Piccolo manuale di Umanesimo ateo

Il perché e il percome di una vita senza dèi.

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Intro
Prima parte / Un leggerissimo cambiamento
1. Allora, chi è Dio?
2. Quali prove abbiamo che esiste un dio?
3. Che bisogno c'è di credere?
4. Ma se Dio non c'è, come può l'uomo essere buono?
5. In cosa credere? Il cuore dell'Umanesimo
Seconda parte / Cosa dice la Chiesa
6. Perché ci battezzano?
7. A che serve la prima comunione?
8. Un dio così ci rende schiavi

9. Il male, il peccato, il sesso
Terza parte / Quello che la Chiesa non dice
10. Le bugie della Bibbia
11. Credenze cristiane tutte da verificare
12. I brutti esempi di chi predica il Bene
Help & Tips / I trucchi della comunicazione
Finale
Appendice A / I comandamenti: 10 …o 40?
Appendice B / Il peccato originale
Bibliografia

5. In cosa credere? Il cuore dell’Umanesimo

Che illuminazione! Dio non c’è, e quando preghiamo parliamo al lampadario.
Ma non siamo soli: diamine, siamo in 6 miliardi su tutto un pianeta!
Mettiamoci d’accordo su cos’è più importante:

* Che le idee siano imposte o che siano scelte?
* Obbligare alla cosa giusta, o lasciar liberi di migliorare?
* Presentare una realtà confezionata o insegnare a decidere?
* Fare le cose per paura, o perché le sentiamo giuste?
* Sperare in un paradiso o godere dei frutti terrestri?
* Educare con menzogna e ambiguità o con sincerità e chiarezza?
* Guidare con premi e punizioni o dando ascolto alle necessità di tutti?
* La legge del più forte o il rispetto reciproco?
* L’amore per un Dio o prima per gli Esseri Umani?
* Ricavare la realtà dalla finzione o capirla dai fatti?
* Credere a un’idea solo perché ci piace o usare i sensi e la logica?
* Ricavare felicità dall’assuefazione o dalla consapevolezza?
* Tanto benessere per pochi, o massima felicità per tutti?
* …

Dalla risposta a domande come queste dipende il nostro futuro.
Quali siano quelle che sceglieremo, come prima cosa però, innanzitutto: cerchiamo di non pestarci i piedi… Ognuno ha diritto di pensarla come vuole, e dev’essere lasciato libero di scegliere.
Ad esempio: come possono pensare i credenti di possedere la Verità ultima, di fronte a un universo di cui conosciamo così poco? Bizzarra idea! Ma non è un problema: uno ha la sua bella idea assoluta, la accarezza, se la coltiva, al limite ne chiacchiera un po’ al bar con gli amici, così, se capita, e poi tutti al cinema… Però spesso, questa idea assoluta, chi ce l’ha non resiste: la deve anche divulgare. Il che è carino, davvero, perché è bene informare tutti di una cosa buona. Il problema nasce quando uno dice: «Ho capito. No, grazie», e questo chiaro e semplice rifiuto non è sufficiente perché smettano di strapparti ad uno ad uno i peli del naso. Non è accettabile che un’idea venga divulgata come ‘Certezza Assoluta Immutabile Le Altre Fanno Tutte Schifo Parlo Solo Io Zitti Tutti’. Se ne può essere tranquillamente persuasi, ma nella misura in cui si ritiene categoricamente indiscutibile e superiore a tutte le altre, non ci si può stupire del disappunto e dell’ironia di chi non la condivide, né della resistenza che la sua imposizione provocherebbe.
E attenzione: persino l’ateismo e la scienza possono arrivare a queste posizioni rigide. Se facciamo della scienza, o di una filosofia, un altro dio infallibile, e cominciamo a venerarla come in una religione.
Inutile dire che questo punto di vista, che si chiama ‘Scientismo’, offre il fianco alla stessa critica che facciamo qui alle ideologie religiose. Come, proprio la scienza… che scoprendo cose nuove ha spesso modificato le proprie leggi, decide di essere in assoluto migliore di qualsiasi altro modo di conoscere la realtà? Buuuu! È solo il metodo che funziona meglio, finora, se il nostro obiettivo è la verità dei fatti, e non l’ignoranza, il dogma o la superstizione.
Per la stessa ragione, affermare che ‘la scienza dice…’ non va usato come generico appello all’autorità. ‘La scienza dice’ non vale niente in sé, ciò che conta è perché lo dice, cioè se e in che misura una certa tesi può essere provata.
La scienza in realtà non parte da verità assolute, e non ne produce. Al contrario, comincia dai fenomeni che osserva, e ne tenta una spiegazione concreta e verificabile. Questa spiegazione verrà discussa e confrontata, usando i metodi via via migliori, con ogni nuovo dato: se la spiegazione regge, resta e ok, altrimenti si corregge, si completa o si sostituisce… e ok lo stesso! Solo dopo questo, infatti, possiamo essere abbastanza sicuri di una teoria o una legge. Non prima, a meno di credersi infallibili.
Lasciamelo ripetere: la scienza NON è dogmatica, per definizione. Se lo diventa, non è più scienza. Quando si usa in modo dogmatico non solo le si toglie potenza, rendendo impossibile l’evoluzione del sapere, ma si può star certi che lo si fa, se non per ingenuità, come moderno paravento per scopi ad essa estranei (e allora è il caso per noi di chiedersi quali).

Molti coscienziosi scienziati – e così gli storici – sono atei, ma altri sono credenti. Tutti, quando sono al lavoro, guardano i fatti e accantonano le opinioni personali. Ovvero, le accantonano come certezze. È ovvio: uno studio serio che cominci da credenze non verificabili e/o non discutibili sarebbe una contraddizione in termini, e una pista sicura verso conclusioni quantomeno equivoche. È per questo che la teologia, per quanto magniloquente e razionale si sforzi di essere fin dal suo nome, poiché parte da quel tipo di premesse non è scienza, ma filosofia, sofisma e fiaba.
Aspettandosi di migliorare, la scienza resta aperta a nuove prove e a nuove teorie concrete e verificabili, e chiede a tutti di fare altrettanto. Il metodo scientifico, insomma, è insieme furbo e umile. Può commettere sbagli e lo sa, ma si organizza per non farli e non ripeterli. Per definizione, quindi, non è un effimero capriccio, eppure non è religione – che invece pretende immutabilità, spesso nega o indirizza la ricerca sfigurandone i processi e i risultati, e non gradisce confutazioni (salvo poi adattarvisi, con qualche maliziosa trovata che protegga gli dèi).

Si può parlare di una idea/premessa/metodo/strumento/legge ‘migliore adesso’, non di una idea/premessa/metodo/strumento/legge ‘perfetta sempre’.

Questa lungimirante morbidezza di giudizio viene spesso fraintesa dai critici del cosiddetto ‘relativismo’. Essi condannano la società moderna sempre meno credente, lamentando fra l’altro il fatto che ormai quando si dice che una cosa è vera, allo stesso tempo si pensa che tutte le altre sono vere allo stesso modo, perché tanto ‘tutto è relativo’. La verità non esiste: un principio vale l’altro, dunque nessuno importa.
What?
Esisterà pure qualcuno che pensa in modo così frastornato, ma certo non è questo che la maggior parte di atei e umanisti intende con relativismo.

Relativismo è il ritenere che in certi campi – come scienza e etica – non esistano, o meglio non siano ri-conoscibili, verità assolute, perfette e trascendenti. Quelle fondate sì, quelle eccellenti sì, quelle di cui andare fieri sì, quelle largamente condivise sì, quelle assolute no. Perché è in ogni caso il nostro punto di vista che conta, la nostra unica (e limitata) capacità di osservare e apprendere, anche di sbagliare. Eppure ciò non esclude affatto che si possano avere ferme convinzioni scientifiche, non impedisce mica di formular giudizi fra bene e male, né di arrivare a leggi positive, concordate e durature… Semplicemente, non sono assolute. Lo facciamo da sempre, lo fa ogni governo democratico, e anche il cristiano prende ogni giorno decisioni importanti senza chiedere a Dio, no? Ovvio e straovvio anche per te? Già! Se lo scorda facilmente il credente abituato a pensare ‘Dio o niente’. Richiede un certo sforzo convincere sé stessi di non avere altra scelta fra questi due estremi, e di valere così poco. In realtà, fra l’assoluto e l’assurdo, fra dogma e deriva, fra perfezione e lesione cerebrale, c’è un mondo intero. E ci siamo noi. La verità è possibile, eccome. Una di queste verità è che ogni giorno cambiamo, evolviamo. Un’altra è che viviamo scegliendo. Un’altra ancora è che per vari motivi ci capita anche di sbagliare, anche quando pensavamo di assecondare un dio. Per questo è comico credere di avere in mano l’assoluto. Meglio prendere atto con buona modestia del fatto che anche quando pensiamo che una cosa sia sacrosanta, non possiamo escludere che per altri e in altre situazioni non funzioni affatto, o che domani troveremo di meglio. E se succede? Beh, per dei buoni motivi, val bene cambiare idea o ritoccarla. Altrimenti no. Ecco che vuol dire relativismo!
Nulla di tragico, anzi sembra un’idea intelligente, vero? Solo che per natura insidia gli statici e pretenziosi dogmi di fede. Hai presente, quelle idee a forma di chiodo fisso, a cui tanti credenti si aggrappano fortemente pur di restare fra le nuvole… E questo è il vero ostacolo: se non c’è assoluto, non c’è Dio. Chi ha bisogno di sostenere di conoscere l’unica Verità possibile su tutto, teme dunque questa utile flessibilità nel giudicare e si batte contro di essa con ogni mezzo, al punto da compiere un frequente errore di ragionamento: la descrive come non è – ne abbrutisce i tratti, ne fa una bislacca caricatura – e poi addita con severità l’inverosimile spaventapasseri, prendendosela con una posizione che in realtà nessuno aveva sostenuto. In questo caso, disponibilità e apertura vengono letteralmente scambiate per menefreghismo, eterna indecisione, buonismo, debolezza morale. Eeeeh? Ma queste non sono mica ovvie conseguenze del relativismo! Chi vi insiste pare non colga la serietà del mutare leggi e credenze per riflettere nuove esigenze e conoscenze, la bontà di farlo proprio per l’idea(-le) di costruire un futuro migliore, e nemmeno l’intensità della forza e del coraggio necessari a chi non conta su favori divini. Difficile, se più importante ancora è celebrare un dio, o, per dirla meglio, proteggere la validità e la coerenza della propria fede…
Parliamoci chiaro: ciò che non piace nel relativismo è solo l’assenza di assoluto. Ciò che si teme di esso è che allontana da Dio. E dunque non può che essere una cattiva idea. Ma perché non dirlo così, e rischiare una figura asinina nell’attaccare una falsa definizione? Perché la moltitudine si fida ancora ciecamente, si fa bastare poco e non controlla, e chi si accorge tace per vantaggio o non ha molta voce in capitolo, perciò la propaganda – in Italia – è pressappoco a rischio zero.
Trucchi come lo spaventapasseri sono usati con sistematica precisione da cecchino: troppa, per non vedervi una precisa intenzione. Oppure davvero, si tratta di magna ingenuità?

