Piccolo manuale di Umanesimo ateo

Il perché e il percome di una vita senza dèi.

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Intro
Prima parte / Un leggerissimo cambiamento
1. Allora, chi è Dio?
2. Quali prove abbiamo che esiste un dio?
3. Che bisogno c'è di credere?
4. Ma se Dio non c'è, come può l'uomo essere buono?
5. In cosa credere? Il cuore dell'Umanesimo
Seconda parte / Cosa dice la Chiesa
6. Perché ci battezzano?
7. A che serve la prima comunione?
8. Un dio così ci rende schiavi

9. Il male, il peccato, il sesso
Terza parte / Quello che la Chiesa non dice
10. Le bugie della Bibbia
11. Credenze cristiane tutte da verificare
12. I brutti esempi di chi predica il Bene
Help & Tips / I trucchi della comunicazione
Finale
Appendice A / I comandamenti: 10 …o 40?
Appendice B / Il peccato originale
Bibliografia

4. Ma se Dio non c’è, come può l’uomo essere buono?

È presto detto: tutti i più alti valori, e gli atti più belli, sono sempre sprizzati fuori dall’Essere Umano.

Semplice, seguimi: c’è la morale, giusto? La morale è la sensibilità interiore e l’insieme di regole sul comportamento nobile. E la Chiesa è lì che si sbraccia e dice «È stato Dio a darcela!». Ora, dio non c’è. Da dove caspita arrivano, allora, ’ste regole? Ma è chiaro! Dagli unici che potevano pensarle: gli uomini.
La morale, in realtà, è sempre stata umana, nient’altro che umana.
Se non è stato dio ad ispirarla, è ovvio che è nata proprio dentro di noi.

~ ∞ ~

La bontà non è mai stata un’idea sua, di Dio, che non esiste, ma nostra.

Dall’alba dei tempi e fra mille difficoltà, l’essere umano si è dato delle regole per avvicinarsi a quei valori che oggi consideriamo fra le più belle conquiste dell’Umanità. Giustizia, bontà, verità, libertà, indipendenza, onestà, uguaglianza, cultura, nonviolenza, appagamento, benessere e salute, rispetto reciproco…
Forte, no? Credendo in un dio – e a lui tributandoli – oppure no, abbiamo trovato in noi stessi una ragione per seguirli, la voglia di coltivarli, di metterli alla base della vita. Certo, non è facile… Qualche volta sembrerebbe proprio meglio usare altri modi, un po’ più violenti e sbrigativi, invece che fiducia e chiarezza. Ma allora incoraggiamoci! Applaudiamoci! Stiamoci vicino! Facciamo scudo contro le avversità, e spernacchiamole tutti insieme!
E, per piacere, non inventiamo dio solo per avere un briciolo di approvazione.

~ ∞ ~

Insomma sì, i princìpi morali nascono nell’uomo. Possiamo sempre pensare che gli dèi li abbiano scritti nei nostri cuori, o che dipendano dalla luna piena, o che ce li abbia suggeriti in sogno il fantasma di zia Eustachia… come no. Ma queste sono ipotesi sulle cause, inverificate e inverificabili, che sviano clamorosamente dalla vera spiegazione che già conosciamo: tendiamo fisiologicamente a distinguere ciò che ci fa bene dal male, da questo è dipesa la nostra sopravvivenza fin dai tempi più antichi, quando vivevamo soli o divisi in piccoli clan. Evoluti, ora possiamo ordinare razionalmente ciò che prima era solo un istinto: riconoscere i sentimenti, osservare le conseguenze, prevedere reazioni, astrarne dei princìpi… e scegliere i migliori. Oggi, il nostro piccolo clan è diventata l’umanità intera.

Sono princìpi che magari non cambieremo mai, ma non vuol dire che siano eterni: solo che sono conformi ai nostri ideali e ancora utili ai nostri scopi, che ancora oggi ci riempiono il cuore e ci fanno sentire la vita scorrere veloce nelle vene.
Per alcuni credenti questo è assurdo, non riescono nemmeno ad immaginarlo, ma qual è il problema? Perché, se i nostri princìpi etici non sono assoluti (eterni ed esterni a noi) allora sono sbagliati? Non è che se una cosa buona non è buona in assoluto allora è meno buona. Chiaro e semplice, no? Tu, io, noi, davvero senza un dio non saremmo capaci di capire che la violenza gratuita è uno schifo? Davvero abbiamo bisogno che un dio ce lo venga a dire? Regole assolute… altrimenti cosa, ci metteremmo forse a pestare le vecchiette e rubare ai bambini?
Bah!… Certo obbedire è più facile che avere fiducia in sé stessi, che prendersi la responsabilità di decidere se una cosa è giusta. Ma è nostra responsabilità, non possiamo far finta di non averla, adeguarci a una norma solo perché è stata già scritta, e concedere che altri lo facciano per noi con la scusa che non possono sbagliare. Non sarebbe giusto nemmeno se fosse vero. Farlo è un vero oltraggio a noi stessi, è sottovalutarci e offenderci senza alcuna ragione… Ed è declassare il valore dei princìpi etici.
Quando una cosa è buona, dire che è buona solo perché si crede che piaccia a Dio o perché è ‘quello che Gesù farebbe’ è svalutare il significato di buono e l’importanza dei suoi beneficiari. Quando una cosa è cattiva, evitarla solo perché non è parola di un dio o perché egli ‘ci punirà’ è infischiarsene della sua gravità e trattenere l’uomo dal capirla e scansarla per le sue conseguenze.
Che bontà c’è nel fare una cosa solo ‘perché è scritto nella Bibbia’, o per ‘ricompensa nei cieli’? La ricompensa per aver fatto una cosa giusta è nel bene procurato, punto. Il problema nel fare del male è il male fatto, non l’arrabbiatura o la pedante delusione di chi ci giudica da fuori, e non è il castigo che ne può seguire.

