in prima battuta – che essa non è perfetta, cioè priva di errori, perché ‘parola di Dio’. Eppure oh… basta leggerla: la bibbia è piena di errori d’ogni tipo, come ci si può aspettare da un libro che è un insieme di piccoli libri scritti da tanti autori dalla mentalità diversa e antica, ignoranti di scienza, ciascuno con un proprio background dottrinale e che non si conoscevano, nell’arco di oltre 1000 anni. Vediamone alcuni.

Vorrei che questa lettura portasse il credente a conoscere la bibbia meglio di quanto finora la conosca, affinché la sua scelta di fede – e a questo punto di non fede – possa essere fondata su quello che essa è nel suo insieme, non su quello che crede che sia, o vorrebbe che fosse.

Errori e discrepanze – centinaia – possono essere raggruppati in grandi classi: contraddizioni, cose impossibili e assurdità, finzione storica, pezzi non autentici, passi oscuri e confusi, problemi di interpretazione letterale, copiature smaccate dal Vecchio Testamento, orrori e crudeltà. Alcuni in effetti sono incerti, vi sono valide ragioni pro e contro, e questo ci sarebbe già sufficiente: se non c’è interpretazione sicura, è più corretto sospendere il giudizio, neutrali e obiettivi, anziché buttarci da una parte o dall’altra, per sola fede. Altri sono invece inequivocabili. Darò qui appena qualche esempio, perché tanto basta.

Contraddizioni

* Creazione – Dalla creazione all’episodio del frutto, contraddizioni, invenzioni e comportamenti sciocchi fanno della Genesi un fantasioso racconto sull’origine del mondo e sul rapporto uomini-dio che non è facile prendere sul serio. Come si comporta dio con i poveri Adamo ed Eva lo vediamo dopo. Genesi 1 e 2 descrivono la ‘creazione’ in due sequenze diverse. Gli animali sono creati prima o dopo gli umani? E le piante? Il bestiame con o dopo gli uccelli? La donna con o dopo l’uomo? No, guarda – si dirà – il secondo racconto spiega meglio il giorno 6. Sì? Ma non è chiaro… Magari è possibile, ma anche no. Possibile, non è assoluto. E quale scegliere? Il secondo. Perché? Beh, la bibbia non deve sbagliare. Quindi ciò vale solo per chi ha questo pregiudizio? Sì.
* 10 comandamenti – Esodo 20,2-17 e 34,11-26 dovrebbero essere identici (‘Scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima’). Ma…
* Verginità di Maria - Marco non ne sa nulla. Gesù riceve il nomignolo di 'Figlio di Dio' dopo il battesimo sul fiume Giordano, a trent'anni (Mc 1,2). In Matteo e poi in Luca si racconta di un concepimento divino, annunciato persino da un angelo, ma una volta a Giuseppe e solo in sogno, l’altra a Maria faccia a faccia. Strano ancora che più tardi (Mc 3,21; Lc 2,33 e 2,48-50; Gv 7,5; Mc 6,4) essi se ne siano completamente scordati… Eccezionalmente smemorati? Insostenibile. Più probabile che in realtà non ne sapessero niente, e che anni dopo il testo sia stato steso aggiungendo una nuova idea da diffondere, come testimonia il fatto che né Marco (il più antico fra i vangeli) né Paolo (le cui lettere sono ancora precedenti) ne fanno parola alcuna. Sia a testimonianza della progressiva idealizzazione del Gesù.
* Genealogie di Gesù – 2 diverse versioni in Matteo e Luca. Le due genealogie non combaciano. Per di più, entrambe si rendono inservibili perché citano personaggi sulla cui discendenza grava una maledizione perenne (Ger 22,23-42), e inoltre in Luca si parla di Natam figlio di Davide, peccato che il figlio scelto da dio per la discendenza regale fosse Salomone (1 Cr 28,5). Si vuole credere che in Luca si parli di quella che passa per Maria. Ma non può essere, e se subito nasce il dubbio (primo perché né Luca né gli altri lo precisano – ti pareva – secondo perché più avanti esce fuori che Maria è parente di Elisabetta, il che può indicare che come lei venga dalla casa di Levi, e non di Giuda come Davide), poi se ne ha certezza: il VT impone che per il diritto a sedersi sul trono di Davide, il messia dovesse venire dalla stirpe regale per seme maschile, quindi dal padre biologico (2 Sam 7:12-16; Ger 23,5; Sal 131,11). Naturalmente, è pure assurdo attribuirne anche solo una a Giuseppe, padre adottivo.
Entrambi gli autori, che scrivevano a grande distanza fra loro oltre 40 anni dopo Gesù, volevano a loro modo ‘dimostrare’ che egli soddisfaceva la profezia sul messia della casa di Davide, e al contempo sostenere la nascita di Gesù da dio. Per questi motivi ed altri, fra cui quelli legati a cose essenziali sul messia che secondo il VT devono verificarsi ancora (es. Is 2,4 e 11,6-12 e 43,5-6; Ger 33,18; Ez 37,24-28; Zc 14,9) o non dovevano proprio (Dt 4,2; Is 1,11-17; Ez 18; Sal 144,18) la grande maggioranza degli ebrei non poté riconoscere in Gesù il messia, che loro infatti ancora attendono (e non certo come dio! Per essi il messia è semplicemente un uomo, e durante il suo tempo, cioè in una sola singola ‘venuta’, farà quel che deve, sulla Terra).
* Resurrezione – Orbene, i 4 vangeli (considerando anche il pezzo finale spurio di Marco) ne danno 4 versioni differenti. E inconciliabili. Chi vide prima la tomba vuota? C’era là un uomo? Due? 1 o 2 angeli? Che disse(ro)? A chi apparve poi Gesù, e dove esattamente? Dopo quanto e da dove ascese al cielo? Si può dire che non siano che dettagli, e concordo. Ma inconciliabili. Su un episodio capitale. Sarebbe accettabile in un libro qualsiasi, non in uno che riporti fedelmente e senza fallo la rivelazione di Dio. Dalla passione fino all’ascensione, non c’è racconto unanime, e non c’è modo di armonizzare le diverse versioni e tutti i particolari.
* Dio punirà (Es 20,5; Dt 5,9; Num 14,18; Dt 23,2 e 28,18; 1 Re 2,33; Is 14,21; …) o non punirà (Dt 24,16; 2 Re 14,6; Ge 31:29-30; Ez 18,20) i figli per le colpe dei padri?

Cose impossibili e assurdità storiche e scientifiche

* Stando alla genesi, il mondo fu creato in 6 giorni. Ciò contraddice tutto quello che oggi sappiamo, scientificamente parlando. L’astrofisica ci dice che l’universo ha circa 15 miliardi di anni, la Terra 4,5. Azz! Ok, allora – mentre una parte di cristiani insiste sul senso letterale e inventa una pseudoscienza (creazionismo) – un’altra ha la furbizia di dire: un giorno, in questo caso, va inteso come un’era. Uh, sicuri? No vabbè, si fa per fede. Ah.
Però guardate che nemmeno così funziona: le scienze ci confermano che le ere hanno durata differente. E anche l’ordine non va. Terra e sole hanno quasi la stessa età, il sole è una stella come le altre, e sono queste a fare luce (e la luna no). Le piante senza sole non avrebbero potuto vivere.
Gli alberi da frutta vengono molto dopo la vita marina. Le specie animali e vegetali non nacquero tutte insieme e non restarono uguali, ma seguirono un’evoluzione. L’uomo non viene dalla polvere, né la donna dall’uomo.
No vabbè, certo, gli autori al tempo non conoscevano proprio bene tutto questo… Ho capito, ma Dio che li ispirava? Perché allora servirsi di loro, che lo sapeva avrebbero fatto macello? Perché non lasciarci un testo di suo pugno, in tutte le lingue, con note a margine, in dvd? Per dire.
No vabbè, la Bibbia non è un libro di scienza, ma di fede. Ecco, appunto.
Sempre in genesi, troviamo l’episodio di Adamo ed Eva. Mentre per secoli è stato creduto del tutto vero, oggi – alla luce di scoperte scientifiche – molti credenti arrivano a vederla come una allegoria, cioè un racconto la cui verità è nel significato generale dietro la storia, e non in quello letterale. Ora, se anche prima era difficile crederci, come allegoria peggio ancora: chi ci dice che questa favola ‘per immagini’ racconta però un ‘evento primordiale’ (Ccc 390)? La cosa si fa ancora più rischiosa: se traballa il primo peccato di Adamo ed Eva, l’intera necessità di un cristo salvatore non è più… necessaria. Beh, è così. Il male nel mondo non è uno stato naturale dopo quello di perfetta armonia, è proprio il contrario: dal casino naturale dei tempi in cui, primitivi e ignoranti, ci siamo fatti male a vicenda, ora conosciamo un’etica più alta, e possiamo realizzare l’armonia che nel profondo desideriamo.
* Diluvio – Una vera inondazione di assurdità! Pare, leggendo, che a un certo momento si sia verificato un diluvio ‘universale’, cioè su tutta la Terra. Dalla catastrofe si salvarono, per volere di Dio, Noè e la sua famiglia più una coppia (o anche 7 coppie) di tutti gli animali del mondo, affinché lo potessero ripopolare (Gn 6-8). Come favola, non c’è dubbio, è carina. Ma come fatto storico? Basterebbe dire che un simile diluvio così globale è disconfermato dalla scienza, che non ne trova le tracce. Anche fosse, però, l’avventura di Noè è tecnicamente impossibile.
Tanto per cominciare, le dimensioni dell’arca sono esagerate anche rispetto alle abilità navali moderne, e quella era fatta di legno. Troppo grande come nave, quindi, ma troppo piccola per contenere una tale quantità di animali! Poi: come catturare migliaia e migliaia di specie, animali rettili e uccelli maschi e femmine, disseminate per il mondo intero? E che dire degli insetti, che non vengono nemmeno citati? E come portarli all’arca senza perderli (in 7 giorni!) con in più l’acqua e il loro specifico cibo per oltre un anno? Come mantenere le enormi scorte fresche per tutto il tempo? E come far resistere loro, schiacciati in uno spazio angusto, per mesi e mesi, fuori dal proprio habitat naturale, senza poter correre o volare o scavare, ed evitando che si attaccassero l’un l’altro? Se si fossero ammalati, come aiutarli? E se qualcuno di essi fosse morto durante quel durissimo viaggio, l’intera specie se ne andava estinta? Ancora: come nutrire e accudire a dovere tutte quelle bestie, in 8 e durante un maremoto? Cosa avrebbero mangiato, tutti, scesi dall’arca su una terra devastata? Perché non salvare anche le piante, viventi anche loro, e da dove farle rispuntare in tutto quel fango? Da dove veniva l’immensa quantità d’acqua necessaria a coprire la Terra fin sopra la montagna più alta? ‘Fonti dell’abisso’, ‘cateratte del cielo’??
Hai idea poi del ritmo a cui doveva scendere per farlo in soli 40 giorni? E i pesci? Come lasciarli all’aperto, sapendo che sotto quella pioggia le acque salate si mischiavano alle dolci, e al terreno, e le temperature si stravolgevano? Innumerevoli specie dovettero certo morire, e dentro l’arca non si stava meglio: niente luce, areazione insufficiente, con tutto il crescente calore prodotto dai corpi e dagli escrementi… immagina che agonia vivere lì sotto! Inoltre, i gas intestinali degli animali si sarebbero concentrati all’interno, e poiché infiammabili, avrebbero reso l’arca una bomba galleggiante…
Come ricondurli tutti nei lontanissimi luoghi d’origine? Come ripopolare la terra con i pochi malridotti animali rimasti, la natura desolata e stravolta, senza cibo, senza tana e senza prede?
Gli uomini? 4 coppie di umani rimaste non sarebbero bastate a rigenerare l’umanità, con tutta la sua bella varietà di razze.
Come improvvisazione sul tema diluvio, possiamo certo perdonare gli autori, che in tempi pre-scientifici non potevano fare di meglio. A prendere l’episodio in senso letterale, invece, se ne fa una barzelletta. Se non consideriamo che parla di una truculenta, mostruosa carneficina globale. Quando si dice humor nero…
Per limitare i danni di questa commediola, alcune correnti cristiane la interpretano (!) come una storia locale, circoscritta. Ma, se per la scienza una inondazione locale è più probabile, il senso del passo biblico è più che chiaro, invece. E anche se fosse, la maggioranza dei problemi resta, aggiungendosi l’assurdo di un blocco d’acqua che, invece di auto-livellarsi, cresce in altezza come dentro a un bicchiere…
Altre due sono le scuse che ho sentito (a parte grossolane spiegazioni di scienza da mercatino): «Ovviamente, Dio ha aiutato a risolvere!» Sì? Ma non c’è scritto. Inoltre, se doveva intervenire per questa e quella evenienza nell’arco di mesi, perché non ha eliminato subito chi voleva soltanto schioccando le dita? Razionalizzazioni uscite dal nulla lasciano più dubbi di quanti ne vorrebbero spiegare, e deve far riflettere che nel loro uso non si veda nulla di strano. «Ovviamente, è una metafora!» Ah, pure il diluvio è una metafora? Ma è stato creduto vero per secoli, come la mettiamo? Anche nel NT lo citano come vero. Come si capisce che è solo metafora? E per dire cosa, di vero? Troppo comodo, parlare di metafora quando un passo biblico diventa un peso.
* Non si ha traccia fra gli storici del tempo di una ‘strage degli innocenti’ (Mt 2,16-17), né di 3 ore di soprannaturale ‘buio’ in quella terra (tanto meno sulla Terra. Mc 15,33), né di una stella così particolare, né di un terremoto tanto strano. Se fossero accaduti…