«Ok, ma non è forse vero che la cultura moderna dice ‘Tutto è relativo’?». La cultura moderna no, parte di essa sì. E sbaglia. Hai capito bene: il detto ‘tutto è relativo’ è sbagliato, e non tanto perché è un paradosso (comunque se ne esce con una mossa ingegnosa), ma perché troppo generico. Verità ci sono, per esempio l’Italia ha vinto i mondiali di calcio 2006, non ci piove! Tutto, poi, che ne sappiamo? Quindi è più giusto dire ‘questa cosa in particolare è relativa’, ‘in quel campo non c’è assoluto’, eccetera.
In fondo è solo un modo di dire, eppure è in voga fra alcuni cristiani criticarci l’intera cultura occidentale moderna sulla via della secolarizzazione. Gli sembra perfettamente logico che se tutto è relativo –> vale quello che mi pare –> tutti contro tutti –> caos –> il caos è male –> il male è male –> the book is on the table –> che fare –> è ovvio –> il rimedio è –> l’estremo opposto: –> l’assoluto, immutabile ed eterno –> volere del mio –> Di –> o. Un ragionamento ineccepibile!
…Improponibile, semmai. Dal punto di vista logico infatti pecca di una premessa falsa (relativismo=vivere allo sbaraglio), di due deduzioni sbagliate (relativismo=immoralità, egoismo, caos, ecc. + cristianesimo=buona alternativa), e di una terza che va provata (l’assoluto). Ma certo! Dio, sappiamo già che è semplicemente un’idea. Quanto a regole infallibili e princìpi giusti per sempre e per tutti… qualcuno dimostri che esistano! Prendi i più alti ideali: che siano un regalo divino, universali e super-umani, va super-provato. E quanto alle regole, non ne esiste una che non abbia qualche eccezione, un principio o un’esigenza che non siano definiti dal loro contesto e rifiniti da altri princìpi ed esigenze (leggere di nuovo, prego), uno scopo mai adattato a nuovi tempi luoghi e persone, un record che non si possa battere, una legge (e legislatore) che sia al di sopra di discussione. Chi crede che ne esistano di ‘perfette’ in qualche modo meta-fisico (oltre la natura) lo fa per dogma, un grossolano ‘perché sì’.
Paradossalmente, lo dimostra proprio un’idea cristiana, quella della ‘morale assoluta’: se esiste davvero, come mai fra le diverse confessioni cristiane e persino al loro interno, tanti bravissimi studiosi e devoti credenti hanno spessissimo idee opposte sui grandi temi etici? Ci sono cristiani a favore e contro la pena di morte, l’aborto, le coppie di fatto, la guerra, la libertà della scienza, la parità dei sessi, l’omosessualità, il razzismo, la ricchezza, la tolleranza, la laicità, la democrazia, la modernità… Bibbia alla mano e spiritosanto nel cuore, ciascuno di essi afferma convinto/a che la propria idea è: A) Giustissima B) Immutabile C) Esattamente quella di Dio, l’un con l’altro contraddicendosi. E allora, dov’è questa morale assoluta?
Il cristianesimo è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.

Perché non guardare anche la stoooooria del cristianesimo: nel Vecchio Testamento si dipinge un Dio con un diavolo per capello, pronto alla strage come niente fosse. Secoli dopo, ecco un ebreo che sfodera un Dio che ama, in modo corrotto ma ama (vedi cap. Un Dio così). Secoli dopo, la gerarchia ecclesiastica sua rappresentante torna alla violenza aperta e compie nuove stragi (v. I brutti esempi). Secoli dopo, e siamo ad appena 50 anni fa, essa non può fare altro che adeguarsi ai tempi, e si ricorda di quell’amore proprio quando il mondo afferma i diritti umani. Oggi curva di nuovo verso una medievale intolleranza, di idee e persone diverse, mentre il divario con i credenti della base è sempre più marcato, in princìpi ed azioni. Frattanto, si è completato il pensiero di Gesù con vari dogmi, ed escono nuove traduzioni della bibbia – migliori o solo ammorbidite, ‘armonizzate’, ‘modernizzate’. Che percorso, che mutamento! …E allooooora!
Realizzi che non c’è mai stata questa cosa sempre giusta e immutabile, proprio nella religione che lo crede? E che è perfettamente inutile far risalire la morale a un dio – dal momento che non si può provare né che esista né che cosa dica di preciso – tanto che potrebbe affermarlo chiunque, cioè nessuno?
Per quanto ne sappiamo e a guardare la nostra storia, anche l’ideale più universalmente condiviso, la regola più efficace e insuperata… sono frutto d’Uomo.
Ma poniamo per assurdo che siano da Dio: perché dovrebbero essere assoluti? Sapendo bene che nella storia l’essere umano evolve e matura, potrebbe averci voluto dare delle semplici tracce, aspettandosi proprio da noi che piano piano le completassimo e perfezionassimo. Non è possibile anche questo?

Ok questo dal punto di vista logico. E da quello pratico? Ah! Il relativismo si sposa con il rispetto di culture diverse e dei progetti di vita personali, in cui ciascuno ha tutta la libertà che è possibile avere senza scroccare quella dell’altro.
Per trovare il giusto equilibrio, infatti, esigenze e desideri vanno mediati, così che senza invadere ognuno possa spingersi fino a realizzare sé stesso/a nel modo che preferisce, suo proprio e unico. Il relativismo garantisce questo diritto.
L’alternativa? L’alternativa al relativismo è l’assolutismo. Cioè il totale potere di uno o pochi di decidere per tutti gli altri leggi, valori e scopi. Imposti, perché non discutibili, perché creduti assoluti. Alla faccia dei diritti umani! Alla faccia della della verità.
Quando ci si chiede: perché è più giusto così che cosà? L’assolutismo risponde: ‘perché l’ha detto il mio Dio/Sovrano/Maestro/Gruppo/Legge/Credenza/Libro Sacro/…’. Questa è una non-ragione, e ha scarsissima forza morale.
L’approccio relativista dell’Umanesimo dice: ‘perché è più rispettoso/utile/co-struttivo/piacevole/attuabile/equo/…’. E anche: ‘perché è meno dannoso/ pericoloso/cattivo/rude/rischioso/…’. Insomma si cercano ragioni vere e forti, sia dentro di sé, sia parlandone insieme. Questa sì che è etica! Anzi, solo questa è etica. Perché se non abbiamo scelto da soli fra bene e male, se non abbiamo preso posizione ma scartato tutto o accettato tutto, e non ci siamo accordati in modo sano, allora abbiamo eseguito un ordine, recitato un copione, guidato bendati in un parco giochi. Niente di più. Ad esempio, le leggi di uno Stato democratico e laico non dipendono da un dio, eppure rispondono a un intero popolo, e (almeno quelle essenziali) sono giuste ed efficaci, con il vantaggio che possono essere migliorate nel tempo. Non è vero, allora, che in una visione di vita che usi il relativismo non ci siano buone regole, durature e sagge. Ci sono, perché le abbiamo volute, cercate, trovate, provate, approvate, e ancora affinate. Per niente banderuole al vento, quindi, né indifferenti, frivoli o opportunisti, né antisociali…
Questo relativismo non vive di sé: è il presupposto migliore su cui poter operare una scelta libera, consapevole, efficace e partecipata.
Se c’è dunque una filosofia di vita che implica responsabilità per il mondo, quella è l’Umanesimo ateo. È uno dei suoi cardini, parte della sua bellezza e della sua forza… Uno dei grandi effetti del non credere a una divinità sopra la testa è proprio che siamo 100% responsabili delle nostre azioni. Perciò dobbiamo essere coscienziosi e attenti, se vogliamo che la vita ci funzioni, perché non c’è alcun dio a dirci cosa fare, né a giustificarci, né a salvarci. E dobbiamo spargere da noi amore e rispetto a fontana, perché nessuno lo farà al nostro posto.
Ooh essere buoni sì può, essere in gamba possiamo! Diamoci fiducia, finalmente!

~ ∞ ~

Esiste forse lo sport perfetto, o il telefonino perfetto? No, ognuno ha il suo sport, il suo telefonino perfetto. E tra 6 mesi ne esce un modello migliore. Ciò che conta è fare sport, è comunicare a distanza, non ci vuole mica un dio per capirlo.
Questo modo di pensare, la coscienza che le regole possono essere cambiate se è giusto, poiché sono loro al nostro servizio e non viceversa, è benefico e sta all’opposto di quel gran problema che è la rigidità di pensiero.
Viene facile, soprattutto quando si immagina di interpretare il volere degli dèi o di forze superiori, chiudersi sulle proprie idee e non metterle più in discussione, cercare persino di renderle un obbligo per altri. Viene facile, facilissimo… darsi delle regole e scriverle su pietra, dei dogmi e farli diventare più importanti delle reali esigenze di noi Persone, senza più valutare quanto soddisfino il vero principio, che non è Dio, ma il bene! Ed ha senza dubbio dei vantaggi – dà un gran senso di sicurezza, di tranquillità, di intelligenza, di ordine e padronanza – che però sono illusori, perché si basano per fede sull’idea falsa che una certa specifica visione della vita sia vera senza prove, giusta per forza, naturale per tutti. Il costo di questa convinzione irreale è, in termini di contatto con sé stessi e sviluppo delle potenzialità umane, astronomico.
Se è così, è facile capire che, al contrario, è questo ‘pensiero forte’ e in apparenza sicuro ad essere in realtà fragile e svantaggioso. Esso si chiude su sé stesso e si distacca dalla realtà. Chi lo sostiene, pretende che sia quest’ultima un suo riflesso anziché il contrario. Così diventa il fine anziché il mezzo, e perciò un limite alla realizzazione di sé. La nostra vita invece è come una lunga strada, con i suoi pezzi dritti e le sue molte curve, a volte dolci a volte brusche… Ecco, se uno pretendesse di andare solo dritto, rigidamente in una direzione, taglierebbe tutte le curve andando presto fuori strada.

Ogni ‘Legge di Dio’ che esce dalla bocca di uomini è legge di uomini. Ogni ‘regola oggettiva’ scritta da uomini è regola relativa, temporanea, migliorabile, come tutte le regole scritte dagli uomini… anche se ottima, anche quando essi la chiamano ‘universale’. ‘Universale’ è una semplice parola, un aggettivo che molti in passato hanno usato per connotare la propria particolare visione del mondo, in contrasto gli uni con gli altri, trovandosi naturalmente obbligati a cambiarla nel tempo per sopravvivere o vedendola lentamente dimenticata o combattuta dal resto del mondo, spesso a ragione.
Perché restare ancorati a uno stadio precedente, se ormai è obsoleto?
Molto meglio invece se le buone regole vengono sempre paragonate alla realtà e verificate, per un giudizio schietto sulla loro efficacia. Non sono più adeguate? Si modificano, senza paura.
Attenzione: non è un cambiare idea quando cambia il vento, con la facilità di chi non ha davvero alcun riferimento. E non è neppure detto che si cambi per forza, perché una strategia è confermata per tutto il tempo che è efficace. Le cose cambiano, le situazioni mutano, il mondo evolve, noi miglioriamo: ogni nuova età ha nuove esigenze e nuovi desideri, dunque nuove abitudini e regole sempre più adatte. È una scelta oculata in equilibrio fra i due estremi di incostanza e intransigenza. Una scelta flessibile, e pur sempre coerente.
Ma coerente rispetto a cosa?
Regole e costumi in generale rispondono sempre (cioè sono relative) alla domanda: ‘Quale è il modo migliore per darmi benessere?’ – che a un livello più evoluto diventa: ‘Quale è il modo migliore per dare benessere a me e a tutti, rispettando ogni forma di vita e l’ambiente?’.

Ecco: vi sono, in effetti, dei princìpi che dall’alba della civiltà ad oggi l’essere umano ha trovato giusti, positivi, benefici. Fra gli altri: rettitudine, libertà, pace, non violenza, sincerità, benevolenza, aiuto ai bisognosi… conoscere, realizzarsi, gioire, trattare gli altri con il rispetto con cui si vuole essere trattati…
Possiamo dire che essi sono eterni e assoluti? Niente affatto, non conoscendo il futuro. Potremmo anche supporre di sì, visto che il loro valore è semmai cresciuto nel tempo, ma nemmeno loro sfuggono alle leggi del cambiamento e non sono al di sopra di critica: non importa da quanto li usiamo, ciò che importa è quanto per noi essi siano ancora importanti, se oggi (e poi domani) rappresentano una buona meta e insieme un grande mezzo per raggiungerla, se ci risuonano dentro come fonte di ispirazione e crescita. Finché sarà così – ed è ancora così – li prenderemo a vigorosa luce sul nostro cammino.
Vivremmo meglio, vivremo meglio, una volta interiorizzati e vissuti coscientemente questi princìpi, ecco in cosa credono molti di quelli che non credono in un Dio. Ed ecco la risposta a chi chiede, piuttosto ingenuamente o senza fiducia nell’uomo, «Senza Dio, cioè se la morale non è assoluta, come si può decidere cos’è bene?».