Non si passa col rosso non perché ‘sennò c’è la multa’, ma per evitare incidenti e proteggere la nostra vita e quella degli altri. Questo è il principio importante, il rosso è una banale convenzione.

Invece si reputa l’Uomo così incosciente da aver bisogno di premi e punizioni per agire bene. Peccato che quello sia solo un re-agire per pura obbedienza, etica prigioniera. Non c’è invito a comprendere il valore delle cose e a maturare una decisione, ma spinta al ricalco di quelle di un dio – cioè dei suoi umani vice.
Perché?
Finora è successo così spesso… Immagina quanto potenti sono idee come ‘Dio solo è giusto’, di ‘massima ricompensa eterna’ e ‘massima pena eterna’ per chi ci crede. Mica ‘giusto un pizzico’ e ‘per un po’, e-ter-na! Che terrificante catena dev’essere per chi l’immagina vera. E se uno fa il bravo solo per questo? L’etica perde il suo senso fondante di scelta in coscienza, per il gusto e l’unico fine di aver fatto la cosa giusta, di aver fatto stare bene, di aver reso il mondo un po’ migliore. Perché mai un dio dovrebbe volere questo da noi?
C’è chi crede che il bene e il suo volere coincidano sempre, e si tiene in perfetto equilibrio. Bene! Ma quanto spesso si insegna e quanto spesso accade che l’equilibrio si spezzi in favore di dio? Se fare il bene diventa secondario al suo volere, e arrivarci da soli non è più importante, se essere in gamba vale meno che essere fedeli, se impegnarsi a risolvere le cose si fa inessenziale rispetto alla sola carità, se la vita diventa soltanto un tortuoso passaggio per l’aldilà e lo scopo non è più goderne insieme, ma temere per la propria salvezza… gradualmente Dio, e non più il bene, diventa il centro assoluto. Accumulare punti con Dio per dimostrargli quanto siamo degni del paradiso, si fa più importante di una buona azione in sé: «Quello che dice, credo. Quello che vuole, faccio.». Quando questo è ciò che si apprende, che la dottrina vale più dei fatti e la gerarchia più di tutti gli uomini, dio e il bene non sono più in sintonia, ma in conflitto, e i problemi non sono lontani.

Ah, se Abramo si fosse rifiutato di alzare quel coltello sul figlio legato e indifeso, e se Dio gli avesse detto allora: «Questa è la risposta che speravo. Poiché giustamente hai giudicato assurda la mia richiesta, ora so che poni la vita di un innocente al di sopra di tutto. Sono fiero di te!».

L'etica di una fede così vissuta è pari alle 3 leggi della robotica: regole cui una macchina viene sottomessa, che esegue in quanto leggi, non in quanto giuste. Giuste o sbagliate, non sta a lei dire. Ciò non ha nulla a che fare con l’etica, è non-etica. Se osservi una legge morale senza capirla né giudicarla, non sei morale, stai obbedendo. Se la osservi per quanto speri di guadagnarci sopra, per il fine primario di essere considerato/a una brava persona e magari passare l’eternità in villeggiatura a 7 stelle, ti mancherà quello spirito disinteressato che gioisce della luce negli occhi dell’altro/a, e ti fa sentire felice di vivere, quando fai la cosa giusta. L’intera dottrina della ricompensa nei cieli è malata del più torvo materialismo e fatua vanità. Quella dell’obbedienza è uno stagno vestito da fiume. Cosa resta dell’etica?
Se invece comprendi le ragioni di quella legge e la giudichi bene, allora la stai facendo tua e la vivi per tua scelta, non perché viene da dio. Che razza di valori sarebbero, dopotutto, se non avessero forza per sé stessi?

Perché mai la compassione dev’essere sostenuta con l’idea di un dio? È un sentimento umano… Come chiunque abbia un cuore, anche il credente è certamente in grado di provarla da sé, perché si ostina a darne il merito al suo dio? È un’idea falsa e debole, che ci fa deboli, che ci vuole deboli. Non abbiamo bisogno di sottomettergli la nostra umanissima capacità di empatia, di altruismo, di sensibile bontà e dedizione, di etica. Farlo è succhiarci vita, denudarci e umiliarci, auto–punirci. Quanto rispetto di noi dobbiamo ancora sacrificare? Quanto ancora dobbiamo contorcerci per nascondere la nostra sincera umanità ai nostri stessi occhi, dietro una maschera da peccatori? Quanto dovremo ancora sentirci sporchi, deformi, arroganti e superbi… per essere semplicemente noi stessi?
C’è da chiedersi perché si creda giusto. Ma intanto va detto chiaro e tondo che crederlo è artificio e manipolazione, trappola emotiva, catena di un rapporto di potere, di un abuso. Una visione di vita che si fondi su questo, è a mio avviso spietata.
Altro che sciocchi, altro che naturalmente malvagi!
Ma se queste stesse idee si ritrovano anche in religioni ben precedenti il Cristianesimo (ad esempio in Buddhismo, Jainismo, Induismo, Confucianesimo)! Ma se al di fuori di quella striscia di terra da dove partì 2000 anni fa c’erano da lungo tempo popoli con leggi e valori, governi illuminati, esperienze democratiche, filosofie morali… mica il totale caos! La bibbia su questo non s’è inventata proprio niente. Ma se la vita pullula di grandi esempi di virtù e dedizione ispirati dalla condizione umana… Ma se anche fra atei agnostici altrocredenti e non praticanti è pieno di persone amorevoli e generose… Chiedi in giro, scommetto che ne conosci di persone così, e non lo sapevi!
Fossimo tutti non credenti, ma perché dovremmo saltarci addosso? La vita non ha un scopo divino, e allora? Non può averlo umano?
È vero, in molti sono ancora spinti all’egoismo e alla lotta – indifferentemente religiosi o atei – ma molti altri all’esatto contrario: all’unione di forze, all’aiuto reciproco, al massimo benessere e alla pace. È da sempre così, ed è proprio oggi insieme che possiamo ancora crescere, affrontando le cause naturali del male e sviluppando le nostre doti più belle, anch’esse naturali. Come uomini e donne sensibili e responsabili possiamo mirare alto – appena sotto un’irreale perfezione – proprio perché ci è caro il mondo, e questo è… tutto il tempo che abbiamo.