Pezzi non autentici

* Trinità – Due passi – nella loro genericità – vengono citati a supporto più diretto dell’idea di trinità. Il comma giovanneo (1 Gv 5,7-8), e Matteo 28,19. Ma entrambi sono considerati, dalla critica cristiana odierna, una aggiunta successiva di altri autori (la bibbia CEI, nelle note relative, si premura di dirlo). L’inciso in Giovanni parla di testimonianza e non fa paralleli, quello in Matteo prova solo che l’iniziazione del battesimo avveniva in funzione delle tre entità, non che esse fossero uguali in essenza, né la credenza in un dio trino.
* L’adultera – Ricordi la donna che stava per essere lapidata e viene salvata da Gesù con la frase “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”? Gv 8,3-11. A parte che il peccato di qualcuno non può passare in cavalleria solo perché anche altri peccano (!), anche questo passo, citatissimo per la clemenza di Gesù (tra l’altro, verso una donna) e glorioso esempio di perdono cristiano, è un falso posteriore. Perché? Mancante nei più antichi manoscritti, è composto secondo uno stile diverso e contiene parole mai usate nel resto del vangelo.
* Resurrezione – Per ragioni simili, la critica concorda sul fatto che il vangelo secondo Marco, il più antico e vicino a Gesù, finiva bruscamente in 16,8. La parte sulle apparizioni a Maddalena e agli altri dopo la resurrezione, lui non la conosceva. E nemmeno la successiva richiesta di fede e battesimo per la salvezza. Né il comandamento di andare a predicare il vangelo in tutto il mondo.

Orrori e crudeltà

Altrove nel Piccolo manuale ne abbiamo già visti. Ancora:

* Genesi – Fin dall’inizio Dio si comporta veramente male, con noi. Il tema è importantissimo e denso, perciò gli ho dedicato un ampio spazio tutto suo: Il peccato originale – Di come Dio ci ha fregati tutti e l’ha fatta franca (Appendice B, in fondo). Inizia così:

“La favoletta della mela e del serpente parlante è davvero molto incisiva e prende l’immaginazione, e nonostante oggi alcuni la vedano come allegoria, dal VT al NT fino ad oggi è invece presa come fatto vero. Ma è assurda e contorta per tanti motivi, come il serpente che si nutrirà di polvere, la donna che avrebbe partorito con dolore (perché, Eva era fatta diversa?), Adamo che avrebbe penato a coltivare la terra (perché, col Giardino era una passeggiata?) e il fatto che la vicenda contrasta con l’onniscienza di dio. Qui vedremo i difetti moralmente peggiori, tralasciando i dettagli”.

* Diluvio – Humor nero, dicevo. Il pezzo non è solo assurdo, è di una cattiveria unica. Dio, insoddisfatto della sua creatura che sapeva benissimo avrebbe fatto casini, non prova con i mezzi più efficaci a portare la pace e la ragione… no: non c’è niente in mezzo fra il male e il bene, gli è estraneo il concetto di miglioramento: è scontento e, come un bambinetto viziato, getta via il suo giocattolo. Si dirà, ma no anzi, ha salvato Noè per ricominciare! Troppa grazia. Quanta bontà tutta insieme, per uno che ha appena trucidato il genere umano e sconvolto l’intero ecosistema. Piccola, misera consolazione mentale… Dovrebbe bastare far sopravvivere una famigliola (e per i meriti di uno solo), quando il resto del mondo è stato affogato? Uomini, donne, anziani, bambini e nascituri! Ebrei e non! Tutto il mondo era tanto cattivo da meritare la morte? E ci vanno di mezzo pure gli animali e le piante!
È possibile? Ha senso? È amore? Lo sterminio dell’uomo, chiamato amore per l’uomo! È vero che non è successo, ma è spaventoso che si creda una buona azione.
Questo era il modo di affrontare le cose a quel tempo, quando non si conosceva dialogo, né rispetto, ma una giustizia monca, irosa e violenta secondo la quale il ‘nemico’ andava semplicemente spazzato via. Se dio fosse stato reale, li avrebbe certo superati in bontà e civiltà, voglio pensare. Un dio da essi fantasticato, invece, non avrebbe potuto che restare al loro livello. E infatti… Che mentalità ristretta e fanatica, inflessibile, puerilmente irruente e povera di opzioni! È la radice del fondamentalismo, che oggi non a caso torna di moda, in religione e in politica, negli stessi termini di elementare, impulsivo (e facilmente manovrabile) bianco e nero. Non ce n’è più bisogno. E se non ce ne liberiamo – noi che oggi abbiamo accesso a valori più alti, strumenti adeguati e coscienza degli effetti e delle cause – torneremo a soffrirne più di quanto immaginiamo.
L’assurdo episodio si conclude con un assurdo più grande (cfr Gn 6,5 con 8,21 e 9,6): Noè, appena uscito, pieno di quella intima gratitudine che viene dal terrore, sgozza in sacrificio una quantità degli animali appena salvati. Dio, ovviamente, gradisce. E – avendo appena finito di punire la sua creazione per la malvagità dimostrata – si pente di nuovo e riflette così: «Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dalla adolescenza». Nella sua infinita ingenuità e fallibile onniscienza, prima si scatena con ferocia sull’uomo, poi si accorge che farlo non ha senso, perché essendo quello il suo istinto naturale, non c’è colpa da punire. Ciò è assolutamente falso – perché non è l’istinto quanto l’educazione a spingerci al male – ma lui ci crede, e allora in pratica ammette di aver fatto un’enorme tragica cazzata, immotivata (perché l’istinto è l’istinto) e inutile (perché sarà ancora così anche dopo il diluvio). Incredibile. Eppure è lì tranquillo, non si dispera per quello che ha combinato e non gli viene di rimediare, come pure potrebbe. Ma che sapienza del cuore dell’uomo, che disposizione a cambiare atteggiamento, e che umiltà nel riconoscersi limitato e colpevole! Nessuna.
* Sodoma e Gomorra – Vedi sopra, Diluvio.
* 42. È il numero di ragazzini squartati da due orse (?) dopo che furono maledetti nel nome del Signore. La colpa? Aver chiamato ‘pelato’ un tal profeta Eliseo (2 Re 2:23-24). Quando si dice dare una lezione…
250. Gli uomini stimati, con mogli e figli, bruciati o sepolti vivi da Dio per aver contestato l’autorità di Mosè. Il giorno dopo tutti gli Israeliti si lamentano per la strage, e di nuovo Dio scatena l’inferno: ne muoiono altri 14.700 (Nm 16 e 17). Tanto per chiarire l’idea del Signore sulla democrazia… Ricca è la Bibbia di storie dell’orrore come queste, nel VT raccontate come fatti reali e regole, nel NT soprattutto in parabole e promesse, per il divertimento di grandi e piccini. Ottime al campeggio per una serata davanti al fuoco:

Gn 9,20,27; Gn 19,30-38; Es 22,17; Lv 20,13; Nm 15,32-36; Dt 17,12; Dt 28,15-69; Gs 7,20-25; Giudici 11,30-39; 1 Sam 6,19 e 18,27-28; 2 Sam 12,13-18; 2 Re 10; Dan 6,8-25; At 5,1-11; …ecc.

Segue un mucchio di passi che parlano da soli. Inganni, saccheggi, atti di superbia e ambizione, guerre di conquista, massacri e torture immotivate, sacrifici animali… tutto come Dio comanda. Dagli un’occhiata:

Es 32,17-28; Es 7-11 e 12,29-30; Nm 21,4-6 e 36,12-35; Nm 31; 1 Sam 6,13-19 e 15,1-8; Gs 6,20-21 e 11,15-20; 2 Sam 24,15-16; Dt 7,11-24; Es 22,17-19; Dt 21,18-21 e 13; Dt 2,24-37 e 3; Dt 20,10-18; Nm 21,1-3 e 33,35; Dt 14,21; Is 28,13; Dt 28; Ez 20,21-26; Es 3,21-22; Es 13,11-15; Lv 1; Ger 19,8-9 e 20,1-6; Es 21,1-24; Lv 25,44-46; …ecc.

Ci si pone qui un doppio dilemma, mi pare: questi racconti su dio non sono cronache attendibili, ma se si respingono si demolisce l’autorità della bibbia. Se invece si accettano come veri, cosa pensare del comportamento di dio? Ripudiarlo, come si ripudiano i crimini contro l’umanità? Approvarlo, come fosse giusto? Fregarsene, come fosse niente? Altro? A ciascuno la sua decisione, sapendo che c’è in gioco la giustizia, e la nostra dignità.
Fammi il favore, fa’ il conto di quanti nel VT sono morti per la chiara volontà di Dio e quanti a causa di Satana. Ecco. Questo modo di affrontare i conflitti e le rivalità per mezzo di armi, maledizioni e vanità, produce la guerra che viene dal risentimento, oppure la pace che viene dalla paura. Oggi non è per nulla in disuso. Se poi vogliamo credere a dio e dare a lucifero la colpa, forse ci sentiamo tutti meglio, ma restiamo fuori strada, e lontani da una vera soluzione.
Il Nuovo Testamento non è da meno. Sebbene il VT sia più denso di episodi, nel NT almeno 2 idee generali rientrano di diritto fra gli orrori della bibbia: l’idea di una tortura eterna per il semplice non credere – sarebbe troppo persino per un vero reato – e quella di un dio che sacrifica il figlio – a maggior ragione perché è considerato un grande atto d’amore, invece che un tragico delitto. Ne ho parlato nel capitolo Un dio così ci rende schiavi, e proseguirò sotto, in Appendice B.