Princìpi religiosi, cristiani magari? Nooo… Princìpi umani, giacché proprio a nessuno piace essere ucciso o ferito o derubato o rinchiuso… e a tutti viene naturale amare e fare amicizia… Princìpi realmente universali (quindi non solo religiosi) che le persone più ispirate hanno coltivato da molto prima del cristianesimo e della bibbia, in popoli di tutti i tempi, in quasi tutte le religioni indistintamente e anche al di fuori di esse. Su questi sani princìpi di base non è mai stata questione di religioni, né di ateismo. È questione di… essere Persone, semplicemente.
Non si è virtuosi per qualcosa che sta scritto in un libro, o per un ordine, o per la semplice imitazione di chi lo è.
Ma metti che questi princìpi vengano da dio: li accoglieresti in te solo perché ‘lo ha detto Dio’, o se li senti davvero giusti? Perché li senti giusti? Fantastico! Prova che quei valori sono già da prima in te, e infatti li hai usati per scegliere.
Chi qui rispondesse ‘perché lo ha detto Dio’ a prescindere dalla loro bontà, magari dando per scontato che siano buoni ma senza rifletterci e capirlo, non ha alcuna idea di morale, è come ra.dio.comandato/a. Anche quando fa del bene. Lascia che siano altri a decidere per lui/lei, si limita ad eseguire. Non è lui/lei a scegliere. Ma ti faccio una domanda molto seria: se Dio concedesse l’omicidio, se avessimo certezza di NON andare all’inferno per questo: ti sentiresti libero/a di farlo? Davvero prenderesti la vita di altri?
Si dice che dio, essendo Giustizia, non può che agire bene. Non importa, il punto è essere pronti a scegliere il bene, invece di fotocopiarlo. E questo, più tardi, ci aiuterà a capire se è proprio vero che dio non sbaglia mai.

Se è dio a deciderla, l’etica è relativa a lui, non assoluta. Se invece è giusta in sé, allora dio è solo un post-it che ce la ricorda. Grazie, ma possiamo farlo anche da soli.

Valori e ideali come quelli ci vengono spontanei, se non repressi, non c’è bisogno che siano emessi o convalidati da un dio e non vanno racchiusi in una ideologia, perché vi stanno stretti… Sono proprietà e privilegio naturale di tutti gli Uomini e Donne, miccia interiore capace di accendere le nostre fantastiche potenzialità!
Come si può pretendere seriamente che cadano dal cielo? Come si può credere che uno scettico non sia d’accordo con un prete o un rabbino sul fatto che scippare una borsa e bruciare un’auto sono cretinate? Come si può pensare che un non credente non provi compassione per un cagnolino ferito? Che un ateo non possa essere un buon amico? Che sia necessariamente disonesto, infelice, egoista, dedito ai vizi? Già! Eppure che gara che fanno certe fedi per arrogarsi l’origine dell’etica umana. Che recita intorno ai propri dèi, che sarebbero la fonte di regole universali senza le quali gli Uomini non saprebbero comportarsi se non da criminali… da peccatori! Un’idea che quando non si crede, o si smette di credere, perde completamente di senso, talmente è ovvio che è falsa.
E che dire di quell’altra: quando un/a non credente si comporta in modo etico e compassionevole, starebbe agendo… da cristiano! Una specie di credente inconsapevole, non è geniale? Con un pizzico più di coraggio e obiettività si può osservare che di certi princìpi eccellenti, di comportamenti intensamente e intenzionalmente morali, sono cosparse la storia e l’esperienza quotidiana, perché appartengono alla razza umana come una pulsione profonda e naturale. Quanto sia coltivata o prevalente non è il punto (non lo è stata anche da molti credenti. Tutti, dobbiamo lavorarci sopra). Dunque è il contrario: è il/la cristiano/a che, quando si comporta così, agisce in modo splendidamente umano!

Il cristianesimo a volte non si limita a interpretare gli stessi valori, ma ne pretende l’esclusiva, in nome di una sola singola persona – cioè in sprezzo all’umanità – che ha eletto a maestro e dio, il quale – uno fra gli altri – li insegnò e li applicò, a suo modo. Sarebbe un teatrino divertente da guardare, se però da quel palco la religione (da noi l’alto clero cattolico e chi lo prende in parola) non tentasse di far entrare anche chi la snobba nella casa degli specchi deformanti, per appioppare anche a loro questo sgradevole modo di credersi persi e dipendenti dagli dèi. Credere di parlare per un dio, che bella sensazione dev’essere.

Quando una persona agisce in modo estremamente crudele, noi diciamo che il suo comportamento è ‘disumano’. Disumano, cioè del tutto contrario alla natura umana. Quindi sappiamo che l’espressione migliore di questa natura è il bene.
Mi rattristo a pensare che invece ci sono molte persone che davvero si ritengono cattive dentro per il solo fatto di essere… persone! A loro faccio una domanda diretta, nuda e cruda: ti senti un assassino/un’assassina che ha bisogno di essere fermato/a? Ti senti un ladro, un maniaco pericoloso, un predatore sociopatico?
Scommetto che non è così… Malgrado gli aspetti migliorabili del tuo carattere che magari proprio ora ti vengono in mente, scommetto che senza il dio-sentinella non faresti del male, che non ti serve una camicia di forza perché non sei irrimediabilmente cattivo/a, e che ti basta immaginare – sentire dentro – il dolore che proverebbe una vittima, o considerare che non vorresti fosse fatto a te, per trovare disgustosa e rivoltante l’idea, e desiderare invece che stia bene.
In una persona equilibrata e sana questa è una reazione spontanea e naturale, sai? Se poi anche Dio e Manitù sono d’accordo, meglio per loro.
L’Uomo può comportarsi in modo eccelso o pessimo, spesso a seconda di come è stato cresciuto, cioè di quanto è stato rispettato e stimato da bambino, e se gli è stata data fiducia. L’Uomo può essere pacifico, equilibrato, altruista, per capacità interiore, per il fatto che è umano, libero e consapevole, e quindi capace di accorgersi del bene e del male …e di scegliere il bene. Di più, questa è l’unica condizione nella quale egli sarà veramente sincero, veramente grande!

Sbagliare dipende dalla nostra ignoranza, e da una capacità di giudizio debole o smarrita. Sta a noi allora usarla e allenarla fin da piccoli, e innanzitutto essere coscienti e sicuri di averla. A lezione dagli errori del passato per non ripeterli, determinati ad affinare un modo migliore di vivere.
Il che a mio parere deve andare di pari passo con il blocco di ogni indottrinamento, e – a un livello più profondo – con un cambiamento dei rapporti umani, soprattutto familiari (i primi e principali!), dai quali deriva serenità, lucidità di mente e autenticità di cuore. O, al contrario, durezza e distanza, dagli altri e da noi stessi. Su questa solida base positiva, cerchiamo spontaneamente il bene per noi, la famiglia, il gruppo e – da persone illuminate – la società. Che importa pregare un dio diverso o starne senza, l’importante non è forse vivere bene in armonia? La pace non ha niente di soprannaturale.

«A me hanno insegnato che senza Dio la mia vita non ha senso!» Classico… falso! La tua vita ha grande valore, senso e motivo d’essere, che esista un dio o no. I nostri amori, i nostri genitori, i bambini, gli amici e le amiche restano e non cambiano, perché il loro valore dentro di noi non dipende da dio. Gli affetti ci sollevano, i successi ci gratificano, l’umanità continua a progredire e la natura torna sempre a stupirci con le sue inaspettate meraviglie… Con o senza un dio, la vita ha senso se un senso le daremo.
Prova a pensare che Dio non c’è: la tua esistenza perde forse importanza? Forse che non puoi più fare mille cose buone, essere una persona veramente in gamba? Se ti avessero detto che senza dinosauri la nostra vita non vale un soldo, a dinosauri estinti che dovremmo fare? Ma dio non esiste, i dinosauri sono andati da tempo, e noi siamo ancora qui, perché la vita continua! Supponiamo di essere nient’altro che un incidente della chimica, o che per leggi di attrazione interne agli elementi sulla Terra la vita non poteva che formarsi: ebbene? Siamo di umili origini, e allora?
Rifletti: se pure la vita non ha un senso soprannaturale, può benissimo averlo naturale, ti pare? È questo che conta. Ed è la sola cosa che abbia mai contato.
Infatti, poiché nessuno sa davvero se c’è un paradiso dopo la vita, tutti quelli che credono che siamo stati fatti a immagine di Dio e che siamo destinati all’eterno si sono fatti ispirare da una semplice un’idea della loro mente… quindi tecnicamente non fanno nulla di diverso da chi invece si fa ispirare dall’Uomo, dall’Amore o da un altro dio.

Voglio che ti sia chiaro: anche chi crede in Dio si dà uno scopo nella vita da solo, perché un dio non c’è.

Idee come ‘senza un dio la vita non avrebbe valore – il mondo sarebbe caos – l’universo non esisterebbe – l’uomo sarebbe cattivo – non capiremmo ciò che è giusto’ sono prive di fondamento, e prima ancora di provarle (cosa che la Chiesa non è mai stata in grado di fare) mi sfugge il loro senso. Sono preconcetti, tristissime affermazioni immaginarie e incoerenti mascherate da conseguenze logiche, destinate a creare la necessità di un dio dove non serve. Non semplici nozioni, ma idee dure e sporche che si vanno a legare alle emozioni come gramigna, come virus di un’influenza esistenziale. Sono falsi problemi, e vere e proprie trappole mentali che ci incatenano alla fede dal profondo.
Te ne faccio altri esempi: «Osserva la dottrina e vivrai per sempre»; «Perdi la fede, e soffrirai per l’eternità»; «Non c’è atto, non c’è pensiero né sogno che Dio non conosca di te»; «Siamo peccatori per natura»; «Solo Dio ti ama come sei»; «Solo Gesù ha le risposte che cerchi»; «La tua felicità è nella felicità di Dio»; «Cristo è vivere»; «Se dubiti di Dio, prega perché rafforzi la tua fede»; «Da solo non puoi nulla»; «Qualsiasi cosa tu faccia, Gesù la farebbe meglio»; «Sei veramente libero quando lasci che sia Dio a guidarti»; «Che tu faccia questo, è volere di Dio»; «Certi tuoi desideri e pensieri, è l’azione di Satana»; «Il Diavolo è sempre pronto ad prenderti»; «I Papi sanno, tu no»; «Cristo in croce, prendi esempio!».
Tu pensa l'immane potenza negativa di questo credere, nella vita di una persona. A quale senso di oppressione, quale costante minaccia all’autostima e alla felicità insinuino questi simboli di un infausto dramma esistenziale, anzi cosmico, nel quale saremmo violentemente gettati alla nascita. Qual senso di liberazione, allora, e di conforto, possa scaturire dal piegarsi e abbandonarsi a un dio, fatta certa l’idea che Lui solo – a patto di regalargli la vita – sarebbe in grado di dominare le forze ostili in un disegno di cui egli stesso è autore. A quanto diventi faticoso, irritante, difficile, ragionare a mente fredda e a cuore sereno su una fede che ci abbia fatto assimilare queste verità senza senso e senza prove, magari sin da bambini. Ora moltiplica per miliardi di persone.
Io trovo qualcosa di profondamente corrotto nell’inculcare a qualcuno che ‘non ha senso vivere’ se non c’è Dio. Si sminuisce il valore intrinseco della vita e della persona, si confinano opportunità e sentimenti in un barattolo di religione, e si crea dipendenza da tutti quelli che, con la scusa di quel Dio, vorrebbero dirigere i nostri passi. Che ne pensi?

Chiediti: «Qual è lo scopo della mia vita? Quale voglio che sia? Chi voglio essere, cosa voglio realizzare?». La risposta a questa domanda è quello che cerchi, e tutto quello che ti serve per dare un senso stupendo alla tua vita!