Ok, è ora di liberarci dell’aiuto forzato. Ora di abbandonare il girello e camminare con le nostre gambe… se mai ci è servito, ormai siamo cresciuti! E se non fossimo ancora del tutto capaci… lo diventeremo, senza inutili stampelle e senza nessuno che si diverta a offrircele invece di insegnarci a non averne più bisogno.
Lasciamo perdere l’aiutino teologico di uomini con poca fiducia nell’Uomo, liberiamoci dall’illusione di un dio come unico essere giusto, smettiamola di considerarci dei peccatori dalla nascita e di ripetere catastrofici errori del passato… E, liberi dentro, cominciamo a fare bene!

Sembrerà utopia, di certo, a chi è abituato a strapparsi di dosso la responsabilità della propria vita e a gettarla in mano ad altri, o a un dio; di certo a chi crede di essere niente perché quel dio è tutto, di certo a chi crede di non potere e di non meritare, e veste quei panni per tutta la vita… Ma è solo una cattiva abitudine: non c’è un dio buono, lontano da noi male, ma persone che fanno e faranno la storia attraverso le loro scelte. E possono farlo al meglio.
Questo è Umanesimo, la sua parte più bella. Siamo liberi da peccati di nascita e padri onnipotenti e giudici, e accettiamo la grande responsabilità di fare della nostra breve vita una nobile vita. Le virtù dell’umanesimo si sviluppano da questa scelta, che infonde una speranza – finalmente reale – per il presente e il futuro del mondo.
Una volta compreso questo, che l’Umanesimo ateo si fonda sui più alti valori, è morale, profondo e benefico per tutti, non solo diventa chiara la bellezza di questa visione della vita, ma smette di essere necessario un dio per avere le stesse cose.

~ ∞ ~

Scegliere questi valori è una vera sfida. Ma è anche la fonte delle più profonde soddisfazioni, la strada giusta per una completa e serena realizzazione di sé.
Prova.

~ ∞ ~

Serve imporre questi valori per legge? No. La chiesa cattolica ci prova da 1700 anni, incastrandoci dentro un dio deluso e malfidato, un cristo sottomesso e in pena, la sua versione dei dieci comandamenti, punizioni sconfinate, beatitudini posticipate, catechismi e altre rotture, e niente…
Non bastano raggelanti minacce di inferni, non reggono favolose promesse di paradisi, per fare degli Uomini buoni. Regole di questo tipo, senza personalità, in genere vengono usate dalla Parte-A per limitare un comportamento indesiderato della Parte-B. Parte-A pensa, anche, che imporle è necessario a bloccare la naturale indisciplina di Parte-B. Questo modo di affrontare le situazioni non è molto fruttuoso.
Vivendo insieme, è naturale che spuntino occasioni di disaccordo, e anche di contrasto difficile: siamo persone diverse, con bisogni diversi e desideri diversi… Se Parte-A sale sul piedistallo e comincia a dare ordini a destra e a sinistra, probabilmente pensa che Parte-B sia deficiente, incapace di trovare soluzioni da sé, di accettare regole sane, e forse un nemico. Ma non è quasi mai così: Parte-A e B sono capacissime di capire i problemi, solo hanno soluzioni differenti. Queste soluzioni vanno avvicinate, fino a trovare un punto d’incontro che soddisfi tutti allo stesso modo. In genere è possibile, e persino facile! Altre volte lo è meno: questo metodo richiede impegno.
Come? Ah! Non certo pensando in termini di potere l’uno sull’altro!
Cancelliamo il vecchio schema «Uè bello, qua io vinco e tu mi lucidi le scarpe». Partiamo da un nuovo presupposto, tipo «Io e te siamo importanti uguale, no? Adesso ci facciamo del bene». E parliamoci. Ascoltiamoci. Veniamoci incontro. Questo modo di affrontare le situazioni sì che è fruttuoso. Hai notato? Prima ancora che la qualità della regola, è proprio il modo di porsi, l’approccio al problema che è diverso, ed estremamente più pacifico ed efficace, funzionale alla relazione.
In generale, se una legge è imposta, arbitraria, troppo dura e non è possibile ridiscuterla, qualcuno sta cercando di fregarci. Il problema non è avere regole (immagina che casino a vivere completamente senza) ma quali sono, e come si offrono. Il punto è non solo trovare leggi e limiti più giusti, ma non subirli.
Facilmente respingiamo ciò che ci viene imposto, se non siamo d’accordo e ci sentiamo trattati come insignificanti oggetti della Legge, anche (e a maggior ragione) se ‘per il nostro bene’. Allora piuttosto si fa il contrario, ma non perché si è davvero cattivi (‘ribelli’, come improvvisa chi non ha capito) o autolesionisti (perché da qualche parte certi irrequieti sentimenti devono uscire).
L’adolescenza è il momento tipico, quello che nel crescere è comunemente additato come ‘difficile’: in realtà, è semplicemente l’età in cui cominciamo ad avere la forza (anche se non i mezzi migliori) di protestare. Se invece conosciamo il buon perché della legge, partecipiamo a stabilirla e restiamo liberi di scegliere da soli da che parte stare riguardo a ciò che ci tocca direttamente… allora faremo una vera scelta, quella che per noi è giusta. Quando noi adulti per primi saremo l’esempio in una relazione paritaria e positiva, certe reazioni impulsive e facilmente conflittuali non saranno più necessarie. Una persona cresciuta con amore, partecipazione e rispetto sta così bene che gli viene spontaneo fare lo stesso.
Si sta tutti meglio quando ci si rispetta a vicenda.