~ ∞ ~

Botta? Bene!
Nota che non ho fatto che citare la bibbia stessa. Non guardarmi storto, non c’è niente di mio, non ho inventato nulla. È tutto già lì. Leggi.

La bibbia ha il suo fondamento non nella verità, ma nella fede. Chi crede alla cieca crede per principio, se ne frega dei contenuti e in particolare degli errori.
La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono (Eb 11,1). Quanto vero! L’assoluta verità e l’automatica giustizia della bibbia sono un sogno. E se da esse dipende la sua origine divina – se Dio davvero intese darla senza errori – allora anch’essa è un sogno.

~ ∞ ~

Risposte a tutto questo non mancano, e prodighi saranno certuni con le ‘soluzioni’ ai tanti ‘falsi dilemmi’ e agli ‘apparenti paradossi’ che la fede indiscutibilmente pone. Fai bene attenzione quando ascolti: se i fatti non risultano corretti o sono inverificabili, se la logica vacilla e il metodo cade fra i Trucchi, e magari ti si fa pure richiesta di resa riguardo allo scetticismo che proprio quel tipo di risposte ti suscita, sentiti libero/a di reincartarle e inviarle al mittente.

Secondo la mia esperienza, ecco alcune di quelle classiche:
– «Dio ci ha dato la vita, quindi può togliercela. Si chiama giustizia». Cosa? E perché mai? Ci dona la vita ma può riprendersi il regalo quando vuole? Che ragionamento è? Perché dovrebbe essere autorizzato a farlo? Siamo forse oggetti nelle sue mani? Forse che un genitore ‘dispone’ della vita di un figlio, e può torturarlo e ucciderlo solo perché è il genitore? Se questa è giustizia, allora la follia omicida è giustizia, e volerla scusare e assolvere con tanta leggerezza è anche peggio.
– «Dio ha detto a noi di non uccidere, Lui può fare come gli pare. È Dio!». Che? Vuoi dire che se una persona uccide è uno squinternato assassino, se lo fa dio tutto bene? Ma non uccidere vale perché è giusto o perché l’ha detto Dio? Semplifichiamola: 2+2 fa 4 perché è giusto o perché l’ha detto Dio? Se è giusto, lo deve essere anche per Dio. Se dio dice 5, si becca un bel 4 in matematica, e chi gli dà ragione quando comanda battaglia affonda l’etica, la disintegra, perché vi preferisce dio. Altro che etica assoluta, questa è la peggiore forma di relativismo!
Se dio non può essere giudicato per il male che fa, allora nemmeno per il bene. Un crimine è grave per il danno alle vittime, e qui parliamo di persone! Il rango del colpevole non può essere che una aggravante, e qui parliamo di un dio!
È sleale, seppur devoto, chiamare dio giusto (assolutamente giusto!) secondo la nostra morale, e poi continuare a farlo nel momento in cui la vìola. Chi pensa così è sottomesso fino all’osso, fino al punto da rinunciare alla coerenza senza nemmeno accorgersene, fino ad approvare l’orrore. Dio è tanto necessario?
– «Chi siamo noi per giudicarlo?» Questa mi piace. Chi siamo noi? Siamo l’oggetto (letteralmente) dei suoi piani, del suo volere, del suo giudizio. Abbiamo dunque tutto il diritto di giudicarlo. Dall’alto (o dal basso, direbbe il credente) delle nostre capacità razionali e dell’etica umana, la quale ha raggiunto punte altissime e in base a cui organizziamo niente meno che la nostra vita, la convivenza, le leggi dello Stato. Chiaramente inconcepibile dal punto di vista della fede in un dio re e signore; scorretto e arrogante, per chi vi si è sottomesso e si crede soltanto il satellite di un sole. Ma c’è da chiedersi se sia la scelta giusta, se vogliamo questo dalla nostra vita. C’è da chiedersi perché l’aspirazione alla totale obbedienza, a una autorità esterna e misteriosa dai princìpi impenetrabili e dai metodi ingiudicabili, e poi l’intenso sforzo per immiserire la nostra natura e i nostri valori, siano considerati una visione di vita sana, gratificante, lodevole, preferibile.
– «Non è un errore di Dio! Egli ispirò sì degli uomini, ma questi non sono infallibili». Si vorrebbe salvare sia capra che cavoli, permettendo a giorni alterni ora di attestare la verità e autorità della Bibbia, ora di giustificarne i difetti e la rilettura a giudizio della Chiesa. Fatto salvo un piccolo inconveniente: non è logicamente possibile, in effetti, sostenere contemporaneamente che la Bibbia ha «Dio per autore», e che «si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché (…) scrivessero come veri autori» anch’essi (Cost. dogm. Dei Verbum, c. III p. 11). O Dio ha suggerito e supervisionato il testo, e allora ogni errore è un suo errore. O loro hanno potuto fare di testa propria, il che annichilisce l’autorità del libro. Piuttosto invece, poiché l’escamotage confessa l’esistenza di errori, capra e cavoli fanno tutti una brutta fine. Ci dice infatti 2 cose: uno, che dio ha lasciato che la sua parola fosse trascritta in peggio proprio nel testo con cui voleva farsi riconoscere; due, che se in esso vi sono pagine che l’uomo ha potuto incasinare, non è tecnicamente corretto ritenerlo ispirato nell’insieme, e in fondo che vi sia la nostra mano anche nelle sue pagine migliori diventa un’opzione da considerare. Su tutto, il dubbio atroce che l’ispirazione stessa non funzioni, o non sia mai esistita. Mmm… Sembra che la situazione, anziché migliorare, vada peggiorando.
Ecco: di fronte alle tragedie e alle carenze della bibbia, si affaccia alla nostra coscienza una brusca disarmonia fra ciò che andrebbe creduto e ciò che in effetti è. Se ne può prendere atto, a prezzo della fede, una volta per tutte. Oppure indietreggiare, e far fronte all’incoerenza e al turbamento ricorrendo ad esempio alla razionalizzazione, che è il passaggio mentale con cui ci si costruisce una spiegazione di comodo approssimativamente logica e avvalorata dal nulla – aria fritta in mirror-climbing. Questo come altri (citiamone alcuni: negazione, rimozione, sublimazione, idealizzazione, identificazione con l’aggressore, repressione, dissociazione, proiezione all’esterno) sono meccanismi psicologici di difesa, anche inconsci, che soddisfano un bisogno primario – come quello di non attaccare le credenze che ci definiscono, sottrarsi a ricordi dolorosi, o scampare a sentimenti e pulsioni angoscianti – come avendo una ragione ben precisa, ma talmente fragile da funzionare solo per aver fatto violenza a noi stessi, avendo accettato di non vedere, una finzione dopo l’altra. Un autoinganno talvolta utile – ma alla lunga disfunzionale e comunque superabile – al costo indubbiamente più alto di consapevolezza, autenticità, senso di realtà e integrità intellettuale.
– «Dio ha le sue ragioni…» …per comportarsi così? Anche sicari, mafiosi e borseggiatori ne hanno, ci puoi giurare! Il punto è: quali sono queste ragioni? E perché dovremmo accettarle? Perché scagionare Dio come innocente, e non dire almeno «Secondo l’etica umana si è comportato male, ma voglio comunque accettare ciò che ha fatto»? Troppo difficile? Lo capisco. La chiarezza è nemica della fede cieca.
Rileggili e pensa: in quegli episodi della bibbia, Dio aveva o non aveva un buon motivo per fare ciò che ha fatto? Era giusto, moralmente giusto? Era necessario? Era impossibile non farlo? Non c’erano altre strade… per un essere onnipotente?
– «La morte di Gesù ha poi cambiato le regole dell’Alleanza!» Ciò non giustifica i suoi crimini di prima. Inoltre, un dio che cambia leggi e idee a seconda del momento, come già con il diluvio (Gn 6,5 e 8,21), non sembra proprio perfetto, né la sua parola assoluta ed eterna. Esattamente come noi.
E chi ci dice che non la cambierà ancora? Lui ha le sue ragioni…
Ma poi, le ha cambiate o no, con Gesù? Perché secondo la Torah (primi 5 libri del VT) non c’era proprio nulla da togliere o aggiungere, tutto ciò che andava detto Dio lo aveva già detto, e il patto era già stato siglato per sempre. Dio era stato chiaro, e secoli prima di Matteo aveva messo in guardia il suo popolo dai falsi profeti che avrebbero tentato di fuorviarlo, anche in suo nome. Allora, come si può affermare che il Testamento originale fu invalidato dall’avvento di una persona la cui autorità quel Testamento non riconosceva? Puro controsenso, e insistervi corrobora l’ipotesi della rimozione inconscia della dissonanza cognitiva.
– «Ma Dio ci ama!» A volte non lo dimostra. Qualsiasi criminale può essere giustificato credendo che ha ‘le sue ragioni’ e ‘però ci ama’. Qualsiasi dittatore tiranno, qualsiasi partner schizzato e genitore violento. Sta a noi realizzare che per certe azioni non c’è scusa che basti, perché non esprimono amore! Nessuno di essi è 100% cattivo, ma nemmeno 100% buono. Per lui amare è questo? Problema suo. Ci ama? Ciò non basta a scordare il male che ci fa. E noi non dobbiamo per forza accettare questo tipo di amore, né siamo in dovere di contraccambiare. Sei preso/a dentro a ’sta cosa? Resisti e liberati! Non mentirti. Meriti di più.
– «Al tempo fare così era normale!» Sì, perché erano ancora civiltà sanguinarie e primitive, dal punto di vista dei diritti dell’uomo. Non stiamo parlando di pettinature alla moda, ma di stragi seriali e crudeli torture. L’hanno fatto, ma non avrebbero dovuto. Era lontano per loro il tempo di capire. Ma un dio, un dio doveva già saperlo. Un dio onnisciente e onnipotente, un dio Amore e Giustizia, un dio che ha deciso di intervenire poteva allora prevenire, dividere i litiganti, mediare per la pace, insegnare a convivere. Non pensi anche tu?
Ma questo lo facciamo noi oggi. Lui invece che decide di fare? Cavalca al fianco dei suoi protetti, suona la carica, guida l’attacco! Comanda, aiuta e gradisce stragi e saccheggi, andando ben oltre la legittima difesa.
Pare che dio si sia adattato ai costumi violenti di quella gente, ma se è così la sua morale è relativa e volubile. E se aveva un piano, è costato molto sangue innocente. O forse, si è comportato come il peggiore dei briganti solo perché dei briganti… lo immaginavano così. Dovendo scontrarsi di continuo con vicini dalla spada facile quanto loro, credere a una specie di super-guerriero che approvava dall’alto le loro scelte gli avrebbe dato coraggio e legittimazione… Beh, fatto sta che quelle azioni e i princìpi che le guidarono, magari mai accadute ma finite in un libro sacro, oggi sono carta straccia. Al tempo era normale? Non vuol dire che fosse giusto, e dio – se esiste – ha la sua responsabilità.
– «Ma il pensiero della Chiesa ovviamente si è evoluto!» Ma certo, è naturale. Se è cambiato però, non è assoluto. Se è migliorato, prima era sbagliato, era peggiore. Nei princìpi, nei metodi. Naturale, no? Se si hanno zero problemi a difendersi col ‘si è evoluta’, accettare che quindi ‘prima era sbagliata’ richiede uno sforzo di onestà e coerenza, a mio parere.
Ammettere serenamente che il divin messaggio è stato dato a popoli antichi nei modi adatti al loro semplice livello di comprensione, che letto nel contesto di allora è perfettamente spiegabile, che ogni secolo porta naturali riletture e più corrette interpretazioni, e nel contempo affermare che è assoluto, immutabile, perfetto, vero e giusto ora come allora e pur sempre ispirato, mi pare un altissimo esempio di come la fede passi per una logica aggrovigliata e renda possibile credere seriamente qualsiasi cosa. L’abitudine di restaurare il proprio credo mantenendolo valido prima e dopo è comune quanto quella di piegare i fatti al credo anziché viceversa, e a quella di seguire una dottrina alla un po’ come mi pare dicendosi lo stesso cattolici (o quant’altro). Il tutto con una spontaneità disarmante. Abilità eccezionali, tutte lì nel tentativo di quadrare il cerchio con il rigore di un fumogeno. È duro e costosissimo diventare esperti nell’arte di prendersi per il didietro.
– «Ciò che conta non sono le varie storie, ma il significato dietro di esse!» Ah, come le favole di Esopo! O i favolosi Miti greci! Che differenza c’è, allora? …Ma non era verità ispirata? Perché non raccontarla subito bene, ma dargli giù di metafora? E perché scegliere anche brutte storie? E dov’è scritto esattamente quali passi lo sono, perché nel testo non si fa differenza? Il fatto poi che siano state date vere per secoli, non vi spaventa, non vi fa dubitare della fede come mezzo di ‘verità’?
Perché allora anche oggi si insegna ai bambini proprio di Adamo ed Eva, del diluvio, della croce? Come scegliere ciò che è reale e ciò che è metafora? Qual è il criterio di distinzione, o tutto può essere vero o allegorico solo a seconda di quanto ci piace? Cioè, se nel raccontare una partita si dice che è finita 3 a 2 e che ha segnato il portiere teletrasportandosi in area avversaria, dobbiamo credere al teletrasporto? E al risultato finale? Che differenza c’è? E perché i nastri della moviola sono scomparsi? Saranno mai esistiti? E la partita?
Se è metafora, come sapere se il suo significato però è vero? E che significato può avere una brutta storia, se non in sintonia con essa? Perché se in un punto l’autore ha scelto di scrivere una certa cosa negativa, si dovrebbe noi vederla comunque in senso buono (es. in Lc 14,26 la parola greca è miseo, cioè proprio odiare)? Perché sistematicamente spiegare un passo brutto con un altro migliore, come se quel passo da sé non valesse, e andasse corretto? Perché non viceversa, allora, se non per un pregiudizio?
Perché arrotondare tanto i significati, ma chiamare lo stesso la bibbia infallibile così com’è? Con che sicurezza e che presunzione dare un nostro senso a ciò che dio volle dire? E perché è necessario farlo?
Già la storia come storia non era provata, adesso dovremmo fondare una vita sul ‘senso’ che avrebbe, cioè che gli diamo noi? “Dio ha creato l’universo, noi lo abbiamo tradito, Gesù è sceso a riparare”, il resto è mancia? Immagino poi che la storia di Gesù resti vera, ma essa dipende da Genesi, e se Genesi non lo è…
Le allegorie illustrano ciò che per l’autore è la verità. Ma chi ci dice che lo sia davvero? E se per spiegare una verità si fa uso di animali parlanti, come in Esopo, o di dèi, come nella bibbia, è logico credere che questi esseri vivano davvero? Si può capire allora l’indignazione di centinaia di milioni di cristiani, anche cattolici, che inorridiscono all’idea – di altri milioni di cristiani – di ridurre ad artificio letterario quella che per loro è la reale parola di Dio. Cercando di ridargli dignità, però, affogano nelle imperfezioni bibliche; mentre chi si aggrappa alla ciambella della metafora, fa un affronto alla bibbia e a dio stesso. Chi non crede né a l’uno né all’altra, invece, è bell’e a posto.