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Un tempo, mettere certe regole in bocca a un dio era un ottimo modo per farle accettare, e certamente per farsi obbedire stabilendo ‘ordine’ nella società.
Oggi non abbiamo più bisogno di questo trucchetto, così come quando cresciamo non sono più i nostri genitori a darci regole ma siamo noi stessi a farlo. Anzi, se continuassero non impareremmo mai, e saremmo sempre prigionieri di ciò che loro decidono che ci serve e ci piace. Non è diverso, con gli dèi: possiamo finalmente slegare le due cose (Dio ? bontà), tenerle separate come in effetti è (in realtà non hanno bisogno l’una dell’altra), ed agire in modo etico e saggio per spinta interiore, non per comandamento.
Un passaggio non sempre facile, tanto più quando si cresce con queste idee e ci si investe sé stessi, fondandoci i rapporti coi propri cari e la propria immagine pubblica. Metterle in discussione è fuori discussione, se da esse dipende il nostro equilibrio, la nostra forza e la serenità, tanto che a perderle la vita andrebbe in pezzi e non avrebbe più senso. È per questa resistenza profonda, per questo dovere e questo senso di impotenza percepiti a livello emotivo, che i discorsi di tipo razionale spesso non fanno breccia. Sono inefficaci perché altra è la logica in uso, o meglio essa è orientata ad altri obiettivi, scoprendo i quali tutto, in realtà, diventa perfettamente coerente. Per alcuni, il percorso verso la liberazione interiore – cioè verso uno stato in cui le proprie scelte di vita non siano condizionate da antiche cancellate – dovrà passare per il cuore e per lo stomaco, prima che per il cervello. Comunque, si può fare. E la prima cosa è tornare a pensare che il nostro valore è incommensurabile, che migliorare ci è possibile ogni giorno, e che sì, siamo persone degne e meritiamo di essere felici, a prescindere dalle esigenze della fede.
Quando faremo nostre queste realistiche verità, sbloccheremo energie che non sapevamo neanche di avere, faremo cose per noi stessi che prima ci sembravano magia, e a nostra volta saremo vento di ispirazione nella vita di altri.
Innumerevoli persone hanno realizzato sé stesse contro ogni probabilità, hanno conquistato traguardi al di là dei sogni, e arricchito l’esistenza dei loro compagni di viaggio più di quanto le avversità l’abbiano ferita. Prendiamo atto dunque che si può fare, ricominciamo a credere in noi stessi, e il nostro personale, splendido, irripetibile viaggio su questa terra sarà finalmente cominciato davvero.

È il Bene il nostro scopo ultimo, o Dio?

Due cose diverse, no? C’è invece l’eccentrica abitudine, fra tanti cattolici e più o meno sospettabili supporters, di contare moltissimo sull’effetto di un furbo uso dei significati. Ad esempio: si vorrebbe che cristiano sia sinonimo di buono, ma è così? E solo perché si chiama universale (cattolica significa proprio questo), una religione è davvero universale?
Non è così, non facciamoci confondere. Sono finte equivalenze.
Per alcuni è una vera mania tirare in ballo la presunta globalità del proprio credo, con l’ansia di voler contaminare ogni cosa buona con le loro etichette… vuoi per pura presunzione, o senza aver capito lo sbaglio, o anche perché sinceramente convinti che sia giusto, fatto sta che questo metodo dello scambio di significato, della forzata identificazione di concetti è usato di gusto: si prende un soggetto e si dice che è equivalente a un altro un po’ diverso ma più famoso o importante o utile, cercando di rubare un po’ della sua fama.
Ma non sempre se A=B allora B=A! Ad esempio il cavallo è un animale, ma se dico animale non penso per forza al cavallo. È come scambiare ‘rosa’ con ‘amore’, o ‘andare in moto’ con ‘libertà’: se un motociclista parlasse della moto come libertà a un gruppo di paracadutisti, quelli capirebbero? No, perché per loro la libertà è un lancio da 3000 metri. Libertà è il concetto grande, ognuno la vive come vuole.
Se questa forzata equivalenza di due concetti in realtà diversi può avere un senso all’interno di un certo gruppo, magari non ne ha per tutti gli altri. Anzi, agli occhi di quest’ultimi, se l’avessero da sopportare, diventerebbe piuttosto una vanitosa e villana esagerazione.
Ecco altri esempi: Dio è il nome di UN dio fra tanti dèi (presunti, s’intende), perché non dargli un nome suo? Un’idea veramente universale non può appartenere solo a una particolare religione, perché pretenderlo? La Giornata Mondiale della Gioventù è in realtà della sola gioventù-cattolica, perché non usare un nome specifico, o organizzarla sul serio con tutti gli altri?
Le radici cristiane d’Europa sono solo parte del suo patrimonio (e non sempre la migliore), perché non dirlo? Se un cristiano è europeo, mica l’europeo è di sicuro un cristiano! Il crocifisso non è simbolo dei soli diritti umani (ammesso che li possa rappresentare) ma di un’intera religione, e perciò non va messo nei luoghi pubblici, visto che ci sono milioni di non cristiani, pur attentissimi a quei diritti, che non si possono ritrovare in quel simbolo; concetti come vizio e grazia, tentazione e sacrificio, perfezione e colpa non sono un prestito dal cristianesimo ma è questo che li ha fatti propri; il fatto che Gesù abbia detto cose positive non ne fa l’unico grande Maestro della storia; essere buoni non è per forza essere credenti, essere credenti non è per forza essere cristiani, essere cristiani non è per forza essere cattolici.
Visto quante insolite ‘coincidenze’? Le avevi già notate? Sono forzature retoriche usate come trappole emotive: facci caso, e nota quanto spesso vorrebbero suscitare l’idea che il cristianesimo sia ovunque, che sia di tutti, che sia sempre buono. E che esserne fuori sia drammatico.
È una trappola emotiva quando dà la sensazione interiore che abbiamo torto marcio per quanta ragione possiamo avere (eh, mica è Dio che sbaglia!) e a prescindere dai nostri valori e dalle nostre azioni.
Che illusione, che inganno, che prigione! Trappolona non m’incanti, ho smesso con ’ste pippe mentali!

L’assurda e boriosa idea che ‘senza Dio è il male’ è suggerita in particolare da due altre finte equivalenze clamorose. La prima: Dio=Amore (e fin qui, uno il suo dio se lo fa come gli pare) che automagicamente diventa Amore=Dio! Un errore da penna rossa, perché i due termini non sono affatto uguali! Bene e Amore sono il vero grande riferimento, di cui ‘Dio’ è piuttosto un’immagine, un sottoinsieme, una declinazione, una possibile interpretazione. Con un credente possiamo anche essere d’accordo sull’importanza dell’Amore, però a vedere intercambiabili le due idee sembrerebbe che per amare serva Dio, il che è falso, che quando si ama in realtà si crede anche in Dio o si è mossi da carità cristiana, di nuovo falso, e che infine siccome l’Amore come concetto, ideale e sentimento esiste, allora di certo esiste anche il Dio che lo rappresenta… falso anche questo.
Un modo semplice per uscirne è chiedersi «Perché uguali?».
Se l’Amore è un Dio, va provato. E poi Dio, per il cristianesimo, è anche molto altro (es. creatore, giudice, padre, soprannaturale, trinità, ecc.), tant’è che Amore non basta così com’è alla salvezza: è necessario proprio credere in Dio.

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Amore non è sinonimo, non ha bisogno di dèi, la sua stessa essenza è già meravigliosa, e basta a sé stessa. Noi tutti, come umani, possiamo bagnarci ai suoi zampilli, farlo crescere dentro di noi e riversarlo fuori, viverlo, e diffonderlo a tutta potenza… senza dargli altri nomi, senza l’inutile carico aggiuntivo della fede.
Che ne pensi?

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Stranuccio, eh?, quest’uso delle parole…
La stessa cosa vale per un’altra idea, la verità. C’è una seconda grande finta equivalenza, infatti: Gesù=Verità=Gesù. Però, di nuovo, quando si parla di verità non si parla sempre di Gesù! La verità è una cosa, un uomo un’altra, una religione un’altra ancora. Al proposito, Gesù disse: «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Che è straordinariamente vero. Però anche: «io sono la verità» (v. Gv 14,6. Cfr. Gv 8,31-36). Che è incredibilmente falso. Nell'identificare verità e libertà con il suo credo, commette un errore logico e piazza inconsapevolmente (lui) una trappola emotiva: chi cerca verità e libertà deve credere in me, ma essendo il mio credo in realtà infondato e moralmente discutibile, proprio credendo a me non li avrà. Così, sarete nel giusto quando sarete in errore, e liberi quando rinchiusi. Credere senza giudicare comporta interiorizzare e vivere questi grandi valori in senso inverso. È la cristianità ancora disposta ad accettarlo?
Amore e verità, se li rendiamo uguali a ‘Dio’ e ‘Gesù’, cambiano faccia: è allora che si comincia a dare Dio invece che dare amore, e a difendere Gesù più che difendere la verità.
Se il fedele vuole vedere unite queste idee è libero di farlo, l’importante è che per diffondere Amore e Verità non si pretenda di diffondere una religione, perché non è lo stesso. Sì a inseguire e vivere Amore e Verità, ma attenzione a non comprare pure 7 chili di dottrina, 4 litri di dogmi e una confezione maxi-formato di soprannaturale non richiesta: sembra un’offerta speciale, ma costa molto.

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Dove andar cercando l’amore, se non nel cuore delle persone? Dove cercare la poesia e la passione, se non nella vita? Dove trovare ispirazione, se non nella grandezza di chi ci ha preceduto? Dove trovare la verità, se non nel reale?

Quando vedi una persona che fa il bene, che si comporta in modo moralmente giusto, quella non è religione: è etica. C’è bisogno di fede in Dio per fare il bene come c’è bisogno di un violino per pescare. L’etica umana non richiede metafisica, e non giustifica alcuna teologia.
Sulla strada verso il bene, la giustizia e la verità, arrivati all’altezza di un ‘Dio’, facciamo un bel salto, e via spediti verso la vera mèta! Più giusto, no?
Basta con la propaganda di questa idea che la religione sia l’unico modo di essere etici, liberi, compiuti. È falso. Credere che abbiamo bisogno degli dèi per arrivare là, presuppone una logorante idea di noi stessi. Compensare con gli dèi le imperfezioni della vita è facile, ma la spinta che ne nasce viene da un’idea falsa di sé, e avvilente e ingiusta, direi proprio offensiva. Non meritiamo questo, ma al contrario il riconoscimento (finalmente) delle nostre grandi qualità, delle nostre enormi potenzialità, delle capacità effettive che abbiamo in quanto Persone.

Se già non credi più agli dèi, sai bene che le scelte che fai provengono da te e tua ne è la responsabilità. Se ancora usi la fede, invece, prova per un po’ a immaginare che nessun dio ti segue. Dico sul serio: per un paio di giorni, fai finta di non credere. Vedrai che non solo sceglierai ancora lo stesso… sceglierai anche bene! Quando avrai l’occasione di fare del bene, interroga il tuo cuore, anziché Dio, e ascolta la risposta. Quando ascolterai discorsi di fede, poi, riflettici come se fossi ateo/a, e vedi come ti suona ciò che eventualmente scoprirai rispetto a quello che credi di solito. È una prova, vedi un po’.

«Io, per sapere come comportarmi, mi chiedo: ‘Cosa farebbe Gesù?’». Sì? E da domani chiediti ‘Cosa farebbe Superman?’. Non scherzo mica: scegli il supereroe o l’eroe che conosci meglio e ammiri, e chiediti cosa farebbe lui o lei. Funziona lo stesso, vedrai, e con in più il vantaggio che non serve convincersi che chi ti ispira è vivo. Puoi anche prendere ad esempio tuo nonno, una professoressa in gamba, insomma una persona che stimi molto: nemmeno loro si trovano nella tua situazione, ma puoi ben provare a immaginare cosa farebbero. Non c’è mica solo la bibbia: prendi altri miti (ve ne sono alcuni altrettanto appassionanti), le grandi avventure narrate nei libri e nei film, e anzi l’intera nostra storia di esseri umani: è pieno di eroi indomiti e feroci nemici, di traditori e maestri, di passione, genio e poesia, grandi insegnamenti, azioni eccezionali e sogni realizzati, sacrifici d’amore e scelte radicali… Guarda che non è un modo di dire: hai idea di quanti – pensa a medici e infermieri, vigili del fuoco, soldati, madri e padri piuttosto che volontari o leader di popolo, e perfetti sconosciuti – si sono trovati a compiere altissimi atti di coraggio per amore, amicizia, altruismo, giustizia?
Esempi di persone che non soltanto hanno agito per nessun altro fine, ma non vogliono nemmeno essere chiamati eroi, quasi come se «un altro, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso». Vite eccezionali, attimi sublimi… quanta umanità. Non scordiamolo!
Possiamo imparare da ogni esperienza di vita.
Nel farlo, ricorda: sei una persona, non un pappagallo. Agisci in ragione delle tue idee e dei tuoi scopi, non per quelli di altri… se non sono anche tuoi.