Tutti noi cerchiamo equilibrio e felicità, ci sforziamo di raggiungere uno stato di pace interiore per tutta la vita. Lo facevamo camminando in cerchio per oscuri vicoli secondari. Ora, la consapevolezza delle dinamiche nei rapporti umani – cause, sviluppi e conseguenze dei vari approcci – illumina una strada diretta e sicura. Non meno difficile – all’inizio, forse – ma quella giusta, sana, definitiva.
Che ne pensi?
Altro che comandamenti. Un valore si accetta perché è buono e fa bene, non perché qualcuno ce lo ha calato sulla schiena. C’è forse bisogno di un dio per affermare che uccidere è terribile? Serve tutta una religione per dire che è bello amare ed essere amati? Non è colui che obbedisce, ma quello che sceglie coscientemente il bene, ad essere veramente grande.

~ ∞ ~

La morale nasce dall’Uomo.
Ma… la Chiesa vuole darci a bere di essere l’unica in grado di condurre l’Uomo sulla ‘retta via’. Vanitosi bugiardi. Proprio loro, che parlano tanto di bontà e giustizia, si dimostrano indegni coltivatori di sudditi. Che cinema!
Tutti? Certamente no! Alcuni ci credono sinceramente. Sbagliano uguale, ma almeno pensano di no. Beh. Tanto più vogliamo essere puliti e giusti, cioè ‘morali’, tanto più occorre rifiutare certe insostenibili menzogne sull’uomo e la vita, e rinnegare chi le usa per i propri comodi, mi pare ovvio.
Con fede, eccolo lì, ci si può anche comportare molto male. Ti sarà sufficiente seguire per un po’ un telegiornale per trovarne esempi terribili in tutto il mondo e in ogni religione (missili, bombe, guerre ‘preventive’ e ‘sante’, abusi sui minori, atti di terrorismo [sul corpo e sullo spirito], indottrinamento della gioventù, condanne, pressioni, discriminazioni, trucchi della comunicazione, alterazione dei fatti, prescrizioni assurde…), cronaca giornaliera di azioni terribili compiute da uomini di fede in nome della fede, non importa quale. Perciò non è sufficiente solo ‘credere’, né essere certi di fare il ‘volere di Dio’, per essere brave persone.
Di per sé nessuna religione è criterio di bontà, né di saggezza. La differenza la fa qualcos’altro: i princìpi, i valori che uno sceglie e vive. Allora non solo un credente non è automaticamente buono perché crede, ma un ateo non è automaticamente cattivo perché non crede, e il bello è essere umanisti. Logico, sei d'accordo?

~ ∞ ~

«Ma senza Dio la moralità non ha fondamento!». C’è chi va in cerca di basi per l’etica, e chi la persegue. Ognuno impiega il suo tempo come vuole.
L’etica è una spinta naturale e umana che va riscoperta, coltivata e agìta. Chi la vuole altrove da sé e ne ringrazia altri che sé stesso/a si fa due volte un torto, e grave. Postilla: voler fondare l’etica su un dio di cui non c’è prova fondata è una contraddizione in termini. Lo è altrettanto credere che sia assoluta, quando essa in realtà è fondata sulla bibbia: l’etica delle religioni è relativa a un dio, anzi all’interpretazione di dio.
E allora ecco la vera questione: se l’etica è decisa da e sottoposta a Dio (o ‘è’ Dio, come ad alcuni piace dire), non ha valore di per sé. Il volere di Dio ha priorità su di essa e diventa il bene, persino a prescindere da ciò che effettivamente vuole. Se la nostra attenzione è rivolta a Dio e non dobbiamo impegnarci che a imitarlo, l’etica scompare dal nostro radar. Potremmo agire eticamente, ma non per scelta cosciente, ponderata, responsabile, perché non ci è richiesta. Forse agiamo eticamente, o forse no. Di sicuro invece, scimmiottiamo un comportamento, ci rassegniamo a una legge sulla quale non abbiamo signoria né opinione, e diamo per scontato che sia positiva. Il bene diventa compiacere Dio, a prescindere. E se l’idea di essere dei muli da soma che l’etica non sanno cosa sia non fosse abbastanza ripugnante, si consideri pure che né Dio né i suoi innumerevoli ministri si sono sempre comportati nel migliore dei modi. Giudicandoli secondo una morale senza filtri e in base ai risultati – cioè come se la morale fosse altro da Dio e più importante di esso – è spesso evidente non solo che il bene è venuto a mancare, ma è stato fatto il male. Perciò ancora: se l’etica è decisa da e sottoposta a Dio (o ‘è’ Dio, come ad alcuni piace dire), non ha valore di per sé, ed al suo posto dovremmo assentire, adeguarci e propugnare regole anche nocive e prive di senso. In nome di Dio, tutto è permesso.
È preferibile agire perché sappiamo di fare bene, o perché convinti che ciò che Dio comanda è il bene? Se Dio esistesse, sarebbe comunque doveroso mantenere il controllo su ciò che ci comanda di fare, perché chissà cosa ci chiederà? Ripeto: dobbiamo essere in grado di giudicare (ciò che presumiamo essere) il volere di dio secondo parametri autonomi, perché non c'è limite a ciò che può domandare. Qualora comandasse qualcosa di stupido o criminale saremmo sempre in grado di fermarci, altrimenti no. Dio solo sa quante boiate sono state fatte in suo nome.
È evidente che, se non vogliamo essere ciechi ai bisogni e ai diritti reali delle genti né obbedire alla cieca per fare il bene di Dio sopra ogni cosa, quel dio non può e non deve stare a fondamento dell’etica. Soltanto da noi, liberi e maturi, possiamo veramente distinguere e qualificare cos’è vero, buono e giusto.
Si dirà pure: «La fede in Dio ha ispirato molte opere buone: non è forse una prova della bontà delle sue leggi?». Sembra, ma non è così.
Di sicuro, alcuni princìpi di vita religiosi sono interessanti, e condivisibili. Non c’è da dubitare dei motivi etici di alcune associazioni benefiche di tipo religioso (ve ne sono peraltro molte anche laiche), né che certi appelli del clero abbiano finito per suscitare qualche decisione politica positiva. E massimo rispetto per chi, anche se per piacere a un dio, ha sudato e pianto per realizzare opere umanitarie o comportarsi rettamente. Quello che hanno fatto questi uomini e queste donne è degno di ogni lode, e di gratitudine.
Ma loro non sanno due cose: che qualcuno gli ha sempre detto il falso sulla fede, e che non è necessario un dio per essere fantasticamente in gamba.
Il mondo ha visto e continua a vedere molti grandi uomini e donne, esempi altissimi di virtù e forza morale. Fra loro ci sono persone religiose, e anche no.
L’Essere Umano può essere grande. In nome di cosa? Vale la pena di deciderlo: per salvare delle vite… o per obbedire a dei comandamenti? Per gli uomini e le donne e i bambini di questo mondo… o per il dio stravagante di una chiesa che mente? Sai? È una scelta che anche tu ti troverai a fare.