Sigh!
Rapidamente, qualche altra: «Ma Dio ha un piano (e ciò lo giustifica?); il Vecchio Testamento per noi non vale (falso: è sacro, è necessario. V. Ccc 123); vanno lette nel contesto (certo! Ma le singole parole scelte avranno pure il loro valore). Dopotutto è Dio che fa le regole (quindi può romperle a piacere?); la parola greca/la tradizione ebraica ha un altro senso (sicuro/a? Spiega pure). Nel caso di contraddizioni basta unire i 2 racconti (affatto! Sarebbe come scrivere un 5° vangelo. Chi ci autorizza, su quali basi? Se si può unire, si può anche scartare entrambi!); però altrove dice anche il contrario (e allora?); io credo alla bibbia e non necessariamente alle sue traduzioni (tutte le bibbie sono traduzioni); la scienza conferma tutto (falsissimo). Sono errori minori (per niente. Comunque, crolla l’infallibilità); la mia bibbia non dice così (dimostra che le varie traduzioni hanno senso diverso: tutte parola di dio?); ma qui potrebbe essere che/probabilmente invece (forse. Quindi incerto. La Verità dov’è?). Se è nella Bibbia è vero (pregiudizio!); non possiamo capire Dio perché siamo limitati (che ne parliamo a fare?); la Bibbia parla al cuore (di chi si predispone. Soggettivo, relativo: lo fu scriverla, lo è leggerla); è perché così Dio mette alla prova la tua fede (facendo errori e orrori? E poi chiedendo: mi ami ancora?)».
Infine: «Come ti permetti, tu non sai chi sono dio!», o anche «Bibbia infallibile, ateo sbaglia, io so!», o ancora «Bla-bla-bla, la-lallalla-laaaaaaaaaaaaa» (tappandosi le orecchie con le dita).
Niente da fare, nessuno di questi argomenti funziona: sono soluzioni spelacchiate, più o meno raffinati accomodamenti, non di rado veri contorsionismi logici. Bene che va, la spiegazione che appiana il problema ha lo stesso valore di quella che lo evidenzia.

Ne segue che la bibbia è chiara e armonica soltanto se si evitano le sue parti sbagliate, e se si sceglie arbitrariamente la spiegazione che fa comodo. Cioè se si presume che dio sia buono giusto ecc. e si fa calzare il resto.
«Dev’essere come credo!». «La mia è la vera, ne sono certo!». «Dio mi ispira!». Ma perché allora non ispira tutti allo stesso modo? Esistono 3 grandi religioni, diversi sottogruppi e un’infinità di piccoli culti basati sullo stesso libro! E dunque il problema resta: dov’è il giusto? Il vero? Soprattutto, dove l’assoluto?

«Io sono la via. Per la segnaletica, arrangiatevi». «Chi ha orecchie per intendere intenda, poi ci passi gli appunti». «Io sono la luce del mondo. Ah, già avete lampadine a basso consumo?».

Sintesi: non importa se un passo può essere interpretato positivo, se può essere ‘armonizzato’ con un altro simile (come se i due autori avessero scordato di dire l’uno le cose dell’altro) e se c’è anche del buono nella bibbia: il fatto che vi si trovino parti discordanti e interpretabili, azioni immorali autorizzate e pessime lezioni di vita, rende meno che perfetta quest’opera, meno che divina la sua confezione, meno che chiara la via per il paradiso, meno che certa la sua esistenza, meno che roccia la base della fede, meno che sicura la parola di chi crede.

~ ∞ ~

C’è al mondo un cristianesimo liberale che ha accettato il problema. Non prende la bibbia alla lettera, è cosciente degli errori e ritiene che le parti da film horror non abbiano valore quanto il resto, perché in contrasto con la loro idea di dio. Già meglio! Da parte cattolica, nel 2005 i vescovi di Inghilterra, Galles e Scozia hanno pubblicato un documento dottrinale in cui scrivono fra l’altro:

«Non dovremmo aspettarci totale accuratezza dalla Bibbia su (…) temi secolari. Non dovremmo aspettarci di trovare nella Scrittura piena accuratezza scientifica o completa precisione storica». (The Gift of Scripture, p.18. Traduzione dall’inglese).

È un inizio. Come al solito, quando una posizione non è più storicamente, logicamente o socialmente sostenibile, eccoli che cambiano pelle e si adeguano, continuando però a ritenere il loro punto di vista… ispirato. Sì, come può esserlo un camaleonte. Cambiano, e tornano a chiamarlo vero cristianesimo.
Ovviamente l’autorevole testo non ha mancato di sollevare polemiche, proprio fra i cattolici (ma non in Italia, dove guarda un po’ è quasi sconosciuto). Il Vaticano tace, perciò non nega, ma nemmeno conferma. Comodo eh?
La parte sulla salvezza, naturalmente, quella resta vera, sì sì. Già! Uh? Ma… Eh??
Ma il punto è sempre quello! Se la bibbia ha anche un solo episodio sospetto, una sola parola dubbia, un solo piccolo errore – e sono molti di più – non può essere presa per infallibile, nemmeno nelle parti che ci piacciono: la sua credibilità è ferita a morte, e soprattutto in quei punti teologico-resurrezional-miraco-listici che – al contrario dei temi secolari non possono essere verificati.
Parola di Dio lo stesso? Credendoci sì (et-voilà!), ma come insistere che è tutta giusta, o che la sola metà bella è divina? Come pretendere di saper separare con mano ferma il suo messaggio vero dall’errore dell’uomo che scrisse, copiò, interpretò? E come crederlo assoluto, perfetto, eterno?
Con che diritto scartare le parti brutte o false solo perché dio, in altre parti dello stesso libro, è descritto bene, o chi crede lo dà per scontato? E come la mettiamo con la storiella dell’‘ispirazione’, che riguarda tutta la bibbia, quindi anche gli errori? Vogliamo fare come nulla fosse? Vogliamo credere quello che vorremmo ci fosse scritto, ma non c’è? Difficile, se non prendendoci a schiaffi con la fede.
Ostinarsi a non vedere i limiti e i difetti del librone nonostante l’evidenza, discolparlo ad ogni costo avventurandosi in spiegazioni razional–inverosimili… dev’essere un gran peso. Perché?

Stai ai fatti, verifica i fatti! Confronta l’etica degli dèi con la tua. Liberamente, giudica. E nel dubbio, dubita.

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Beh, come ogni libro sacro e non solo sacro, la bibbia contiene parti interessanti, suggestive, profonde, quindi di un certo valore. Ma crederla perfetta e coerente, moralmente impeccabile, e perciò lasciare che sia essa a guidare il nostro mondo, credendo di trovarvi già tutte le risposte e le più giuste, è certamente poetico, ma è anche l’arresto cardiaco della ragione, e – a volte – ruggine emotiva.
Perché non considerarla un libro riuscito a metà, da non prendere troppo sul serio? La bibbia, quale volontà di dio delude, però come rozzo sforzo d’uomo non è male. Accettato questo, si potrebbero finalmente gustare le parti migliori senza dover difendere le peggiori… Che ne pensi?

Tu, sei libero/a di non annodarvi il cuore. È un invito a buttare a mare i dogmi, e a fare scelte nuove.