Dopotutto, che Gesù faccia sempre la cosa giusta possiamo solo immaginarlo. Davvero sarebbe perfetto in tutto, oggi, nella vita di tutti i giorni? I personaggi-mito, i superfighi che ai flash dei fotografi li vedi sempre sicuri, stirati e sorridenti, nel quotidiano non esistono: al di fuori di quegli scatti leccati, di quei minuti sotto i riflettori o delle belle frasi sulle riviste, una volta struccati e alla luce del sole sono persone molto diverse, meno sicure, meno superdotate, più normali, più umane, persone che in fondo non conosciamo davvero. Possiamo sentire intimamente perfetta qualsiasi cosa. Ma senza questa convinzione, questa speranza, questa fede che ci mettiamo noi, questo crederlo vero, il ritornarci e ricamarci sopra, il ripetere a memoria, il parlarne di continuo, il pregare e l'invocare, il pensarci e ripensarci fin da piccoli, l’adagiarvi cuore e anima, l'intrecciarlo continuamente alla realtà vissuta e l'anteporlo ad essa… sarebbe ancora così?

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Se davvero Superman o Gesù esistessero perfetti come li vorremmo, sarebbe forte; ma sai allora cosa sarebbe ancora meglio, che la fame nel mondo sparisse, e che io fossi miliardario! Aaah… te l’immagini?

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Ma allora la religione è in sé cattiva? Per me no, anzi a volte sulle questioni etiche siamo anche molto vicini, il che è fantastico! Tutte le religioni, interpretate benignamente, hanno saputo dare a loro modo gioia, speranza e ispirazione a tanti. Tuttavia, interpretate diversamente (ma in maniera altrettanto legittima e a suo dire ispirata) hanno fatto disastri. È un rischio che corrono per natura, dato che è facile vantare origini divine, che nei libri sacri c’è tutto e il contrario, che nessun dio si manifesta eppure a tutte loro basta.

Una religione è cattiva se si impone, quando insegna che l’etica consiste nell’abbracciare la dottrina anziché nel fare bene senza fare male, e ancora di più quando questa dottrina… non è etica.
Il punto è che se c’è o non c’è Dio, ma manca il rispetto reciproco, in quel caso ci destiniamo a rapporti tempestosi. La nostra storia ci insegna che quando si vuole sottomettere una persona o un gruppo a una ideologia che esse non hanno scelto e non le rispecchia – sia fatto in nome di dio o meno – quelle persone vivranno facilmente da vinti o ribelli o nuovi aguzzini – o da beati in trappola – portatori insani di problemi sull’orlo dell’infelicità.
La religione con le sue decorazioni dogmatiche e le sue scale artificiali può arrivare a questo, ed è in tal senso che qui la si critica così fortemente. Ed è solo un esempio pratico: l’idea è quella di imparare a difendersi da chiunque – individuo o moltitudine – ci voglia presi in un rapporto di potere.

Bene, si può dire allora forse che l’ateismo è migliore dal punto di vista morale? E chi vince fra Valentino Rossi e l’Inter? Non li si può paragonare. L’ateismo è solo assenza di fede negli dèi, non ancora un sistema etico né una filosofia di vita (così come non lo è la scienza – che ha bisogno della morale per non varcare certi limiti – né la laicità – che in sé consiste nel principio di separazione e indipendenza fra Stato e Chiese, secondo cui lo Stato non parteggia né legifera in base ad alcuna, a beneficio di tutte le scelte di vita quali che siano). Evidente che un confronto diretto con una religione, che invece lo è, non ha alcun senso, e chi già sente odore di zolfo dovrà farsene una ragione (ricordi lo spaventapasseri?).
Il/la non credente poi ovviamente ha dei valori, degli ideali, un suo modo di vedere le cose, un’opinione sui grandi temi della vita, a seconda dei quali farà le sue scelte e si comporterà con gli altri e con sé stesso/a, in amore e in amicizia, in famiglia e in società… Inevitabile, in effetti. Ecco, è qui che può scattare il vero paragone, con un’altra visione completa. Meglio se adottata consapevolmente, se ben motivata, se positiva. Come quella umanista! Allora sì che, come stiamo per vedere, ne escono scintille.

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Prima abbiamo detto che non c’è traccia di Dio, ora possiamo dire che non ce n’è nemmeno bisogno.
Se un giorno scopriremo che un dio esiste? Vedremo. E nel frattempo? Cosa dobbiamo fare nella vita esattamente, se non abbiamo certezze su dio, non vogliamo fare finta di averne, e però vogliamo comportarci bene e vivere una vita felice? Domanda regolare. Vuoi da me un consiglio, o una pozione magica?
Perché io «Fai così e cosà che vai tranquillo/a» e «Credi a questo e quello che è sicuro» non te lo dico (scommetto che lo immaginavi). Però condividerò con te volentieri le idee che sento migliori, e che per me funzionano.
Raduniamo intanto quelle dette fin qui: l’alfa privativo davanti agli dèi non è solo il cardine di una opinione finita, ma uno dei varchi per una intera filosofia del vivere. Questa filosofia di vita priva di dogmi e fede resta fuori dalle religioni ed è una vera e propria alternativa ad esse: ha al centro finalmente l’Uomo per sé stesso, a fondamento i grandi valori, strumenti dolci come rispetto empatia creatività dialogo e razionalità, e come scopo il massimo bene per tutti, persone animali cose ambiente.
Perciò chiama alla speranza, ma stavolta a una speranza realistica e fondata. Stimola conoscenza e indipendenza, libera emotivamente, sprona a realizzare sé stessi… Infonde gioia di vivere e voglia di fare, accende maturità e coraggio, invita all’amicizia e all’amore profondo… Non è soltanto essere atei e agnostici, c’è molto di più: è vivere insieme una vita armoniosa e ricca, dinamica e appagante, completa! Senza Dio, e rispettabile. Diamole un nome: si chiama Umanesimo, Umanesimo ateo.

Umanesimo perché si fonda sull’Uomo che, come essere senziente e intelligente, è responsabile del suo mondo. Ateo perché secolare e naturalistico: l’uomo si realizza sulla Terra, per ragione e compassione. Ragione e compassione fanno parte della sua natura, così come il tendere alla sopravvivenza e il fare gruppo. Nelle condizioni ideali, cioè quando è libero e non costretto, e i suoi bisogni basilari (incluso l’affetto e il riconoscimento) sono al sicuro, l’uomo si comporta in maniera sociale e molto responsabile. È allora che la sopravvivenza cede il passo al benessere, e il gruppo può allargarsi sempre di più.
Ragione e compassione, allora! L’ateo/a umanista crede in pace, libertà e rispetto fra tutti. Entro questi limiti, riconosce ad ogni persona incluso sé stesso il diritto, il gusto e lo spazio di realizzarsi a suo modo. A questo scopo si impegna a non fare del male ed evita di porre confini superflui alla vita, al contrario facilitandola con entusiasmo e altruismo. Eppure ha nessun dio, idolo o uomo da adorare, non crede a paradisi né a salvezze soprannaturali. Muore, e dunque conta come vive.

L’umanesimo ateo punta alla vita e alla qualità della vita, per noi e chi verrà. Enfatizza il presente e il futuro vissuti sulla Terra, alla luce dell'esperienza, e mira a conciliare la felicità del singolo con il bene della Società. Gli atei umanisti affrontano i problemi di ogni giorno contando su sé stessi, facendo tesoro delle proprie risorse interiori e del vicendevole aiuto. Usiamo la ragione per decifrare la realtà e comprendere il mondo, e condividendo valori e responsabilità ci proponiamo una convivenza non solo non violenta, ma dignitosa, inebriante, prospera, reciprocamente vantaggiosa nella diversità, e pienamente felice.
Siamo realisti circa le qualità delle persone e ottimisti sul futuro. Non abbiamo risposte a tutti i misteri dell’universo, ma accettiamo questo limite attuale mentre continuiamo a studiarlo, ammirati e curiosi… Amiamo la vita, e ne assaporiamo la poesia, la bellezza, le sorprese, il buffo, la profondità, le favolose altezze… Pensiamo che si possa fare del bene anche fuori da ogni religione, perché è un desiderio spontaneo delle persone quando riscoprono sé stesse. L’umanità che è in noi si manifesta sconfinando da ideologie e religioni, la vita si fa amare da chiunque.
Aspiriamo alla libertà e alla responsabilità, alla felicità insieme alla consapevolezza, all’uguaglianza nei diritti e nei doveri di base, e a stare bene insieme. A questo scopo, pensiamo che i princìpi umanisti possano dare molto. Vogliamo benessere – cioè salute, gioia e abbondanza – in coscienza, autenticità ed equilibrio. Mente e cuore in armonia. Solo con la ragione infatti fa troppo freddo, solo col cuore si vola fuori dalla realtà. Entrambi sono necessari (impossibile vivere senza emozioni, insensato vivere di sole emozioni) nella giusta misura, in reciproca intesa. Questo, è Umanesimo!
Disapproviamo oppressione e condizionamento in ogni forma, contrastandoli attraverso la cultura, l’informazione, il dialogo e l’azione per diritti umani, l’esempio. Cerchiamo verità e giustizia, e per questo non abbiamo dogmi, nemmeno sui nostri più fermi princìpi, che invece fondiamo sulla verifica dei fatti, sulla bontà dei risultati, sulla durevole condivisione. Nel farlo ci serviamo degli strumenti più efficaci: la scienza e l’etica sono fra questi, la fede no.
Molti fra noi, idealmente uniti in questa visione più alta del semplice sopravvivere e animati da vibrante filantropia, si danno da fare nell’ambito del volontariato, finanziano istituzioni benefiche (e molte sono quelle a sfondo non religioso), vivono le relazioni quotidiane con calore e disponibilità. Sosteniamo che questo amore per l’essere umano sia un ideale più importante dell’amore per un dio. Che adoperarsi per un mondo migliore sia un fine più alto del prepararsi a un paradiso. Che realizzare sé stessi è più saggio che realizzare il piano di altri su di noi. Che fare del bene agli altri è importante quanto farlo a noi stessi. Che il rispetto sia una guida migliore del dogma.

Stiamo parlando di una visione di vita che non è nata ieri. Ha una storia lunga 2500 anni (chi tiene alle tradizioni è accontentato) nei temi di filosofie occidentali e orientali. Passando per l’umanesimo classico del ’400 italiano – rispetto al quale sviluppa i suoi valori in modo più coerente e operativo, e perde l’esaltazione erudita della cultura antica – e naturalmente per l’Illuminismo, nel ’900 assume la sua forma moderna e compiuta. Ai giorni nostri è un movimento ben conosciuto, con personalità, peso e in espansione. Intellettuali, filosofi, scienziati, artisti, attivisti e gente comune – senza distinzioni etniche, culturali o sessuali – finalmente ne parlano a viva voce, come del loro modo di vivere e come di un passo avanti nell’arte della convivenza fra i popoli.
Esistono in tutto il mondo gruppi e associazioni di atei e agnostici umanisti, per ritrovarsi e operare insieme. E questo è stupendo. Non servono battesimi, investiture, benedizioni per diventare un/una umanista, lo si è e basta.
Le organizzazioni umaniste si distinguono per i nomi, i programmi e le finalità più diverse, perché Umanesimo non è che l’insieme dei princìpi che le ispirano, e sono questi che contano. Princìpi per la persona. È come… un ombrello filosofico per tutti noi. Un ombrello che potemmo anche chiamare Razionalismo etico, Naturalismo, Ateismo positivo, Brights, Esistenzialismo, Secolarismo… perché no. Umanesimo è la definizione più comune e già largamente diffusa in ogni parte del mondo, più spesso che mai proprio in senso non religioso. L’aggettivo ‘ateo’ non lascia dubbi. Oggi sotto questa ‘bandiera’ umanista si raccolgono milioni di persone non credenti, in gruppi ampi e dinamici, per scelta, o di fatto.
In Italia il termine è ancora usato poco, malgrado i non credenti crescano di numero ogni giorno e siano sempre più attivi nel sostenere proprio questi princìpi, e non altri. Si conosce a malapena il Movimento di Silo (un gruppo internazionale, non specificamente ateo, che si ispira al modello umanista) e qualche realtà minore, ma non ancora l’Umanesimo come tale: sentirai più spesso parlare ora di etica, ora di diritti, ora di laicità, ora di scienza e libero pensiero, di ateismo, libertà, salute, ambiente, equità, secolarizzazione… come se fossero frammenti separati e senza motivazione comune. La coscienza di questo schiude nuove prospettive. Quanto più efficace sarebbe citarli tutti con una sola parola! Umanesimo proprio racchiude e rappresenta tutte queste cose insieme, ne chiarisce l’origine naturale, offre un’ossatura e un contesto alle nostre ragioni, da un senso globale ai nostri sforzi. Rivela una coscienza comune. Indica un interlocutore.
Si può vivere e divulgare gli stessi princìpi anche senza un nome, certo, ma un nome è subito visibile, chiaro, consistente, capace di unire e di ispirare, se è questo che vogliamo. Un gruppo organizzato e coeso intorno a dei princìpi ha più peso di tanti singoli dello stesso parere.