~ ∞ ~

Fare il Bene per paura di dio, che triste!
Fare il Bene, pur sapendo che nessun dio ti punisce se sei cattivo… Questa è vera grandezza.

~ ∞ ~

Come se non bastasse, questo dio cattolico è ben lontano dall’essere giusto e buono, ‘morale’. Basta leggere qualche capitolo della bibbia per farsi l’idea di com’è: un dio crudele (vedi ad esempio Esodo 12:29 [tanto più perverso in quanto Es 4,21-23!), vendicativo (2 Samuele 12,13-14), sadico (Es 32,27-29), iniquo (Gn 3,16-23), vanitoso (2 Re 10,18-30) e di parte (Dt 7,1-6)… Roba che per una cazzata ti ha distrutto intere popolazioni (Nm 31,1-18). Opera di Dio, eh, sono parole sue.
Anche i passi più ingarbugliati e disumani. Altro che divina moralità. Come la mettiamo? Se anche ci fosse una prova inconfutabile della sua esistenza, sarebbe difficile amarlo per quello che ha fatto.
E i 10 comandamenti? Che ridere… A parte che ce ne sono diverse versioni (! Vedi dopo, nelle ‘Bugie della Bibbia’), ma come si fa a dare retta a leggi tanto mal scritte, che ad esempio non escludono la schiavitù e ordinano «Onora tuo padre e tua madre» ma non anche «Onora tuo figlio e tua figlia»? Bella moralità! I valori familiari non sono mai stati il meglio del dio dipinto dalla bibbia.
Ma forse Gesù, altro grande personaggio del librone, ha raddrizzato le cose? Oh no, non proprio! Lui non è venuto per rinnegare queste terribili nefandezze, ma per riconfermarle (Mt 5, 17-19; Lc 16,17). Infatti non solo di vangelo è fatta la sacra bibbia cristiana, anzi la seconda metà non può proprio fare a meno della prima perché vi poggia sopra per necessità. E poggia su tutta la prima, quindi anche sulle pagine buie come il fondo di un pozzo.
Comunque, fra il dio del vecchio e quello del nuovo testamento c’è differenza: Mosè guidava un popolo primitivo e disordinato, e si serviva di un dio severo. Oltre un millennio dopo, per diffondere una religione nelle grandi culture greca e romana, conveniva rifarsi a un dio più giusto e compassionevole, più adatto alla sensibilità del tempo, che manda suo figlio a parlare di pace. Sicché a questo Gesù pubblicitario si è fatto dire qualcosa di bello, come «Amerai il prossimo tuo come te stesso»: una proposta molto interessante, che però non chiarisce mai completamente: perché non rinnegare le vecchie leggi gracchianti? Perché si deve amare ‘come noi stessi’ anche chi ci fa male? L’amore per comando di un dio, è davvero sincero? Perché anche schiavitù e povertà, oltre le quali Gesù non si innalza? Va assolutamente ricordato poi che questa brillante idea… non è di Gesù! Non è per niente farina del suo sacco, ma come molte altre, è presa pari pari dal Vecchio Testamento (Lv 19,18 e 34).