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Se qualcuno leggendo queste righe fosse rimasto scosso, lo capirei. Mi dispiace! Mi dispiace per chiunque giunga a perdere le sue illusioni (penso naturalmente che sia un bene).
Probabilmente c’è chi a caldo avrebbe proprio voglia di darmi un pugno sul naso… Lo capisco, gli direi, ed è una sensazione legittima (non per la bibbia, invero, secondo cui Mt 5,39 e 5,43 e 7,1-6; Lc 6,29; Gv 8,7; Rm 12,17-21) ma se lo facessi, confermeresti ciò che dico. Sono certo puoi capire che c’è differenza fra riflessioni come queste, sincere e ragionate, seppur pungenti e penose, e l’attacco puramente polemico o ingiurioso. E conto su una tua risposta altrettanto corretta.
Io non voglio screditare la religione, ma confutarla. È qui che dobbiamo affrontarci, sul terreno dei fatti, a colpi di argomenti. Gli direi: sappi che io non crederò per fede. Mi serve qualcosa su cui ragionare, una prova decisiva o un motivo di interesse. Se invece… prove non ce n’è, e nel setaccio che tieni in mano resta solo fede e interpretazione, allora per me è troppo poco. Naturalmente hai diritto alla tua opinione. E anche io. La legge, ci protegge. Più ancora: io rispetto il tuo diritto a credere e a pronunciarti, e tu il mio.
Poi si discute sulla tesi migliore, e sulla qualità dei ragionamenti e dei fatti e dei modi con cui le sosteniamo, ma ora prova a richiamare i tuoi valori personali: puoi accettare che altri abbiano idee diverse? Che le possano esprimere, come tu le tue? Sei disposto/a a parlarne senza sentire l’obbligo di imporle? Ti sei chiesto il perché di tanta furia? Ne sei contento? Sei convinto/a anche tu comunque, che è meglio aiutare a capire senza ferire? Spero di sì: godiamo degli stessi diritti, e possiamo lasciare che i lettori scoprano dov’è la verità, mettendoli nella condizione di scegliere con cura. Dai coraggio, diamoci la mano. Dio certo non mi teme, e poi già vado all’inferno… gli direi!

~ ∞ ~

Questa, la mia critica alla bibbia. Vai dai, stacca se ti serve, rinfrescati un po’. Perché, dopo la bibbia, è in arrivo un altro pezzo forte.

Gesù è il più grande maestro morale di ogni tempo
Azz… Ce ne vuole per crederlo. Come ho già detto – e cito me stesso – credere a cristo è credere ai cristiani (…) non è Gesù che ha scosso il mondo, ma ciò che ferventi seguaci hanno voluto dire fare credere e ripetere della sua figura, chiuse virgolette.
È fortissima l’idea che Gesù sia stato il più grande maestro di morale, che sia stato buono come nessun altro e che visse senza peccato. Anche fra i non credenti, questa è considerata spesso una immagine persino ovvia. Di sicuro lo è per chi vuole crederlo, e per chi ritiene che quest’uomo sia al di sopra di critica, nel qual caso parlarne diventa inutile. Ma se con un pizzico di obiettività si legge la sua storia, penso non si possa evitare di osservare come Gesù sbagli più e più volte, in azioni e pensieri che non esisteremmo a giudicare male in qualsiasi altra circostanza. Perché allora egli non lo meriti, è una scelta di puro pregiudizio. Che possiamo non fare.
Se anche su uno solo di questi difetti – anche piccolissimo – tu fossi d’accordo, avresti se non altro disintegrato l’idea di perfezione, di modello ideale (la perfezione non ammette alcun difetto, per quanto piccolo). Dirai: gran risultato, non ti basta? No, non mi basta, e non basta neanche a te, spero: qui stiamo parlando di vita e di etica, perciò spazzare via l’idea di perfezione conta, ma meno di decidere se quello che resta ci piace, ci fa bene. A questo punto, dobbiamo riflettere sul Gesù uomo, sull’esempio di vita che ci offre, e vedere se davvero soffre solo di quel piccolissimo difetto o invece di grandi difetti, e quindi dove e come il suo insegnamento può essere migliorato. Da noi, uomini come lui.

Allora ora parliamo di Gesù, non di ciò che dissero gli apostoli o la Chiesa dopo di lui.

È fuori dubbio che Gesù fosse essenzialmente per la pace e l’amore. Un saggio innovatore, per quel tempo. Eppure il suo breve messaggio noi lo completiamo a modo nostro, e quando lo consideriamo ‘assoluto’ ci sfugge che Gesù non fu né un amorfo pacifista né un condottiero autoritario, non bianco e non nero, ma un uomo fra pregi e difetti. Vedere tutto in termini di ‘luce contro buio’, ci rende ciechi alle sfumature e ai colori. E il mondo È sfumature e colori! A volte davvero la scelta è di tipo sì/no, ma in altre occasioni e non di rado c’è anche il forse, non so, per ora, in questo caso, poco, tanto… Dipende!
Purtroppo a non capirlo era Gesù stesso (es. Mc 9,43-49; Mt 7,17-20; Mt 12,30 e 33; Mt 26,11; Gv 3,19-21 e 36; Gv 10,8), e non è un caso che proprio lui è portato continuamente come esempio, nell’insegnare questo grezzo, tragicomico modo di ragionare per rigidi e irreali opposti, scremato delle naturali vie di mezzo: povertà/ricchezza, afflizione/vizio, mitezza/superbia, verità/menzogna, santità/pecca-to, amore/odio, anima/corpo, Dio/caos, bianco/nero, bianco/nero, bianco/nero!

Naturalmente, non essere il più grande non vuol dire essere totalmente un fallito, è chiaro. Ne ha fatto di bene. Solo, accidenti, sempre a metà!

– Credeva nel suo sacrificio di salvezza, ed è apprezzabile. Ma anche sciocco.
– Ha guarito ammalati, ma non ha messo a disposizione alcuna abilità medica, affinché potessimo continuare a curare la gente una volta andato via lui.
– Ha un’alta opinione delle donne e la esprime in diversi episodi significativi (v. Maddalena, Marta, la samaritana, la prostituta), ma poi non ha scelto donne fra gli apostoli. Non ha predicato mai pari diritti per le donne contro la violenta idea maschilista di quei luoghi. La loro angusta condizione, i ruoli minoritari e la posizione remissiva e dipendente dall’uomo hanno potuto così, da Paolo a Ratzinger, essere non solo ammesse e comandate, ma encomiate e rese indispensabili.
– Ha chiesto di aiutare gli emarginati, ma poi li ha benedetti e ne ha incoraggiato l’umile condizione e la povertà di spirito. Non ha condiviso con loro un soffio della sua enorme cultura (in teoria è onnisciente), non ha favorito il loro affrancarsi dalla povertà (ma anzi il vendere tutto e non preoccuparsi del futuro, che ingenuità), non ha incoraggiato la lotta all’analfabetismo, le scienze o la filosofia, né il farsi mentalmente abili (ma anzi il riparare nella fede).
– Non si è curato di mostrare l’importanza del rapporto coi figli come fonte del loro benessere domani, non ha riformulato il 4° comandamento (citandolo anzi così com’è) né corretto le insane abitudini educative del vecchio testamento (Es 21,17; Lv 20,9; Dt 21,18-21; Pr 13,24 e 19,18; Pr 20,30 e 22,15 e 23,13-14; Pr 29,15 e 17; ecc. cfr Eb 12,5-11; Ef 6,1-3) preoccupandosi di difendere solo i piccoli che già credono dalle occasioni di peccato (Mc 9,42; Mt 18,6; Lc 17,2; skandalizo=incitare al peccato) e lodandone l’ingenuità di fede (Mc 10,13-16 e Lc 18,15-17)… cosa per cui appunto certi metodi servivano. Briciole.
A causa di questo, per non pochi credenti ancora oggi è uso ‘disciplinare’ i bambini con la forza, convinti anche in buona fede che sia necessaria per il loro bene, o di certo combinerebbero guai. Lo dice la bibbia, e se lo dice la bibbia… Ma è proprio il contrario: è la prepotenza verso di loro che crea i presupposti del caos. Fra severità e permissività, ci sono modi ben più efficaci di insegnargli le regole, modi con cui genitori e figli si accolgono invece di respingersi tipo autoscontro, nell’affrontare le effettive difficoltà di crescere e convivere. Modi che non sono più un mistero, oggi, come hanno capito veri educatori e genitori sensibili, anche cristiani, superando di molto questi miseri riferimenti biblici.
– Ha parlato di Verità, ma poi non l’ha spiegata bene. Il suo modo di dissertare fu poco chiaro e poco sistematico, tanto da dover essere perennemente spiegato e interpretato. Ha lasciato che fossero altri a farlo per lui, in tutti i secoli a venire, con conseguenze positive, ma anche drammatiche, nel nome della stessa fede. Ora i cattolici lo ricordano torturato in croce: in questa forma migliaia di suore lo amano e lo ‘sposano’ (!), milioni di bambini lo vedono tutti i giorni appeso innocente e sanguinante, …che incubo per i loro giovani cuori!
– Ha parlato di giustizia, ma vede le cose in bianco e nero (es. Mt 5,27-28 e 10,16-17; Lc 11,23 e 16,10) e per il solo non credergli (si faccia o no del bene) fa pendere la bilancia verso le fiamme dell’inferno (Mc 16,16; Mt 10,14-15; Lc 10,10-16; Gv 3,36 e 15,5-6 e 20,20). Non resta e non combatte per essa in modo da provocare cambiamenti politici e sociali, cercando il faticoso dialogo con le istituzioni e risicando piccoli miracoli di umanità ora dopo ora, come grandi uomini e donne mezzi sconosciuti fanno ogni giorno, ma si fa prendere e si fa uccidere, si ‘sacrifica’ per 6 ore e poi vola in paradiso, avendo liberato il mondo a parole, in realtà lasciandolo tragicamente colpevole, ignorante e pieno di problemi come prima. Chiamalo maestro di vita!
– Ha invitato a vivere insieme in pace, ma non ha né insegnato a comunicare meglio fra persone per prevenire, né sostenuto l’idea di rispetto reciproco. Che pace è quella che viene dal perdonare tutto, anziché dall’accordarsi e dal rispettarsi? Perdonare, da solo, non ferma il male. Gesù non ha parlato di uguaglianza se non davanti a dio, non parlato di libertà se non dal peccato, non ha parlato di etica se non come obbedienza, né di prosperità se non come ricompensa.
– Non ha spronato alla democrazia e non si è battuto contro la schiavitù – che è esplicitamente permessa da dio nel VT – e l’ha pure sottintesa in detti e in parabole – dunque ammessa e legittimata – non a caso per descrivere il rapporto con Dio. Nessuna meraviglia che per lunghi secoli, fino a tempi recentissimi, il cristianesimo l’abbia apertamente praticata, sventolando la Bibbia. Il Principe della Pace che un momento insegna di non opporsi al male, il momento dopo non viene a portare la pace interiore (Mt 5,21-22; Mt 10,14-15; Mt 10,28 e Lc 12,5; Gv 8,44-47) ma la spada, la divisione (Mt 10,34-39; Lc 12,51-53 e 14,26; le mine, Lc 19,27; Lc 22,36; Mt 8,22; Mt 10,5-6; Mt 19,29; Lc 11,23), e poiché come al solito non si spiega bene (chi non è con me è contro di me: non proprio parole da pacifista) i versi lasciano intendere il significato peggiore, visto pure che non condanna esplicitamente la guerra (ma anzi la usa in una parabola), che si può in teoria amare il nemico e proprio per questo punirlo, che lo si può fare benissimo non per odio o vendetta ma per giustizia, difesa o causa più alta.
L’ambiguità di Gesù sul tema e queste corrette deduzioni, oltre certamente alla lezione di altri autori della bibbia, non sono sfuggite né ai padri della chiesa (es. Agostino, Tommaso) né al papato stesso, tanto che vi hanno cristianamente giustificato prerogative di casta, disuguaglianze sociali e di genere, appropriazioni indebite, corruzione d’anime, guerre (es. le crociate) torture (es. Inquisizione) e spedizioni punitive contro infedeli, eretici, miscredenti e ogni sorta di ‘ribelli’ ai loro scopi, leggi e privilegi. Cose simili fecero anche i Protestanti. Nessuna meraviglia se tanti premurosi credenti seguono da sempre e ancora il loro esempio. È così facile giustificare un’azione violenta contro persone dal credo differente, convinti che ‘Dio è con noi!’. Non si pensi che l’Occidente cristiano abbia completamente superato questa fase. Per esempio, esuberanti frange evangeliche USA gradiscono l’idea della ‘guerra giusta’ in politica estera (sostenuta dal precedente governo repubblicano), censura e azioni anche violente fanno ancora vittime reali fra gente discriminata e colpevole di trasgredire precetti divini, si chiede che USA ed Europa siano ufficialmente titolate oggi ‘società cristiane’ in ricordo del passato (!), si spinge affinché le leggi dello Stato, la ricerca medica e la morale di tutti siano conformi e limitate alla presunta volontà di Dio.
Di fatto, su come ottenere la pace Gesù non ci ha illuminato (cfr Mt 5,38-40; Lc 6,35), né è stato chiaro sui motivi per cui va difesa. Per me ad esempio il semplice non credere non c’entra proprio niente, ma invece fa imbestialire Dio (VT, inferno) e Gesù (es. Mt 9,42 e 10,33; Lc 19,27; Gv 15,6), che pure in altri passi condanna invece le opere ingiuste.