Condividendo gli stessi valori presi singolarmente, è in realtà una filosofia di vita che sosteniamo già in tanti, ma la percezione di essa come insieme è un messaggio chiaro e potente a mio parere essenziale: penso ai tanti atei ‘dispersi’ e soli, che infine possono sentirsi parte di un gruppo sano e attivo; vedo credenti insoddisfatti in cerca di bene e di vero crogiolarsi al pensiero che fuor di religione una vita piena e nobile è una realtà; immagino i risultati del rinnovamento sociale e culturale che un simile approccio prospetta in concreto, e l’effetto di questa immagine positiva sulle istituzioni… Sarà fantastico quando anche in Italia queste forze umaniste si uniranno, moltiplicando dell’ateismo la spinta costruttiva.

«Quindi, se anch’io cominciassi a pensare che Dio non esiste, non resterei solo/a!». Esatto! La tua vita sarebbe piena lo stesso, di ideali, valori, progetti e… amici. Gli stessi di sempre, che non ti abbandonerebbero, e perché no di nuovi.

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Prendiamone atto: su tutti questi temi siamo oltre il dilemma dio o non dio. Se è vero che sosteniamo e difendiamo tali idee, che siamo uniti e concordi su questi princìpi, il nostro ateismo è un tassello di una concezione del mondo ben più ricca e profonda. Chiamarla per nome è non solo straordinariamente conveniente a livello di comunicazione, ma anche proprio più preciso, coerente, corretto. Prima lo capiamo, meglio sarà.
Immagina per cominciare di mettere la parola fine al volgare ‘ateismo=vuoto-cattiveria-egoismo-caos’, con cui spesso e per errore si giudica il nostro intero modo di essere, al solo udire che ‘ci manca’ un dio. Un’accusa prevedibile, un preconcetto radicato, contro il quale hai voglia a spiegare: l’ateismo da solo si presta a diffidenza, perché non specifica nulla di come in realtà vediamo il mondo («Allora sei nichilista! Dunque non hai morale! Quindi pensi solo a te stesso/a! Perciò sei triste e solo/a! In tal caso tutto è permesso!»… Ricorda niente?). Umanesimo ateo fa un’impressione diversa, dà l’idea di una scelta, rimanda subito a contenuti… Che siano positivi? Parliamone. Ed ecco che siamo già oltre il pregiudizio storico. «Credi in Dio?», «No, sono ateo/a umanista». Cioè: non credo in un dio, ma ho lo stesso dei princìpi, cocco mio.
Non prestiamo il fianco al luogo comune, non lasciamo che il nostro sia considerato un ateismo qualsiasi, perché non lo è. Se l’Umanesimo ateo è la realtà cui apparteniamo, facciamo outing, come atei e umanisti! Usiamo la potenza di un nome che non è un passe-par-tout – come non lo è dirsi credenti – ma ci mette automaticamente sullo stesso piano in quanto persone CON una visione di vita, piuttosto che un gradino più in basso, SENZA . Lasciamoci vedere non solo come mancanti di qualcosa, la fede negli dèi, ma come dotati, di etica, ragione, passione e compassione. È vero!
Che ne pensi? Personalmente, la trovo una soddisfazione: io non sono solo ateo. E voglio che, quando mi si domanda se credo, sia chiaro ciò in cui credo, non soltanto ciò che ho scartato da tempo. L’anatroccolo ateo si trasformi in cigno…

Non vorrà dire rinunciare alla nostra propria unicità e diversità (cosa per molti atei giustamente essenziale, e che l’Umanesimo di fatto assicura), non si tratta affatto di omologarsi alla cieca (necessari al contrario sono coscienza, riflessione, indipendenza e libera scelta), né di farsi gregge (perché liberi di essere e agire, entro il limite non di una dottrina avulsa, ma dei propri princìpi) e adorare un pastore (assente), né di darsi specifiche direzioni politiche, né di cambiare: se sono stato abbastanza chiaro, vivere meglio ci impone una cosciente scelta di campo rispetto a dei valori, dei metodi e degli scopi di vita e convivenza, si tratta ora di unirsi intorno a quelli importanti che abbiamo in comune – pochi, funzionali e strettamente necessari – infine codificati in modo elegante dalla filosofia dell’Umanesimo ateo.

In Italia gli atei e gli agnostici sono ormai svegli. In larga parte non abbiamo più paura di dichiararci non credenti e molte iniziative locali e nazionali riscuotono consensi sempre più ampi. Quanti fra noi sono soddisfatti e questo gli basta? Sta bene. Io sono tra quelli che guardano oltre. Oggi più che mai è importante a mio avviso non solo difendere lo status e i diritti dei non credenti, non solo protestare qui e là per certe uscite di preti e politici e invocare – giustamente – laicità a difesa della libertà di scelta, ma opporci in modo programmatico alla loro invadenza nel cuore e nella mente delle persone, e proporre in cambio, in un senso non anti-religioso ma propriamente non religioso, un’altra visione della vita. Il nostro non è ateismo per caso, e proprio perché non lo è, perché in realtà abbiamo da offrire molto di più che l’abbandono di un dio, e se a maggior ragione vogliamo essere parte attiva di un positivo cambiamento sociale, non limitiamoci a difendere il diritto di ciascuno a non vedersi imporre per legge le Verità altrui, ma alziamoci e indichiamo una direzione. Non fermiamoci dopo aver criticato la Chiesa, la politica o i media per quello che ci fanno mancare, cominciamo a darlo. Prendiamo posizione, rispetto a quei valori irrinunciabili. Spieghiamoli, sollecitiamoli, ispiriamoli! Raccomandiamo, senza più imbarazzo, la filosofia di vita che riteniamo migliore, il perché e il percome di una vita senza dèi. Solo allora, le persone potranno veramente scegliere chi essere, e un modo diverso di essere.
Datemi dell'ottimista, io penso che l'ateismo sia il futuro. Ma sarebbe ancora un traguardo da poco, se non fosse accompagnato da un cambiamento specificamente culturale. Nei modi di fare, di pensare, di comportarci l'uno con l'altro. Nel modo in cui guardiamo noi stessi, nelle priorità, negli obiettivi di vita.
Fare o non fare una cosa non dipende dall'essere atei, ma dai princìpi che abbiamo cari. L'ateismo stesso ne è prodotto, ne è una conseguenza, perché ci viene dall'etica, dalla razionalità, dall’indipendenza interiore, dal senso del nostro valore e delle nostre potenzialità; princìpi che abbiamo già eletto a riferimento e sul cui presupposto disapproviamo fedi e religioni. Dopo aver giudicato ciò che non va ed essercene liberati, con lo stesso metro di giudizio saremo chiamati a riempire quel vuoto.

È giusto impegnarsi perché tutti siano liberi di esprimersi e di scegliere, vero è che alcune opinioni e alcune scelte sono peggiori di altre, o non avremmo così tanti problemi. Possiamo restare neutrali e lamentarcene, o lamentarci e prendere parte alla soluzione. Chiedo a chi ha fatto la sua scelta e condivide questa filosofia di vita, di riconoscersi in essa consapevolmente, apertamente e con orgoglio. Di guardarsi e stringersi la mano, di organizzarsi, e di contarsi. In Italia, siamo tanti. Diversi milioni di atei e agnostici, ormai quasi il 20% della popolazione. Fra essi, quanti siamo ad avere una visione umanista? Abbiamo i numeri per diventare una forza sociale di riferimento, benefica, fattiva, trascinante. L’opportunità di fare la differenza.

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Verso dove si orienteranno coloro che hanno capito i nostri argomenti? Dove potranno andare i delusi dalla Chiesa e dalla fede? In quali valori e ideali si ritroveranno i nuovi non credenti? Una società migliore? Sì, ma migliore come? E come avviare questo cambiamento a cui tutti astrattamente aspiriamo, se non cominciando a muoverci proprio noi con le idee un po’ più chiare?
Il ‘nuovo ateismo’? Un movimento fantastico, ma finché si lamenterà di una fede che si impone e plagia senza poi insegnare a viverne felicemente senza, resterà una leccornia per pochi, per gli altri soltanto un terremoto a cui non segue una ricostruzione sociale antisismica. È tempo di fare di meglio.
In questo libro ho sostenuto che la religione non è garanzia di nulla e che soffre di difetti intrinseci. Ho anche descritto una filosofia compiutamente naturale che ne è priva, perché desume i suoi princìpi non da un libro ma dall’esperienza e dalla psicologia umana, realisticamente. L’Umanesimo ha le carte in regola per essere la prima scelta, una delle alternative più valide e interessanti. Se siamo convinti che attraverso di essa le persone sarebbero più libere, felici e consapevoli, e la società migliore, non è ora di parlarne direttamente e offrirla a tutti?