Vi sono ottimi spunti in tutte le religioni, ideologie politiche e sistemi filosofici, e questo è uno di quelli buoni nella religione cristiana. E non a caso: è in armonia con un desiderio intensissimo di ogni essere umano, quello di essere rispettato come Persona. Secondo me l’impegno al rispetto reciproco (una cosa tipo «Amiamo il prossimo se proprio vogliamo, ma intanto stimiamolo, soprattutto rispettiamolo… e che lui come minimo faccia lo stesso con noi») è proprio il principio migliore per il bene comune, al momento, perché assicura la maggior dose di libertà e sicurezza, al maggior numero di persone.
Il RR è in sintonia con ‘ama il prossimo tuo come te stesso’: infatti entrambi suggeriscono di valutare sé stessi tanto quanto il prossimo, com’è giusto che sia, e negano l’idea di sacrificio ad ogni costo che la Bibbia e la Tradizione sostengono altrove (contraddicendosi su un punto essenziale). Ma è più equilibrato, proprio così. Intanto, non vedo perché dovrei amare tutti, anche chi non conosco e addirittura chi mi fa del male. Amerò le persone che sentirò più vicine, agli altri invece dedicherò stima e rispetto, aspettandomi io stesso di non essere per forza amato, ma di essere però rispettato. E non è solo una questione di misura: amare non frena dall’imporsi, si può sempre dire che lo si fa ‘per il bene dell’altro’. Quante volte è già capitato?
Ci sono tanti modi di amare, amare veramente, anche non positivi: pensa ad esempio all’amore iperprotettivo, ossessivo, dominante, abusivo, imposto e non richiesto… Si può amare e non avere la minima idea di cosa si sta facendo: a volte l’amore che c’è non si dimostra abbastanza, o non viene espresso nel migliore dei modi (ad esempio lasciando poca libertà o dandone troppa – e penso a genitori inutilmente autoritari o irresponsabilmente permissivi; o ancora perché, malgrado le migliori intenzioni, la comunicazione è scarsa o inefficace, e l’intimità del legame va spegnendosi); o si mescola ad altri sentimenti forti, o tende inconsciamente a replicare lo stile di un aspro passato… Si può amare perché si ama l’amore, perché ci si sente in dovere, per sentirsi buoni e bravi, o amare l’altro non come ma più di sé stessi… Si può amare con tutto il cuore, eppure essere irritanti, bisbetici, inopportuni, assillanti, collerici, autoritari, impietosi, sprezzanti, distratti, assenti, freddi, giudicanti, incoscienti, ansiosi, volubili, manipolativi… E così mettere paura, prosciugare la vitalità, far sentire angosciati e in trappola, disorientare, inibire o procurare un desiderio rabbioso di fuga o di rivolta; rendere infelici, in ultima analisi, senza aver mai fisicamente alzato le mani.
La verità è che amare non basta. Non basta poter dire «Io amo», per fare di certo la cosa giusta.
Amore ‘incondizionato’? In quanto tale, non porta necessariamente alla giustizia, né all’ascolto, né al cambiamento, e quindi non per forza alla pace. Ama il tuo nemico poi è una cosa ingiusta in sé, invita ad accettare il peggio, e a farsene vittime ‘felici’. Il rispetto reciproco è una proposta molto migliore, a mio parere, perché contiene l’idea del diritto di tutti, del giudizio sui fatti, del dialogo sulle difficoltà e del percorso insieme. Il rispetto può esserci anche dove non c’è amore! Esso dipende fortemente dal principio che ogni essere vivente e l’ecosistema hanno grande valore, quindi è lo strumento adatto a creare una base di pace comune, su cui poi costruire benessere. In questo senso è più diretto, più preciso, ci costringe a chiederci «Nel mio fare, nel mio amare questa persona, sto assecondando la sua natura e i suoi desideri? Sono felice, è felice?».

Amare è facile, rispettare è il difficile.

Oggi come oggi – giorni in cui stiamo costruendo insieme il mondo di domani – possiamo ancora trovarci a parlare con chi di questo non vuole saperne, non ne vede il senso, o non conosce alternative né può riceverne soddisfazione, e tende così a pestarci i piedi, a fare come se non ci fossimo, e anche ad approfittarne.
Allora spesso dobbiamo partire dall’inizio, e raccontare e offrire e chiedere il semplice rispetto di base a chi ci passa sopra come un treno intercity senza accorgersene, come fosse normale, magari persino credendo di… amarci (la mia idea è che queste persone non siano state rispettate a loro volta, fin da piccoli. Se così è, a maggior ragione l’idea del rispetto è essenziale). Questo tende a migliorare i rapporti da subito, e più di ogni altra cosa consente di far nascere rispetto, di sprigionarlo, e bagnandone la terra di far fiorire nel tempo il senso di uguaglianza e il piacere della pace… Dare rispetto è una di quelle cose che riempie di una gioia tutta particolare. Riceverlo è veder riconosciuto il proprio valore, è sentirsi allo stesso tempo capiti, coccolati e liberi… E questo ci invoglia a dare agli altri lo stesso, come il più naturale degli istinti e la più ovvia delle verità, in assenza di artificiali o malsane costrizioni. Cosa ne pensi?