È d’uso credere che prima di Gesù ci fosse alieno il concetto di essere tutti fratelli, che l'idea di uguaglianza prima di lui neanche esistesse. Non è un ottimo esempio di infelice idealizzazione? La fede lo consente, anzi lo richiede, e non ci fa più sentire lo sforzo razionale pazzesco che ciò impone. Forse che la stessa antica idea di Padre, non ci rende già fratelli? Forse che già nel VT l'idea non era presente (v. Gn 1,26-28; Lv 19,33-34; Dt 1,16-17 e 10,17-19; Gb 31; Sal 7,4-6 e 8,5-9 e 32,14-15; Pr 22,2; Eccle 9,2)? Forse che il ‘secondo più grande comandamento' non ha origine in Levitico 19,18? Forse che nessuna cultura, prima e fuori dal cristianesimo, ha prodotto riflessioni simili? Gli oppressi che lottarono per il proprio riscatto da che mondo è mondo, non chiedevano forse la stessa libertà e gli stessi diritti riservati ai potenti, constatando disparità e ingiustizie? E dov'è che il buon Gesù ne ha parlato in termini categorici, esattamente? Meglio ha fatto Paolo in alcune lettere, e molto di più noi in tempi moderni. Per secoli fino ai giorni nostri questo preciso messaggio è stato il meno centrale della dottrina cristiana, sbocciando invece nel cuore delle persone più sagge e sensibili di ogni credo e filosofia. È relativisticamente un piacere che il cristianesimo di oggi – figlio di una cultura che ha codificato i diritti umani e solo da qualche decennio si sforza di essere universalmente paritaria e giusta, di nome se non di fatto – rilegga e interpreti il testo biblico alla luce di quelli, ma è paradossale che pretenda credito esclusivo per le idee di uguaglianza e dignità dell’uomo perché uomo, per la fine della schiavitù e l’inizio della democrazia, quando queste idee non sono per nulla insegnate in modo diretto, chiaro ed esplicito in alcuna parte del nuovo testamento, per bocca di nessuno degli ispirati autori, e lo è piuttosto il contrario.
Il messaggio biblico è davvero una spada a doppio taglio. Questa doppia faccia della dottrina divina non può – a mio avviso – che generare confusione e tormento, le quali però devono essere ingoiate come prelibatezze. Che danno!

Poi: perché pace e non anche benessere? Prendi il Discorso della Montagna (Mt 5; Lc 6,17-38): per molti è la summa del cristianesimo, un codice di vita. E cosa ci propone? Beati i poveri di spirito. Gli afflitti e i sofferenti. I miti, docili e sottomessi. Uao, questa sì che è vita!
Beati gli affamati di giustizia, cioè quelli che non ce l’hanno. Beati loro!
Beati i misedicordiosi. Buono, ma a volte la compassione non fa rima con giustizia, né con umiltà. Beati gli operatori di pace, non i pacifisti. Ma allora anche molti tiranni volevano la pace (a modo loro), e si può anche fare una guerra per averla… Anche questo concetto è interessante ma incompleto. E certo essere afflitti e miti non è il modo migliore per essere operatori di pace.
Beati, non coloro che cercano attivamente giustizia, ma solo chi nel farlo viene perseguitato. Grandioso!
In Luca: beato il povero, l’affamato, chi piange, chi riceve odio e insulti. Guai al ricco, a chi è sazio, a chi oggi ride. E guai a chi è così in gamba da meritarsi la stima di tutti. Spettacolare.
C’è un minimo di bellezza in questo ideale di vita? Un minimo di senso della realtà? Da poveracci impotenti sulla terra si va in paradiso… Dio così vuole essere incontrato. Beh, grazie, Dio. Una vita di stenti, grazie!
Si capisce l’estremo effetto consolatorio di queste parole su chi fa una vita da schifo, ma qui non c’è niente di rivoluzionario, anzi. Si celebra il successo delle cose come stanno, si offre a chi soffre non una via di uscita reale e immediata, o strumenti efficaci di risanamento e salute, ma l’onore di sguazzare nel proprio guano. Come se non fosse già abbastanza, come se non potesse essere diverso, come se fosse… normale.
Siete poveri, restate poveri. Lasciatevi perseguitare oggi, domani lasciatevi ricompensare. Non siete voi i padroni della vostra vita! Se qualcuno ce l’ha con voi, cercatelo e riconciliatevi voi con lui. Se siete voi ad avercela con uno, giammai neanche adiratevi (non serve? Fa male al fegato? No, per evitare castighi). Se l’occhio o la mano ti tentano al peccato, cavateli (non stare a capire perché, non darti fiducia, taglia, cioè reprimi, e pensa al paradiso). Non opporti al malvagio (nemmeno senza violenza), anzi dagli più di quanto ti prende, e poi perdonalo (come schiaffo morale? Per ‘cambiarlo’, o dargli almeno da riflettere? No, solo per meritare un premio più grande). Non giudicate e non punite l’ingiustizia, così che anche la vostra non sia contata. Di certo, quando agirete in mio nome, la gente vi insulterà e allontanerà (?), ma voi non chiedetevi perché e non cercate altri mezzi, anzi rallegratevi: è ovvio che voi siete nel giusto, e martire fa bello. Ci vediamo in cielo!
Decisamente non è un modo per costruire benessere in una società migliore. Certo non è il meglio che si può fare, anzi è ottimo per indurre e perpetuare una mentalità passiva e sottomessa (all’autorità, che intanto comanda e si arricchisce), senza passione né consolazione se non nella favola di Dio.
Esaltare l’amore è stupendo, ma a questi livelli si fa un gran casino… Essere miserabili diventa una benedizione, che dunque si fa orgoglio, forza, merito, gloria… giustizia! Al centro c’è il derelitto – non l’uomo – e la consolazione – non il benessere. Anziché vederla come una brutta situazione, temporanea e da risolvere, lottando, usando come arma però la nonviolenza, per tale scopo essenziale e improrogabile, Gesù ha chiesto a un popolo già maltrattato di accettare, di continuare a subire, di perdonare, persino amando chi ci fa del male. Qui parla chiaro: nessuna resistenza attiva e nonviolenta, nessun appello a una coraggiosa e organizzata ribellione al male pur senza crudeltà, nessun programma specifico di miglioramento sociale. Oggi a molti piace leggerla così, come se in queste sue parole ci fosse tutto il grande Movimento Nonviolento di oggi: si tratta però della solita devota idealizzazione, e spesso della solita servile trasfusione in cristo di quella naturale generosità e forza morale che ai cristiani non è dato riconoscersi dentro.

Confronta il Discorso della Montagna con tecniche, scopi e discorsi di Gandhi o Luther King o altri leader: c’è una differenza abissale, no?
Ancora più incredibile, rispetto alla proposta gesuana, è il fatto che gli ebrei non solo conoscevano da prima di lui il vero senso della lotta nonviolenza, ma lo praticarono. Giuseppe Flavio ne riporta alcuni casi, fra cui quello avvenuto nel 26 per opporsi ad uno dei primi atti ufficiali di Pilato procuratore (Guer. Giud. 2.IX.2-3): pur di non veder piazzate in Gerusalemme le insegne imperiali, per 5 giorni e 5 notti una moltitudine da tutta la regione protestò sedendo in gruppo; il 6° giorno, all’ordine di ucciderli sul posto, esposero il collo alle spade dei soldati. Pilato cedette. Ora, quello fu un esempio!
Un conto è arrendersi senza violenza, un conto è combattere senza violenza. Forse questo di Gesù si vedrebbe con chiarezza, se non si fosse persi a mitizzarne la figura.
Il «Gesù intendeva dire che…» non regge, perché se Gesù lo intendeva, l’avrebbe detto con parole sue. Invece, c’è soltanto il più generale riconoscimento che chi soffre ingiustamente non lo meriterebbe. Continui a soffrire dunque, e si ritenga pure fortunato/a! Perché per questo non c’è speranza terrena, ma Dio apprezza molto, e risarcisce alla grande. Gesù si preoccupa molto di più del futuro che del presente, del peccato e del Regno più che del reato e del mondo. Tutto è solo metro di misura di un giudizio alla morte, tutto si fa per meritare il paradiso. Nessun’altra ragione è data.
In tempi di emergenza civile, Gesù si occupava di preparare le anime all'eterno.
Ha un cuore buono, ma è disilluso, cinico e pessimista riguardo a questo mondo, entrambe le cose nel vangelo sono evidenti. Se ebbe mai un piano realista e pragmatico di lento miglioramento dell'uomo, è forse possibile che il suo senso d'impotenza, sommato alla fede dei padri, possa averlo convinto a rinunciarvi, in favore di una favola di libertà ultraterrena presto a venire? Senza dubbio sì. Non bugiardo, né pazzo, né dio, ma un ragazzo sensibile di carattere passionale, credente fra credenti per lunga e precoce formazione, straziato per anni da una esperienza sociale critica, divenuto lucido e convinto visionario, trovando un punto di equilibrio – disfunzionale – fra queste tre pesanti sfere d’influenza interiori. Forse è andata così. Allora, anche il patetico discorso della montagna acquisterebbe un senso, un suo perché.
Beati i puri di cuore, non affinché al mondo serva mai a qualcosa, ma poi vedranno dio. Si preoccupino qui ora soltanto di non diventare come i lupi. Non siate lupi, ma – all’opposto quanto il bianco è opposto al nero – agnelli, come me. Riforma sociale, cambiamento radicale? Soltanto speranza. Parlava ai poveracci di come ottenere la vita eterna, non una vita felice. Stanti le disuguaglianze terrene (politiche, economiche, sociali, morali), offriva una sorta di parità ‘spirituale’, un’emancipazione figurata, libertà immaginate e premi postdatati, la facile serenità che viene dall’immaginarsi oggetto d’Amore, e un altro sistema patriarcale. Rinfrancandoli dunque, ma all’idea che la realtà fosse altro dal porcaio in cui sarebbero vissuti e morti, e le sofferenze passeggere, anzi necessarie; convincendoli a sopportare il loro status sotto il regime, in attesa di un altro regime, di un altro Re. Un re che stavolta avrebbe innalzato loro, per averne fatto la volontà, di nuovo oggetti passivi di umori altrui non meno che da vivi, ancora una volta dispensati dall’essere talentuosi artefici della propria sorte. Questo ci dice Gesù, da persona sensibile, ma figlia del suo tempo.
Noi oggi sappiamo molto di più sull'efficacia dei rapporti umani, sui come, i perché e gli affinché della psicologia dei sentimenti. Siamo – e possiamo essere se vogliamo – al timone delle nostre vite, e quello che va fatto lo sappiamo fare meglio. Custodiamo proprio per questo, una speranza e una fiducia per il mondo che invero non è mai appartenuta né a Gesù, né a tanti e tanti cristiani d'oggi.
Non a caso, per molti cristiani questa è un’etica soprannaturale, evidentemente una sfida a quella umana (considerata solo negativa [bianco/nero] e insufficiente), e sono felici di praticarla (o almeno, di magnificarla) proprio in quanto diversa, estrema, estenuante, misteriosa, inarrivabile, perfetta e non solo umana. Si accontentino, ma sbagliano se credono che la sola aura di durezza le dia un senso, sbagliano se fra il rigore astratto del puro e il peccato vile dell’egoista non vedono una bella via di mezzo, sbagliano se disprezzano quanto semplicemente non è ‘in Cristo’. E sbagliano, ancora e sempre, se credono che il fine dell’etica sia nell’aldilà.
Perché ci si deve comportare così? Per obbedire a dio. E per avere la ricchissima ricompensa della soddisfazione totale, in paradiso. Ma allora adoperiamoci per averla qui, no? Anziché reprimersi in continuazione, o – ipocritamente – fingere oggi di disprezzarla!
Tra parentesi: il perfetto Gesù come si è comportato rispetto alle Beatitudini? Beh, non è stato mai malato ferito o sofferente se non all’ultimo, non è stato sempre mite (Mc 3,5 e 11,15-17; Mt 11,20-24; Mt 23,13-36; Mt 8,28-32; Lc 11,39-44 e 19,45-46; Gv 2,14-16) o umile (Mc 14,3-8; Mt 11,29; Mt 23,10; Mt 26,7-10) o buono (Mc 5,8-14; Mc 11,12-14 e 20; Mt 15,3-4 e 21-26 prima di 28; Ap 2,21-23 cfr Mc 10,17-18 e Lc 18,19), era povero ma godeva ben bene di cibo vino e dell’ospitalità offertagli… Non molto coerente, no? Lui stesso non ha amato i suoi nemici, li ha insultati e minacciati perché non sapeva convincerli. Questo non è degno di un uomo che si porta in palmo di mano. Però condivido questo suo comportamento molto di più delle sue teorie: meglio essere sani che patire, è naturale provare rabbia e indignazione – e quindi agire con appassionato ardore se necessario (in modo più efficace, eh!), è bello gustare cibi e bevande, uno dei piaceri della vita, senza eccedere. Gesù qui si dimostra veramente umano!