Lasciami attaccare un bel pippone su quanto per me è essenziale (poi decidi tu se lo è davvero). Questo, se è vero che la nostra è una società in cui già molti (e molti giovani) sembrano aver perso la bussola dei valori, il senso del bene e del male, del rischio per sé e per gli altri, e quello della responsabilità personale, nel pieno fallimento delle istituzioni politiche e religiose nei loro compiti sociali. Altri, all’opposto, si sono fatti più austeri e inflessibili nei loro princìpi, moralisti e sprezzanti con quelli altrui, fino alla censura e alla condanna violenta. Il gusto della vita, il diritto alla salute e al benessere, alla libertà e alla conoscenza, l’aspirazione a realizzarsi, l’idea stessa di miglioramento, sono forze che in molti stanno tragicamente spegnendosi, ammutolite da un mondo incomprensibile fatto per i ricchi e i potenti, da gente senza scrupoli che ci addormenta con sveglie e specchietti high-tech, l’avere e l’apparire, e si prende in cambio la pienezza della nostra vita.
Rabbia e frustrazione dilagano e scoppiano in forme violente, sugli altri e su noi stessi; sfogo e rivalsa con una loro logica sformata, insieme allo sballo e alla fuga dalla realtà. Esili rivoluzioni di chi si sente senza futuro, in instabile girotondo con la remissiva, perforante accettazione di tutto questo come normale.
A livello internazionale, armonia e pace sulla Terra sembrano una chimera. Siamo al confronto bilioso fra culture troppo piene di sé, a guerre su cui si specula, alla manipolazione dell’informazione, alla narcotizzazione delle coscienze, al profitto indiscriminato sulle risorse ambientali, mentre i grandi problemi come fame, povertà, ignoranza e sfruttamento vengono soltanto contenuti a livelli inaccettabili. Etica, razionalità e compassione sono per molti qualcosa da tirare fuori solo in occasioni speciali, e parole di cui gonfiarsi il petto alla bisogna. In una situazione simile, anche le tante persone che resistono – letteralmente – fanno fatica ad ottenere risultati, a vedersi, e anche solo a far fronte ogni giorno al senso di impotenza e disincanto.
Poche righe, un’analisi incompiuta, e certamente manca tutta una parte bella che è altrettanto vera ed è bene ricordare, ma sono o non sono queste linee di tendenza gravi, diffuse, e viepiù pericolose? Riconosciamone i segni: ci servono nuovi strumenti e strategie più efficaci, ora!
Siamo nel mezzo di un momento epocale, sull’orlo dell’autodistruzione eppure a un passo dal rinnovamento. Pensaci: mai come ora idee come diritti umani ed ecologia sono state così sentite, cresce il tempo dedicato al volontariato e nascono ogni giorno inaspettate imprese solidali, la scienza e la tecnologia producono incredibili opportunità, la Rete consente di scambiare notizie preziose e coordinare nuove alleanze, tanta gente è pronta a cambiare e lo dimostra scendendo in piazza proprio perché esasperata e consapevole che aspettare le istituzioni è inutile. Il desiderio, il bisogno di una trasformazione benefica della società è più che mai vivo, fra chi finora ha subìto. La decadenza della nostra civiltà si scontra con un furore di rinascita che è globale e senza pari. Ciò vuol dire che, malgrado le forze contrarie siano formidabili – tanto più quando chi le guida ha in mano potere e denaro, formazione e informazione – un fantastico salto evolutivo è veramente alla nostra portata. Occorre raccogliere tutta questa energia latente, e riversarla in ciò per cui nasce e a cui aspira… organizzare un flusso ininterrotto di piccole e grandi iniziative sostenibili, invitando le persone a contribuirvi in modo positivo, razionale ed etico. Di più: è essenziale sollevare una critica generale alle relazioni di potere – ancora strato profondo della nostra civiltà –, portare coscienza e conoscenza dei loro meccanismi e delle loro conseguenze su tutti noi, e muovere gli animi verso nuovi orizzonti, prima che l’abitudine a sopportare ci consumi o la rabbia di un popolo esploda istintiva e senza freni. Come ho detto, non è questione di sottomettersi a una ideologia in quanto tale, ma di intendersi su pochi princìpi fondamentali. E se è vero che l’uomo ne possiede comunque qualcuno, è ora di scoprire e abbracciare quelli che realmente ci aiutano, ci appagano e ci rispecchiano – perché non sono tutti uguali e l’uno non vale l’altro.
Che forma vogliamo dare alla nostra vita? Stiamo rifiutando l’anima dispotica e parassita dell’attuale classe politica, disdegniamo il sistema morale e la necessità di trascendente delle religioni. Perché, in nome di cosa? E ora, dunque?
È fuori dubbio che gli uomini possano fare male. Ma vi siamo forse condannati?
Chi lo crede, si condanna.
Come atei umanisti è facile essere scontenti di come oggi va il mondo, e sentire una responsabilità nei suoi confronti. Trovo per molti versi drammatica la situazione mondiale e sono addolorato, preoccupato, spaventato. Provo rabbia e piango, guardando questa spirale che lentamente ci esaurisce. Sono anche cosciente però che possiamo risalire dal fondo. Invertire il corso. Smettere di incasinarci la vita e poi ricostruire, fino a risplendere! Non solo perché ci è naturalmente possibile, ma perché oggi sappiamo come fare. La storia dell’umanità non è stata solo balorda, e cambierà in meglio se ci lasciamo il peggio alle spalle. Basta con i soliti vecchi errori che ci hanno portato sin qui, e ci porterebbero chissà dove. Oggi sappiamo perché sono accaduti, cosa va fatto in modo nuovo e come.
Non è un problema solo di religione. È un problema di mentalità. La religione è solo uno degli ambiti più manifesti in cui essa attecchisce, ma il dramma è più vasto e comune a tutti i livelli, politico, sociale, economico, mediatico, lavorativo, familiare, esistenziale… Abbiamo bisogno di rivoltare il nostro modo di percepire e usare il potere: da un’idea di POTERE SU – una forza impressa contro e a spese dell’altro – a quella di POTERE CON – accrescere e condividere la nostra forza, senza paura di rimetterci. Al contrario di quest’ultima, la mentalità ‘potere su’ è sempre in cerca di vassalli e vittime, è la sua natura. Coscienza di questo e un cambio di modelli educativi e relazionali vanno attivati e sviluppati, perché non si senta più che l’anima di uno di noi sia stata torturata dalla cecità di un altro, e a tal punto da divenire succube della vita, bombarolo sovversivo, ignoto idealista, artista pazzo, o nuovo cieco carnefice.
Siamo noi persone che dobbiamo cambiare: la politica non esiste in sé, le nazioni, il sistema, i grandi interessi, le corporation, le banche, l’economia, i media e tutto il resto sono fatti di persone. Persone. Dobbiamo pensare a loro.

Tra la rigidità di una fede e il pantano dell’incertezza, tra l’indottrinamento e l’ignoranza, tra la dura imposizione e l’abbandono a sé stessi, tra il totalitarismo e il nichilismo, tra la diserzione, la guerra e la complicità, c’è una via dolce, che possiamo chiamare umanista. L’Umanesimo rappresenta così una svolta, una direzione diversa, l’occasione di una metamorfosi strutturale. È un modo per crescere, maturare, responsabilizzarsi, prendere in mano la propria vita e realizzare noi stessi senza scordare l’altro. Insieme!
Diventiamone consapevoli: possiamo essere più che ottimisti sul nostro futuro, ma dobbiamo muoverci. È tempo di dire cose giuste e in modo nuovo. Ed esserne d’esempio. Parlare di Umanesimo è diventato essenziale.
Risvegliamo in noi questi princìpi, innanzitutto, adottiamoli nel quotidiano. Se vogliamo insegnarli, se crediamo siano un bene, viviamoli noi per primi, mettiamoci in gioco davvero. Il cambiamento più grande parte dal grande cambiamento dentro di noi. Poi, diamo una mano a crescere e diffondere una mentalità orientata alla convivenza etica e non all’autodistruzione: al passo dell’uma-nesimo possiamo finalmente riconoscerci, unirci, realizzare progetti eccezionali, grandi e piccoli, per il bene di tutti, grandi e piccoli… Da tutti noi che amiamo il mondo e ameremmo vederlo felice, c’è bisogno oggi di sentirne parlare, di vederlo vivere, di trovare quei valori umani all’opera, di coinvolgere le persone in qualcosa di bello e di concreto, affinché anche loro vi ritrovino l’essenza di ciò che pensano e sentono nel profondo, e così possano tornare in rotta spiegando le vele. Agire in questo senso oggi è necessario – necessario! – affinché da noi, dalle persone, dal basso, scoppi una rivoluzione pacifica e determinata al miglioramento della vita, che arrivi finalmente alle orecchie della politica – e della fede.
La crisi morale che stiamo passando deve finire, o sarà peggio. Dobbiamo prenderla in carico e risolverla. È il momento perciò di riconsiderare la proposta umanista e farne tesoro. Che ne pensi? Davvero, che ne pensi?

Ok, ora potrei anche sentirmi in imbarazzo. Sembrano le parole semplici di un sognatore, e non vorrei aver dato l’impressione di parlare come dal pulpito, sventolando la ricetta della medicina per i mali del mondo, cose che intendo evitare accuratamente. Sia chiaro allora che io non c’entro, contano le idee che scrivo. Sia chiaro che non intendo far vestire una divisa con scritto ‘umanista’, aspiro a un accordo per libera scelta di ciascuno sull’insieme minimo di valori e strumenti per vivere e convivere sempre meglio. Nessuna verità assoluta, ma un’analisi della società e dell’uomo, vizi virtù e potenzialità, che può essere discussa e ripensata. Nessuna gerarchia, ma parità lungo valori partecipati. Nessuna magia, ma duro lavoro di riorganizzazione e paziente sviluppo di abilità più efficaci, per quanto inconsuete. Nessuna utopia da regno felice delle favole, ma uno scopo pratico e condiviso che l’esperienza e la storia ci dicono possibile. Nessun obbligo legale o morale, se non quello verso le nostre rispettive coscienze. Nessun premio, nessuna punizione, se non nelle conseguenze dirette e verificabili delle nostre azioni.
Vedo il dolore e la gioia nel mondo e mi chiedo: possiamo ridurre il primo e amplificare la seconda? E come? Certe cose funzionano, altre meno, altre per niente. Vogliamo usarle più spesso? Vogliamo proporle anche agli altri? Vogliamo fare qualcosa per stare tutti meglio o ci va bene così? Siamo soddisfatti di come vanno le cose? Di che ci lamentiamo? E come possiamo migliorare? Potremmo restare inerti e lasciar fare ai soliti le solite, oppure cosa?
No, non sono domande da sognatori, e non è roba da dottorini. C’è da decidere insieme se fare e cosa fare. Questo, nonostante tutto, è in nostro potere.

«Bene! Ma oh, ne faremo mica un’altra forma di imposizione, di indottrinamento?». Chiaro che no! Per scelta.
Quando si vuole comunicare un’dea importante, in particolare se riguarda temi come questi, il rischio che si usino metodi scorretti, che ci siano scopi non detti, parti inutili, recite individuali o velleità di assoluti è sempre molto alto. Lo scetticismo è legittimo, e le nostre antennine fanno bene a vibrare. La risposta è che l’Umanesimo ateo rigetta l’idea stessa di indottrinamento e di dogma, e realisticamente dovremo essere sempre vigili per non cadere, come persone, in questo errore. A noi di starne lontani, di operare alla luce del sole, di fare autocritica e lasciare aperte le mani… Fermo questo, via libera al messaggio! Come una cosa preziosa che si vuole condividere, come quel possibile contributo in vista di un cambiamento di cui si sente fortemente il bisogno, se il bisogno c’è.
Ora: parlarne a tutti i livelli senza fini di lucro o di dominio, sensibilizzare ma non invadere, insegnare i fondamenti di logica e comunicazione, evitandone i trucchi a nostra volta… favorire la critica autonoma e il dialogo, appassionati, sì, ma entro una lettura onesta e attenta della realtà… difendere la libertà di tutti da ogni volontà di controllo, omologazione e sfruttamento; allargare gli orizzonti delle possibilità umane; cercare insieme vie nuove, nonviolente ed efficaci, a vecchi problemi… offrire un approccio positivo alla vita, che favorisca – e implichi! – il pieno benessere e la realizzazione di ognuno secondo le proprie aspirazioni – limitata soltanto dal senso di responsabilità personale verso sé e il mondo… e partecipare alla trasformazione dei modelli di convivenza, basati stavolta su mediazione e rispetto e non su autorità e forza… tutto questo non è – e non va confuso col – peggior proselitismo e la fredda faziosa propaganda di stampo religioso e politico. Come si vede ne è l’opposto, tanto per contenuti che per i modi, e anzi proprio per principio. Se così non fosse, svanirebbe l’essenza stessa di ciò che abbiamo chiamato Umanesimo.