~ ∞ ~

Il RR ci forza a mettere sul piatto bisogni e desideri, e a raggiungere un accordo che li soddisfi tutti. Se vuoi rispettare qualcuno cerchi di capire cosa vuole, se vuoi venire rispettato farai capire cosa vuoi… Saper comunicare bene, allora, è essenziale per comprendersi, e comprendersi è sapere cosa fare per venirsi incontro. Comunicare bene è essenziale al rispetto! Ci aiuta a costruire relazioni migliori, più solide e profonde; a casa, con gli amici, a scuola, al lavoro… ovunque le persone si trovino vicino.
Comunicare per migliorare i rapporti umani è mettere in parole efficaci ciò che uno sente, pensa, desidera… È anche ascoltare l’altro con empatia e capire cosa sente, pensa e desidera… e poi saper trovare un punto d’incontro, per prevenire e risolvere i problemi di una relazione, per rendere la convivenza appagante per tutti. Quando ci si pone l’un con l’altro in questo modo, non solo degli accordi soddisfacenti diventano sorprendentemente più facili, ma si diffonde una atmosfera di complicità e amicizia. La relazione stessa, ne guadagna.
Sembra facile, e in fondo lo è. Ma partiamo quasi da zero, perché quando apriamo la bocca di solito parliamo e basta. Possiamo avere l’impressione che parlare e comunicare siano la stessa cosa, ma non lo sono. È come guardare, e non vedere! Argomentiamo male, usiamo tattiche e facciamo pressioni, ci perdiamo su questioni minori, siamo sordi alle ragioni dell’altro quanto lui alle nostre, passiamo con leggerezza sopra ai sentimenti, vogliamo vincere ma anche battere, facciamo a chi grida più forte. Più un pollaio, no?
Ancora oggi l’importanza di comunicare bene è sottovalutatissima. Un’abilità che in genere si dà ‘per scontata’ e non si impara né in famiglia né a scuola. Così, nei loro rapporti molte persone fanno sempre i soliti brutti errori, che hanno perciò le solite brutte conseguenze… Incredibile.
Buonissima notizia: ci sono libri che la insegnano, persone e gruppi di grande esempio e anche corsi su questi temi! Ne esistono di più o meno buoni, migliori quelli basati sull’idea che tutte le parti che dialogano ne escano soddisfatte… e un po’ più amiche.

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Rispetto, dunque. Eppure, quando penso a quanto è stato usato nei secoli da tanti cristiani… le risate! Non è questo che intendeva la Chiesa lungo i suoi primi 2000 anni. Nel nome di dio, infatti, si è macchiata di crimini terribili: ha ucciso, rubato, mentito, affamato e torturato (vedi dopo, nei ‘Brutti esempi’), e uomini cattivi, inclusi molti papi, hanno trovato protezione e persino giustificazione nelle leggi ‘del Signore’. La moralità della bibbia e della chiesa è stata spesso, e spesso è, una tragica commedia.
Ma attenzione, va detto: la Chiesa cattolica è solo uno degli esempi più clamorosi. A vari livelli, una simile schifezza di comportamento l’hanno avuto persone in gruppi d’ogni genere, in campo religioso, filosofico, politico, economico, sociale, persino sportivo…
In politica, anche governi cosiddetti atei. Pensiamo a Cuba, alla Cina di oggi, e a uno degli esempi più devastanti: solo il secolo scorso Stalin, dittatore alla guida della Russia (allora Unione Sovietica), opprimeva il popolo e uccise milioni di persone. Lui non credeva in alcun dio.
Questi sedicenti atei al potere hanno imposto la loro visione del mondo come verità indiscutibile, e commesso vergognose malefatte come quelle che si rimproverano al papato. Male!

A onor del vero dobbiamo chiederci: erano atei, quelli? O sempre credenti, persi su dogmi diversi? Per essere ateo Stalin infatti aveva una gran brutta serie di idee fisse, personali e politiche, che lo motivarono a crimini pazzeschi, snaturando il pensiero comunista originale in un tritacarne sociale … E queste idee erano il problema: la semplice opinione che non c’è un dio di per sé non spinge a nulla, né al male né al bene.

Stessa cosa fece il regime nazista, altra grande mostruosità del ’900, che però… mai sostenne o favorì l'ateismo, e anzi lo avversò: concesse al popolo tedesco le religioni cattolica e protestante (ed entrambe zelanti ricambiarono per anni col pieno sostegno teorico e operativo. Con le dovute eccezioni) e firmò un concordato che assicurava al Vaticano l’insegnamento nelle scuole tedesche, tributi in denaro ed esenzione dal servizio militare (che lungimiranza!). Nonostante non tollerasse ingerenze nella sua politica, al suo interno la gerarchia nazista professò e restò intrisa di credenze pagane e soprannaturali, incluse quelle – mai rinnegate – alla base del cristianesimo. E come risulta da documenti e testimonianze ufficiali, per quanto preferisse la politica alla religione come arma per i suoi scopi Hitler non si considerò mai ateo, ma un credente cristiano ispirato a suo modo da Dio, il cui culto intendeva semmai riformare e non combattere o estinguere.
Alla luce di ciò, guardali entrambi: sadici dittatori che intendevano essere adorati e obbediti come vecchi aristocratici, in nome di rigide credenze buone soltanto dal loro ottuso punto di vista, e imposte alla gente (credenti e non credenti) da un’oligarchia non eletta e malata, con gravissime conseguenze per l’indipen-denza, la pace e il benessere sociale. Di fatto essi non si opposero alle religioni come noi facciamo oggi – cioè per l’uso effimero della fede, per i suoi miti antiquati, per la sua propaganda, il suo distorcere i fatti e il pesare nel cuore delle persone – ma usarono questi stessi metodi, al fine di prenderne il posto e i privilegi. Non per liberare e proteggere il loro popolo, ma per dominarlo da sé. Essi non agirono che per i propri interessi, e certo non ‘in nome dell’ateismo’, sostituendo a un dio altri assoluti. Assoluti atei? Una contraddizione in termini. Per convinzioni dogmatiche, cieche imposizioni, intangibile legittimazione, indottrinamento e autocelebrazione, la mentalità di questi regimi non si distingue da quella di tanta religione.