Ma perché diamine non ha chiarito invece di alludere? Perché non ha speso due parole invece di una? Perché si è espresso in modo incoerente, poco sistematico, non approfondito, se poteva non farlo?
Mi si può dire che «Non hai capito il vero senso del suo messaggio», ma non è così. È il messaggio che è un tutto disarmonico, e che può essere letto in modi diversi se ci si sforza ben bene di trovare ciò che si desidera trovare: cioè non quello che il testo dice (o non dice) espressamente ma ciò che per fede si presuppone. Di fatto è questo che avviene proprio fra i cristiani, divisi su un sacco di questioni perché secondo gli uni il senso di un passo è uno e secondo gli altri un altro. Nella bibbia c’è una parte cattiva, una parte interpretabile e una parte buona che non è superiore alle altre. Qual è dunque il ‘vero messaggio’? Quello che uno vuole credere, dopo (A) aver preso per giuste le parole di Gesù, (B) averle rimescolate con i detti di altri nel VT e NT, e poi (C) averle interpretate secondo il proprio punto di vista? È questo un messaggio assoluto, è Gesù una persona perfetta? O li presumiamo tali, attraverso i nostri preconcetti e una sequela di faticosi e necessari arrangiamenti?
Esaltare un senso o l’altro come assolutamente giusto è allontanarsi dalla realtà. Non è sbagliato dire, con il linguaggio proprio della fede, che ciascun cristiano ha, nell’immagine che coltiva di Gesù, soltanto un idolo. Se invece guardiamo Gesù come una persona con idee gagliarde e altre non all’altezza, che ci ha rivelato non una dottrina completa e perenne ma degli spunti da perfezionare, allora possiamo lasciarci ispirare dal bello che c’è nelle sue parole, liberi di interpretarle, senza scordare che le stiamo interpretando.

Strettamente collegato al tema della pace è quello dell’amore. Amare – lo abbiamo detto – non garantisce il voler bene né il rispetto, e rimane idea a mezz’aria se non sappiamo come fare ad amare nelle situazioni di ogni giorno, come favorire l’amore. Poi: che valore ha amare per comando (Mt 22,37-40), per ricatto (Gv 14,15), per premio (Mc 6,14 e 9,41; Mt 19,27-28; Lc 6,31-35; ecc.), per pura imitazione di un personaggio, grande che sia? Che bene viene dall’amare Dio più delle persone, persino le più care (Mt 10,37)?
Perché amare tutti, indistintamente, allo stesso modo? Perché anche il nemico, colui che ferisce noi e i nostri cari? Perché senza giudicare? Perché perdonare a oltranza, sacrificarsi per principio, donarsi e non donarsi anche a sé stessi?
Che senso ha questo amore incondizionato, se pure esiste, visto che cancella la preziosità particolare di ognuno negli occhi di chi ama, l’idea di reciprocità dei diritti, e tutto l’enorme sforzo di mediazione e comunicazione che necessita un rapporto per crescere profondo e sano? E come si può dire di amare, e di non giudicare, chi crediamo degno di un inferno?
In Gesù l'amore non vale per sé stesso. Per ogni buona azione che invita a fare c'è sempre la ragione della ricompensa (o del castigo), c'è sempre un motivo altro.
È sorprendente. Tutto è rapportato a Dio e al suo volere, o a Gesù e al suo esempio. Si deve amare Dio, per amarlo obbedirgli, per obbedirgli amare. Come se la bontà e la giustizia non fossero ricompensa a sé stessi: non si hanno per natura e principio, non si fanno per l'esito terreno, non si danno in modo disinteressato. La nostra umanità non è un motivo sufficiente, l'istinto, l'empatia, la propria coscienza, l'intimo piacere di farlo, la maturità interiore, non vi si accenna nemmeno, se non nella parabola del samaritano che è appunto priva di riferimenti alla fede (v. dopo). L'amore qui è un amore indistricabilmente religioso: una fusione artificiosa fra umano e divino, necessaria e possibile soltanto a chi crede.
Non si arriva a cogliere – o non si vuole accettare – che l'amore è un moto dell’animo che l'essere umano prova in ogni sua sfumatura, anche la più degna, indipendentemente da Dio. E che proprio per questo, e solo in questo, può chiamarsi veramente degno. E, infine, che si può essere generosi, gentili, caritatevoli, disinteressati, attivi e ben disposti verso l’altro, senza che l'amore nelle sue altre forme sia da meno, senza doversi sacrificare e mortificare, né avere in sprezzo il corpo e la sessualità in sé stessi.
Gesù sull'amore attinge a piene mani dalla tradizione ebraica (agapao [da cui ‘agape'] è la traduzione greca di ‘amare' più usata nella bibbia dei LXX [v. proprio Dt 6,5 e Lv 19,18]; lui stesso lo dice, interrogato sulla Legge [Mc 12,28-33; Mt 22,35-40; Lc 10,25-28]), e non sviluppa il concetto in modo equilibrato ed efficace. Il resto lo faranno i suoi epigoni. Nelle Lettere – necessaria integrazione ai Vangeli (cfr. 1 Gv 4,16; 1 Cor 13) – e in secoli di idealizzazione non-stop. A causa di questo, oggi, agape è un frastuono confuso di eros e filantropia, in cui essi perdono il senso vero, originario e sublime per farsi mezzo di adorazione e salvezza.
In fondo, non è che un’altra invenzione teologica cristiana, filologicamente infondata (agapao non è usato solo in relazione a Dio [es. in Mt 23,6; Lc 6,32; Gv 3,19], phileo non solo per l’uomo [es. in Mt 10,37; Gv 5,20 e 21,15-17]), ladra e speculatrice di significati, variante vanesia, esistente per fede e pur sempre inferiore al buon vecchio sentimento umano.

Gesù ha ricordato qualche ottimo insegnamento del VT, specialmente amerai il prossimo tuo come te stesso (dal quale non si può far discendere l’idea cattolica del perpetuo sacrificio per gli altri, dal momento che dobbiamo amare, e quindi avere cura, anche di noi stessi) da cui consegue la sua brillante formulazione in positivo della Regola d’oro: tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro (Mt 7,12). La Regola però ha i suoi limiti, soprattutto se si parla appunto di cose da fare, e non in generale: infatti, non tutto ciò che piace a noi piace anche agli altri, perciò se regaliamo una Xbox al nonno, o un gattino all’amica allergica al pelo… E pensa che succederebbe in casi più estremi: un ladro non vorrebbe essere preso, quindi neanche gli altri dovrebbero? Un ammalato vorrebbe la sua medicina, gli altri pure? Chi crede di meritare di soffrire, deve far soffrire? Chi ama poco sé stesso amerà poco gli altri? Chi vorrebbe essere convertito alla fede in cui crede (qualsiasi essa sia), dovrà incessantemente tentare di convertire? Ecc. La sola Regola d’oro così intesa è vaga circa cosa in effetti si deve fare, e quindi rischia di fare male. Ma il suo difetto più grave è un altro: è egoista. Fai agli altri ciò che piace a te.

Proviamo invece a pensare in termini generali: io voglio stare bene, quindi voglio che gli altri stiano bene. Voglio rispetto, quindi do rispetto. Non voglio soffrire, non faccio soffrire. Questi sì che sono desideri comuni a tutti, così sì che funziona! Subito dopo sarò portato a chiedermi: «Bene, cos’è allora che lui/lei/loro vorrebbero?». Quando lo scopro, potrò fare a loro proprio ciò che desiderano, ciò di cui hanno effettivamente bisogno o che realmente gli serve. Sapendo che siamo uguali nelle esigenze di base, ma tenendo conto che le potremmo vivere in modo diverso, posso dare ciò che veramente va bene dare.
La Regola, espressa così, diventa: tratta gli altri come vorresti essere trattato/a tu se fossi loro. O anche: tratta gli altri con il rispetto con cui vuoi essere trattato/a. Non solo così non c’è egoismo, ma se prima ci si spingeva verso l’altro alla cieca ora siamo coinvolti totalmente, attivi anche nel cercare di capirlo, per soddisfarlo. Più efficace? Certo! Di più: qui nasce l’empatia. Non più un’azione passiva, riflesso di noi stessi, ma attività empatica, che arriva e all’altro e parte dall’altro.

Naturalmente, vale come regola ideale, come bella aspirazione, non come assoluto. Infatti, nel caso in cui gli altri ai quali diamo prendessero e pretendessero soltanto, la regola non vale più e subentra una fase di trattativa, in cui possiamo legittimamente chiedere che non si abusi della nostra bontà e della nostra pazienza. Nota bene: non è un ‘domandare in cambio’, perché le due cose sono slegate. E non è un esigere premi per la propria generosità, che non sarebbe onorevole. Ma il nostro dare non può essere né preteso né sfruttato, non sarebbe giusto. Come non è giusto che siano scordate o scansate le nostre esigenze e desideri, che hanno pari valore di quelli altrui. È chiedere rispetto. E darsi rispetto. Malgrado le apparenze, la reciprocità è un’altra idea essenziale che manca alla Regola d’oro.
E poiché il ‘come vorresti’ potrebbe benissimo essere una cosa ingiusta, falsa, stupida o pericolosa, ci sono anche occasioni in cui la Regola perde importanza e non può essere applicata: quando una persona desidera qualcosa senza sapere (o riconoscere) che non sarebbe davvero un bene, o si fa colpevole di qualcosa per cui ricevere ciò che desidera non sarebbe giusto. Nel primo caso si farà il massimo per informare e convenire su una soluzione, nel secondo il delinquente aspira certo alla libertà quanto noi, ma per giustizia verso il male che ha fatto e per rispetto nei confronti di chi a causa sua ha sofferto, non può essergli concessa.
Si potrebbe dire: il tuo prossimo è uguale a te, è una persona come te, e dunque gode degli stessi diritti civili. Come tu vuoi vivere bene, facilita il suo vivere bene.
Che magnifico inizio per crescere insieme! E, come è chiaro, per vivere una vita etica dio non serve affatto, l’amore e il rispetto si reggono benissimo senza.