~ ∞ ~

«Beh, anche il Papa parla di Umanesimo…». Oh sì, certo che lo fa. Ma è anche ovvio che parla di un’altra cosa. Cioè usa la stessa parola in senso non solo diverso, ma proprio inverso. Tanto per cambiare.
Infatti crede che l’uomo si realizzi soltanto in Dio, perciò il suo umanesimo non è altro – e non può essere altro – che farne la volontà. Un umanesimo del tutto particolare! Ma fermare l'etica e la meraviglia all’esperienza di fede, porre un Dio a fondamento e fine dei valori e dei progressi umani, vuol dire non solo disconoscere di questi la purezza in quanto faticosa conquista di un’umanità più matura e capace di bene – qualità mai accreditate ad essa, solo alla grazia divina – ma anche circondarli di specifici paletti, riducendone il senso e la forza a mero strumento dell'interpretazione cattolica di essi. L’Umanesimo del Papa è perciò una definizione di comodo, un modo per affermare la propria dottrina, la quale però – secondo il Papa stesso – si realizza nell’obbedienza a Dio, nel sacrificio di sé, nella subordinazione della ragione alla fede, nel catechismo precoce. Che astuzia! Sfruttare certe idee oggi apprezzate… per dire esattamente l’opposto: scompare l’uomo sano e libero, padrone e responsabile di sé, creatore di felicità, ed ecco una creatura dipendente, sporca di natura, ordinata e subordinata alla gloria di un dio – unico vero protagonista – in attesa di giudizio. Salute, gioia, miglioramento non sono gli scopi principali di quella caricatura di umanesimo, ciò che conta non è essere felici ma essere perdonati. Non è essere grandi, ma salvati. Non liberi, ma redenti. Non è il mondo, ma un’astratta metafisica.
Umanesimo, dunque? O la solita piramide di potere, teocrazia strisciante animata da profonda sfiducia nell’essere umano? Non si può proporre questo e chiamarlo umanesimo, e non si può parlare di umanesimo avendone tradito ogni singolo principio. Questa inversione di senso è già, in sé, un pessimo trucco di comunicazione.
Per la dottrina cristiana il nostro valore non dipende da noi, non nasce con noi e non ci appartiene in quanto umani. La nostra è una dignità acquisita, ricevuta in dono, soltanto derivata, da Dio. È a lui che va ogni onore, e noi siamo qui appunto per adorarlo. L’Umanesimo è veramente tutt’altro, non sembra anche a te? Rimandando continuamente a Dio, quest’uomo dimostra di non aver compreso il valore intrinseco della nostra vita. Per questo qualsiasi modo di vivere che non gli sia conforme gli risulta arbitrio e nichilismo, ogni aspirazione alla felicità terrena un destino di egoismo e violenza. Poiché non ha fiducia nell’uomo, non riesce a concepire che si auto-governi per salvaguardare il suo mondo. Non può capire come si possa, senza timor di Dio – senza il Suo giudizio e il Suo bastone – desiderare e liberamente scegliere di non farsi del male. Non arriva ad accettare l’evoluzione sociale e psicologica del senso del bene comune, né a vedere quella parte buona di noi, la parte civile e responsabile. E se questa non esiste, non può essere usata, né sviluppata, né onorata, né offerta per sé stessa.
Infine dunque, non può immaginarsi libero e felice, che nella sottomissione a una volontà migliore della sua. Come se, tristissimamente, se tutto è ci permesso, non saprebbe regolarsi da solo.

Va detto che esistono forme di reale Umanesimo in molte religioni, dal Cristianesimo all’Ebraismo, dall’Islam all’Induismo e altre ancora, mentre alcune sono per loro natura ‘umaniste’, ad esempio Buddhismo (non proprio una religione), Confucianesimo, Wicca. Correnti spesso minori – non mainstream – in cui buone opere sono visibilmente ispirate dall’altruismo, dalla ragione e dalla responsabilità personale. I credenti umanisti hanno fede e appartengono a una religione, ma ritengono che non si può stare ad aspettare che gli dèi agiscano per noi. Se quindi è vero che l’Umanesimo oggi è in massima parte secolare, a buon ragione la definizione in questi casi è adatta e ben guadagnata. Tuttavia, come abbiamo visto, vi sono aspetti essenziali della dottrina religiosa che collidono impetuosamente con valori e metodi dell’Umanesimo nel suo complesso, e allora diventa necessario spostarli da parte. Quando vissuto fino in fondo, penso che l’Umanesimo non possa che essere ateo e agnostico.
«Può dunque un credente essere umanista?» Certamente. A patto che sia disposto ad agire in nome dell’uomo prima che di Dio, a mettere ragione ed empatia e non comandamenti avanti a tutto. E anche se credesse che il bene dell’uomo è Dio o da Dio, la scelta di campo gli si pone, e farà la differenza. A queste condizioni, se c’è da organizzare qualcosa di bello o affrontare un problema comune, star lì a controllare affiliazioni e battesimi non è la cosa più importante: passiamo all’azione, tutti insieme!

«L’Umanesimo è una religione? L’ateismo è una fede?» No. Ateo/a è il semplice modo per definire chi non ha fede, chi non crede, così come c’è chi ha la passione per i giochi di ruolo o l’hobby di intagliare il legno, e chi no. Non ha senso dire che questi hanno la passione di non giocare ai gdr, o l’hobby di non intagliare.
All’Umanesimo, che pure è un movimento organizzato, mancano le basi tipiche di una religione: non ha credenze in dèi o altri esseri magici o dinamiche soprannaturali e non provate (es. migrazione dell’anima in altre vite), non gli dedica riti né preghiere e non li usa per ‘spiegare’ ogni mistero; non adora né considera infallibili i suoi leader o i suoi metodi, né l’uomo, né sé stesso; non si serve di ministri di culto, di libri sacri, di battesimi, di edifici consacrati; dà alla sua etica origine terrena (e non riempie la persona di quei fare/non fare religiosi che con l’etica e la felicità non hanno a che vedere); non ha convinzioni incontestabili, non è al di sopra di critica, non vuole essere soltanto creduto, e non usa la fede come strumento di conoscenza.
Non religione, quindi, ma certamente una visione di vita fresca di grandi ideali positivi. Come tale, merita di uscire dalla lista dei cattivi per godere di fiducia e nuove opportunità, pari a quelle offerte a certe religioni in modo (troppo spesso) automatico.

~ ∞ ~

Detto questo, desidero buttarti lì delle dritte che trovo buone per prendersi cura di sé stessi. Alcuni spunti da me, allora. Non sono né tutti né sacri. Puoi raccogliere quelli che senti veri, e metterci del tuo! Sono fra i miei princìpi e modi di fare, ma te li offro come consigli: se desidererai farli tuoi e usarli, sia solo perché li senti giusti.
Ok: abbiamo visto che, in generale, è possibile essere persone fantastiche. Questo è importante da calcolare, perché spalanca dentro di te le porte del miglioramento. Poi:

In molti vorranno consigliarti. Diremo un mare di cazzate, e forse qualche cosa che ti risuonerà dentro. Ascolta tutti, decidi da te.
Nel giudicare, fai affidamento sulla tua capacità di pensare e sul tuo cuore libero, sono entrambi essenziali.
Direi che in generale è meglio evitare una posizione rigida, per lasciare spazio al miglioramento della tua ‘mappa’ della vita.

Le emozioni sono importanti: nel passeggiare verso il tuo benessere impara ad ascoltarti, ad ascoltare quelle altrui, soprattutto di chi ami, e a comunicarle, con cura, e in tempo. La sentirai come un’espressione d’amore…
Questa cosa da sola spesso risolve il difficile dello stare insieme, e se non risolve lo allevia. E in più, previene.

Abbi fiducia in te stesso/a. Sei una grande persona, con speciali qualità, magnifico talento!
È così, anche se c’è chi lo dirà solo perché vorrebbe da te qualcosa (stacci attento/a), e chi proverà a dire il contrario solo per il gusto di ferirti (fanno così quando non si sentono all’altezza). Potresti anche incontrare chi vorrà dirti con aria sicura chi sei o non sei, dove puoi o non puoi arrivare, cosa ti succederà ‘di sicuro’, come se leggesse il futuro. Frasi grosse, ma quanto vere? Sai, è molto facile sia darsi arie che inventarsi cose. Chi ha buone intenzioni cercherà le parole migliori per proporre e ispirare, non per imporsi o svilire.
È anche facile usare modi che colpiscono – Trucchi della Comunicazione – che parlando alla mente o al cuore vogliono avere un effetto profondo, anche via lontano dalla verità. Perciò sappi riconoscere i TdC e capirne il valore: se il resto è falso o sospetto, valgono come un gratta-e-vinci perdente.

Rispetta te stesso/a, rispetta gli altri, gli animali, la natura, le cose. Ne sarai felice.
Metti in ciò in cui credi passione smisurata, e trasformerai la tua realtà!
Ma non alterare la realtà pur di avere una passione smisurata.
Persegui ciò che senti giusto.

Punta alla felicità: scegli il tuo tipo preferito (ricorda solo che senza coscienza ed etica è meno profonda), trova la via migliore per arrivarci, persevera con entusiasmo, fino a raggiungerla! Realizza i tuoi sogni. Pochi sono quelli irraggiungibili. A questo proposito, sappi che ‘impossibile’ è una parola che alcuni pronunciano troppo in fretta.
Andando verso il futuro, non scordarti del presente, eh? È un viaggio, mica una corsa, quindi c’è spazio anche per pause, relax, dolci distrazioni, cambi di programma…

Spera in un domani radioso, però non limitarti a sperare. Il domani è nelle tue mani, mentre tutto il resto accade.
La vita non è sempre bella. Sii forte.

Se ami, ama senza paura. Amare espone al rischio di soffrire, eppure a volte vale la pena correrlo. Solo, fai in modo di capire quando… Amando, non scordarti di te stesso/a!

Non recare danno, finché puoi, e se devi, fanne solo quanto basta. (Ricorda che comunicare bene previene e spesso risolve).

E poi?
Pensa, gioca, emozionati! Divertiti in ciò che fai. Parla almeno un’altra lingua, avrai a disposizione molte più risorse… Impara dai successi e dagli errori (sgradevoli, ma una miniera d’oro di consigli, e di opportunità), anche non tuoi. Guarda le cose da più punti di vista, anche nuovi e creativi. Rompi pure le regole, se una volta conosciute le trovi poco efficaci, costrittive o sciocche… Non solo sarà un piacere liberatorio, ma ne nascerà del buono.

Comunica efficace.

Se tieni gli occhi aperti, in molte situazioni potrai scoprire o vivere qualcosa di eccezionale.
Creati un ambiente piacevole. Circondati di belle persone, un tesoro prezioso! Trova occasioni per ridere e sorridere…

Sii presente a te stesso/a. Nell’agire, fatti consapevole delle conseguenze. Ne sei responsabile. E guiderai la tua vita dove vuoi.
A volte i tuoi sforzi andranno in fumo. Correggi, ricomincia! Una delle cose belle dell’esistenza è che qualsiasi cosa sia successa, per quanto a lungo sia successa, il futuro può essere diverso.

Guarda il mondo intorno a te, la senti questa meraviglia che toglie il fiato? Ogni tanto respirala… godi di esistere… dimostra gratitudine… apprezza quello che hai (è un’immensa ricchezza, anche se ci sei abituato/a)… Coltiva la tua serenità.

Se qualcuno o qualcosa ti fa stare male, parlane con chi ha fiducia in te ed ha a cuore i tuoi pensieri e sentimenti anche se al momento non vedi soluzione. Vedrai che c’è, e la troverai.
Verifica le cose serie, e non fidarti di chi ti chiede di credergli alla cieca: se ha delle ragioni le mostri, se vuole il tuo bene lo dimostri.
La storia, l’arte, la vita pullulano di eroi… conoscili, ammirali, scegli i tuoi preferiti e lascia che il loro esempio e la loro storia ti ispirino, ma non costringerli ad essere perfetti, e non spegnere il tuo senso critico: cambia la tua classifica con coraggio, se occorre. Sappi inoltre che nessuno è nato maestro, che puoi superare qualsiasi di loro, e che c’è molto onore in un apprendista attento e poco in un maestro arrogante.
Nessuno può sostituirti, sii l’eroe di te stesso/a.

Credi nelle persone… in genere fanno del loro meglio, e possono sempre migliorare. Che poi succeda, però, non è scontato. Perciò sii generoso/a d’altre possibilità con chi per te lo merita, ma sii anche pronto/a a sottrarre questa fiducia a chi ne approfitta, a chi non si accorge di sbagliare nonostante tutto, e a chi chiede scusa anche 1001 volte ma poi non cambia. Le persone sono fantastiche, ma se agiscono male non dobbiamo per forza subire: in questo il rispetto reciproco è un’idea che aiuta molto, perché consente di trovare equilibrio fra l’importanza che gli altri meritano e quella che meriti tu.
Perché anche tu – stampatelo – meriti rispetto. Nes-su-no può imporre la sua idea, farti sentire male per averla rifiutata, oscurare le altre o impedirti di scegliere. A meno che non voglia offendere te e la tua intelligenza, e ostacolare la tua libertà a suo vantaggio. Il benessere è un uguale diritto di tutti.

~ ∞ ~

Bene, siamo alla fine della prima parte. Come stai?
Per tirare le somme:

1) Puoi dire che Dio esiste?
2) Che peso dai al metodo razionale per scoprire le cose?
3) Sarebbe giusto sentir parlare più spesso di Umanesimo?