Uao! Il mito che affibbia all’ateismo ‘i mali del XX secolo’ non è solo storicamente falso e prete(!)stuoso, ma veramente ironico…

«Ecco! Appena la Chiesa fa qualcosa di sbagliato subito la bacchetti, ma se a sbagliare sono gli atei no, non è ipocrita?». Ma non è così. Ogni crimine va giudicato, ogni criminale assicurato alla giustizia, ed è evidente che quei tagliagole lo meritavano. Ma è altrettanto onesto rilevare che l’ateismo non ne fu né la causa né il fine. Ciò che ne consegue, invece, può esserlo: ad esempio se si prende a pensare, disgraziatamente, che ‘tutto è permesso’, allora i guai possono nascere, e nasceranno. Se si perde speranza perché ‘dunque la vita non ha valore né senso’, nasceranno. Così come se ‘quindi sono libero di usare o dominare gli altri, e più presto è meglio è’, sicuramente nasceranno. E invece, come abbiamo visto, da atei si può benissimo apprezzare la vita per sé stessa, e rispettarla e rispettarci con tutto il cuore. Niente di tutto questo deve conseguire dal semplice non credere, ma certamente può. Dipende da come si è appreso e si sceglie di pensare e comportarsi, in un mondo senza dèi.
Chiaro perciò: il problema di quegli uomini non era affatto l’ateismo in sé, ma lo sfacelo di dottrina sociale che vollero credere e imporre in modo freddo, dissennato e feroce, in base a una fede – di principio del tutto simile a quella religiosa – e per una durezza di cuore e di testa che ha radici comuni in tutti gli eccessi umani. L’ateismo non è un credo nel male e nella violenza, questo stereotipo è filosoficamente e storicamente infondato. Al contrario, il danno di una fede fattasi cieca alla verità dei fatti e al rispetto delle persone è mille volte evidente, e incalcolabile. È una cosa che il credente dovrebbe proprio accettare.

A mio parere in realtà importa gran poco stabilire se questi criminali fossero atei o credenti: il vero dramma è che fossero criminali. Tutti questi uomini di Stato e capi religiosi, vissuti nel mito di dio, del partito o di sé stessi, uguali nella brama di supremazia e nella presunzione di superiorità, non credevano in una pace fondata sull’uguaglianza nei diritti, il rispetto reciproco, l’accordo sulle leggi, ed entro queste sulla felicità di ognuno a suo modo. Ecco il punto (spesso non chiaro a noi stessi atei, eppure essenziale): non erano umanisti!
E guarda che casino: diritti umani, zero. Non è possibile pensarla diversamente. Chi lo fa, si scava la fossa.
Questo dà da pensare: «Azz! Ma allora uno può fare un casino pazzesco sia se inventa dio, sia se non lo fa?!». Sì. Già. Ogni schema di pensiero che non preveda innanzitutto il non-rompiamo-le-palle-a-chi-non-la-pensa-come-noi, è destinato a fare una strage.
Ciò che contraddistingue una ideologia distruttiva non è tanto la particolarità dell’ipotesi di partenza, ma il fatto che non se ne può discutere, che viene difesa ed esaltata oltre ogni logica e buon senso, che viene imposta al di sopra del benessere fisico e psichico delle persone, cercando di convincerle che per loro è l’ideale. Questo solo, è inaccettabile. Poi uno può pensare anche che l’erba dei prati venga da Plutone, affari suoi… È importante comprendere dov’è il problema. L’assolutismo, il fanatismo, la rigidità di pensiero, l’insensibilità, la coercizione, la violenza fisica ed emotiva, la fedeltà cieca a un leader, una causa, un libro che oltrepassi i fatti e calpesti uomini e cose: quando un rapporto è basato su questo si creano battaglie di potere, o vere e proprie guerre di conquista, in cui una parte cerca di imporsi all’altra – fosse anche, fantasiosamente, ‘per il suo bene’ – e questa di liberarsi. In simili dinamiche, si versa sempre del sangue, dal corpo e dall'anima. Se il proprio credo promuove questo in modo esplicito, o soltanto si interpreta in tal senso, iniziano guai per tutti.
Un momento: allora, sistemi di governo onesti, aperti e generosi? Forme di spiritualità che non fanno a pezzi le altre? Un coglione, in 100mila anni, che non abbia voluto spellare un contestatore??
Beh, esempi autorevoli ce ne sono stati, e ce ne sono! Magari ancora imperfetti, incompleti, anche largamente carenti soprattutto in alcune cose… Ma che certamente si lasciano mettere in discussione, democraticamente. E che oggi possiamo migliorare ulteriormente.

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Chiaro dunque: qui parliamo di religione, ma il discorso si estende alle relazioni fra persone. Ovunque ci sia un’idea fissa e indiscutibile, là c'è un problema, e facilmente due: uno riguarda la sua verità e bontà, essendo creduta e sostenuta per sé stessa, quindi al di là dei suoi reali effetti; l'altro riguarda appunto la relazione umana, nel quotidiano e fra i popoli, se in forza di esse comincia un gioco di potere (io comando-tu obbedisci) per cui la parte che subisce – e in fondo anche chi impone – non è serena (come minimo. E non c'è limite al disagio). Riconoscere i rapporti di potere è possibile, come stiamo vedendo, e lo è persino uscirne completamente. Oggi sappiamo come.
Occorre innanzitutto prendere coscienza del problema… Poi farvi resistenza (nel modo più efficace e con il solo vigore necessario e sufficiente). Porsi obiettivi di libertà (e guarigione) equilibrati, e adottare da subito – proponendo all’altro di fare lo stesso – strumenti migliori, come ascolto empatico, introspezione, disponibilità alla mediazione, rispetto reciproco, comunicazione efficace.
Che te ne pare? Condividi questa idea sui rapporti di potere? E sulla soluzione?
Non sono le leggi da sole a fare il nostro bene: è piuttosto il cuore delle persone, credenti o non credenti, a fare la differenza. Sempre.