Non ti stupirà sapere che la famosa ‘Regola d’oro’, in forma sia positiva che negativa – in realtà equivalenti – , è presente in praticamente tutte le religioni ed è stata espressa da tanti filosofi ed educatori, da molto prima di cristo – sia sottolineato – a tutt’oggi. Ma è pur vero che non basta da sola a fare il bene, a fare etica: va spiegata nel modo giusto – cosa che Gesù, e a onor del vero la maggior parte, non fa – integrata da ideali di pari importanza (come reciprocità, empatia e giustizia) e accompagnata da abilità relazionali.
Su questo anche la bibbia dice la sua – “A chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica (….) Amate invece i vostri nemici (….) senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande”… Ah, questo amore-sacrificio! Questa vita con una croce sulle spalle… Questo amore che non chiede ora, però avrà dopo… Questo amore per gli altri più che per noi, per Dio più che per gli altri… Ah!
A te soppesare la correttezza di qualsiasi proposta, della Regola d’oro e di tutto il resto. Puoi scegliere, infatti. Sei tu che devi sentirne dentro la positività.
Sai, gli ideali etici non galleggiano sulle nuvolette per conto loro, hanno valore perché sono utili e giusti, e perché corrispondono a quella spinta interiore che ci porta naturalmente a stare bene insieme felici. Quando facciamo il bene, stiamo bene!
Non credere a me, eh… mi aspetto che verifichi tu in persona.

~ ∞ ~

Abbiamo quasi finito. Ancora qualche punto rapido.

– Gesù, ebreo istruito sulle Scritture, benevolmente ne succhia i passi migliori. Già nel VT si legge infatti di un amore verso il prossimo e lo straniero (v. Es 23,9 e 4-5; Lv 19,11-18 e 33-34; Dt 24,10-21; Gb 31-29-32; Sal 111,5,6 e 34,14-15 e 145,7-9; Sir 7; Is 58, 5-10; Ger 7,5-7; ecc. Cfr Lc 10,26-28). Da persona sensibile e umana egli punta tutto su questo e riassume i 10 comandamenti in 2 (di nuovo citando il VT). Tuttavia commette 2 errori gravi: stravolge il senso del decalogo – sia perché era un preciso elenco voluto da Dio così, e non in altro modo, sia perché ‘non mentire, rubare o uccidere’ non equivalgono affatto ai più estesi ‘dì il vero, sii onesto e buono’. Il secondo errore è che ne allarga il senso al punto da comprendere tutti, fino ad estremi come ‘ama e asseconda il tuo nemico’, ‘non punite chi fa reato se anche voi ne avete fatto uno’ (Gv 8,4-7), ‘non giudicare’, ‘chi si adira col fratello o guarda e desidera una donna fa peccato’ (Mt 5,21 e 27-28): precetti a vivere secondo i quali tutto si fa fuorché ordine, giustizia, serenità.
– La sua credenza – anzi profezia – circa l’imminente fine del mondo, palese nel NT (Mc 1,14-15 e 9,1 e 23,24-30; Mt 10,23 e 16,28 e 24,29-34; Lc 19,11 e 21,20-32 ecc.) e comune a quel tempo nell’ebraismo, può far luce sul perché Gesù non si preoccupò realmente del sociale, né di scrivere del suo, né di fondare una chiesa, ma si rivelò del tutto falsa. A meno che non vogliamo credere che sia stata fatta parlando di… 2000 (2100? 3000?) anni dopo! Pensaci, du-e-mi-la anni dopo?
Ma questa è una tarda interpretazione, popolare dal 4° secolo, quando da una parte fu chiaro a tutti che Gesù non tornava, e dall’altra il cristianesimo era divenuto religione di Stato, con la sua gerarchia ben collusa col potere secolare, preoccupata di accumulare per sé potere e privilegi – molto, molto materialisticamente. Naturale allora che quei passi così espliciti si prendessero a interpretare in chiave metaforica o, appunto, di messaggio al futuro, per la soddisfazione di tanti credenti scampati alla mortale delusione. Una parte dei quali, mi auguro, capisca oggi quanto è aleatorio tutto questo.
– Rinuncia alla violenza. Prima di Gesù l’avevano già scelta il Buddhismo, il Jainismo, l’Induismo… Anche in occidente l’idea non era affatto nuova: già Platone, nel Critone (~390 AEC), fa dire a Socrate: «Non dobbiamo rispondere ad ingiustizia con altra ingiustizia, né far del male a nessuno, qualunque torto ci facciano. Bada, Critone, di non concordare con me su questo senza esserne persuaso: a condividere questa opinione, lo so, sono e saranno sempre pochi». Non per fare a chi vince, ma per mostrare che altri eccelsero almeno quanto lui, anche prima di lui, a proposito degli stessi temi.
– Parabole. Ti invito a leggerle e a tirare le somme: l’esempio fila? E il ragionamento? Sono sempre chiare e ben spiegate a tutti? Quante volte si parla di padroni e servi, in cui i servi saremmo noi? Quante volte le decisioni del padrone sono oneste? E quante volte sono amorevoli? Cosa ne è di chi sbaglia? Puoi notare del bianco/nero?
La parabola che preferisco è quella del buon Samaritano (Lc 10,29-37). Perché offre la bella immagine di un uomo che incontra un altro uomo, ferito, e mosso a compassione, lo aiuta. L’episodio è fra quelli più celebrati come simbolo di amore cristiano, ma è evidente che non è così. I Samaritani erano considerati non ebrei e disprezzati, gente da cui non ci si aspettava alcun esempio. Gesù usa questa figura per descrivere la bontà dell’animo umano, la spinta naturale al dare gratuito rivolta a chi ha bisogno: la possibilità che tutti abbiamo di percepire il dolore dell’altro e fargli del bene è qualcosa che è in noi senza segni religiosi , al di là della fede e prima del cristianesimo. Ops, che straordinario lapsus! Hai voglia a trasformare questo in sacrificio perpetuo di sé ispirato da Dio e mirato alla salvezza eterna...
– Pregate e otterrete sempre (Mc 11,24; Mt 7,11 e 21,21-22; Lc 11,9-10; Gv 14,13-14 e 15,7…). Falso.
– A proposito: l’unica, famosissima, preghiera che Gesù insegnò – il Padre Nostro – è citata in modo diverso in Matteo (6,9-13) e Luca (11,2-4). A parte questo, va notato che è una collezione di frasi già presenti in preghiere ebraiche – in particolare il Qaddish e lo Shemone Esre – spesso prese tali e quali.
– Gesù insegnava di aiutare i deboli e i bisognosi (proprio come il VT, es. Lv 25,35-37; Gb 22,4-10; Sal 37,26 e 112,5; Pr 14,21-22 e 31-32; Pr 19,17; Is 58,5-8; Ez 18; Dn 4,27; Mi 6,8; anche Sir 4,1-10 e 7,32-36). Ma non perché sognasse un mondo senza povertà o fame, anzi. La sua idea era che ci sarebbero sempre stati (Mc 14,7; Gv 12,8), e in effetti non suggeriva che della semplice assistenza giornaliera, anziché i passi necessari alla comprensione del fenomeno e al suo sradicamento totale dalla società. Ma una mentalità assistenziale fatta di elemosine, per quanto mossa da apprezzabile carità, non è che una soluzione temporanea, e diventa parte del problema se poi non si agisce forte sulle cause.
Inoltre, ha insistito nell’identificare tutti loro con sé stesso, promettendo ricompense a destra e a manca per aver fatto del bene a lui attraverso loro (Mt 18,5 e 25,34-45; cfr Lc 6,35; Mt 6,1; Mt 10,37-38 e 22,37-40). L’aiutare diventa perciò più un modo per mostrare la propria fede a dio che un’opera ispirata dalla sola giustizia, è questo il senso cercato. Peggio: quando si guarda un poveraccio e invece si vede Gesù, il poveraccio perde la sua dignità di persona. Scompare, nella sua disperazione e nel suo dolore. Fate largo, c’è Gesù!
Questa storia del vederlo ovunque è come un filtro opaco che alla lunga sfinisce gli occhi. E l’idea costante della prestigiosa ricompensa celeste annega e disperde uno spirito compassionevole che sul serio darebbe senza chiedere.

Un’ultima cosa sento di voler dire. Gesù volle sacrificarsi per noi, per ripulirci dal peccato e redimerci tutti, riconciliandoci con Dio. A parte la chiara assurdità della cosa (per varie ragioni: 1] da sé, non ha cambiato proprio nulla, 2] la via dell’assassinio e del sacrificio di sangue è un’orribile, primitiva e sadica forma di giustizia 3] l’obbedienza di uno non può certo cancellare la colpa a tutti gli altri), ciò che intendo rimarcare è il fatto che quando uno si sacrifica e muore, è morto. Che razza di sacrificio è se torna in vita?
E non ci sfonda le scatole esaltandosi per ciò che ha fatto, no. Il sacrificio di sé è un rimedio estremo fatto in umiltà per il bene di qualcuno, non per essere ripagati, per essere adorati, per suscitare un perpetuo senso di colpa e di inferiorità, per farsi imitare, o ringraziare all’infinito. Si fa per liberare, non per legare a noi.
Questo sacrificio finto – di un uomo che ha sofferto tanto sì (qualche ora) ma poi è rinato sano, guarito, pulito e assai migliore di prima – diventa un’arma sopraffina di controllo emotivo, nel momento in cui ogni altra esperienza umana si giudica attraverso tale sua versione psichedelica, smodatamente enfatizzata, morbosamente esemplare, e palesemente erronea. Un sacrificio non richiesto e non necessario che a dio, un dolore non peggiore di tanti altri, una fine inutile per quel pover’uomo – la cui scelta di ‘salvarci’ in questo modo stupido ci dà la misura dell’umana forza interiore, ma anche della spaventosa capacità di illuderci per fede. Fede innanzitutto in quei padri mai orgogliosi dei figli, dei quali desideriamo l’amore al punto da rovinarci noi, piuttosto che compatire loro.

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’Mazza che tirata… eh? Allora, che ne pensi? Questo Gesù?
Ha detto anche sciocchezze, diciamolo. La sua morale e la proposta sociale sono inadeguate e in parte non stanno proprio né in cielo né in terra (in tutti i sensi!). Il suo messaggio ci è arrivato piuttosto lacunoso e decifrabile in più modi, universale solo per pregiudizio e desiderio. La storia del sacrificio è sinceramente orribile. Io trovo, almeno. Non fu nemmeno il mostro di originalità che piace credere… Se consideriamo tutto questo insieme, senza scegliere dall’albero solo le ciliege che preferiamo, Gesù non sembra proprio la persona straordinaria di cui si narra. Non fu un grandissimo maestro. Non il più grande, né il primo, né l’unico, né il più completo. Certo non uno da imitare e seguire ad occhi chiusi. Ti pare?

Finisco col dire che, se Gesù fosse Dio, condividerebbe la colpa per i suoi crimini nel vecchio testamento… Questa era troppo facile? Ok.