Piccolo manuale di Umanesimo ateo

Il perché e il percome di una vita senza dèi.

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Intro
Prima parte / Un leggerissimo cambiamento
1. Allora, chi è Dio?
2. Quali prove abbiamo che esiste un dio?
3. Che bisogno c'è di credere?
4. Ma se Dio non c'è, come può l'uomo essere buono?
5. In cosa credere? Il cuore dell'Umanesimo
Seconda parte / Cosa dice la Chiesa
6. Perché ci battezzano?
7. A che serve la prima comunione?
8. Un dio così ci rende schiavi

9. Il male, il peccato, il sesso
Terza parte / Quello che la Chiesa non dice
10. Le bugie della Bibbia
11. Credenze cristiane tutte da verificare
12. I brutti esempi di chi predica il Bene
Help & Tips / I trucchi della comunicazione
Finale
Appendice A / I comandamenti: 10 …o 40?
Appendice B / Il peccato originale
Bibliografia

7. A che serve la prima comunione?

Di solito, verso la fine delle scuole elementari, tutti cominciano a parlare di ‘prima comunione’. A me fece un po’ strano, forse anche a te?
La prima comunione viene spesso presentata ai bambini come una grande festa, una festa che tutti i bambini fanno, una festa che è ‘normale’ fare…
In realtà, la prima comunione è un secondo contratto con la Chiesa cattolica (dopo quello del battesimo), per cui chi se la fa è come se dicesse: «Cari preti, sono di nuovo qua per dirvi che credo in questo Dio, tanto che desidero ‘unirmi’ con lui, entrare ‘in comunione’ con lui».
Nella fantasia avventurosa dei cristiani, infatti, ‘comunione’ significa entrare in contatto con Dio; con l’ingoiare l’ostia, i cristiani credono che Dio entri in noi e che in tal modo noi siamo purificati dai peccati di ieri e ‘vaccinati’ contro quelli di domani, e altre solenni amenità (Ccc 1391+).
Ovviamente, questo è solo ciò che ci vogliono far credere. Mai sentito niente mentre la succhiavi? Mai cambiato niente fra prima e dopo? Esatto, niente. La realtà è molto più semplice: l’ostia è farina. Dentro non c’è niente, nemmeno il sale, figuriamoci Dio.
Pensi che, se esistesse, Dio avrebbe bisogno di tutto questo festival per entrare in noi? Dio non è dappertutto?
E, ammesso che davvero entrasse in noi, perché poi questa unione, questa ‘vaccinazione’ non dura mai molto, e dopo un po’ c’è bisogno di nuove comunioni, di confessarsi eccetera? Cos’è, Dio è a scadenza? Forse nell’ostia non c’è molto dio, sennò l’effetto non durerebbe solo un po’, tipo spinaci di Braccio di Ferro. Ah, no! Nell’ostia c’è tutto Gesù Cristo… E se si spezza resta intero in ogni parte. Anche nelle briciole, da capo a piedi, capelli e unghie compresi. Yummi… divino! Ketchup?
Senza la comunione, diciamocelo, non cambia proprio nulla. Di questi strabilianti ‘effetti’ uno solo si manifesta chiaramente: essa, di nuovo, serve alla Chiesa per non perdere i fedeli per strada, a ricordare loro che fin da piccoli sono peccatori, a costruirci intorno la presenza di un dio… e a creare il finto bisogno del prete, per – come dire? – la dose quotidiana.

La prima comunione si fa intorno ai 9 anni, e la cresima (Confermazione) verso i 12. Già meglio: se il battesimo è un insulto alla libertà del neonato, a queste età è possibile una scelta che scelta sia. In teoria. La realtà ancora spesso è diversa.
Come dicevamo: negli anni che precedono questi due momenti, cioè dalla nascita e per tutto il tempo, è facile che quel/la giovane venga ben bene impanato/a nei precetti cristiani. In famiglia, persino nella scuola pubblica, in parrocchia per 3 anni di catechismo, si sorbisce un costante flusso di informazioni in cui alla sua curiosità si risponde con la bibbia. E torna il problema: se non si stimola in loro l’abilità del pensiero critico, rimpiazzandola con il dovere di abbandonarsi a una fede secondo una logica e una storia a suo preciso uso e consumo, se si instilla più o meno velatamente il senso di inferiorità a Dio e all’autorità, se non gli si offre l’opportunità di conoscere e confrontare una pluralità di opinioni senza sceglierne una per loro, e se ogni esperienza è incasellata nella dottrina prima che fatta giudicare dalla loro sensibilità etica, sarà vera scelta?
Spesso i credenti rispondono che sì, essi credono per liberissima scelta, e che la loro educazione, ci mancherebbe, non è stata per niente costrittiva. In molti casi sono certo che è vero, e a me fa molto piacere. Tuttavia mi chiedo sempre: fino a che punto? Va capito, perché solo dirlo è facile, l’indottrinamento trapassa quotidianamente momenti e situazioni d’ogni tipo e non è sempre visto come tale, e dopotutto, chi non è portato a idealizzare la propria infanzia e la sua educazione, precisamente quando non è stata ideale?
Poiché così accade nei rapporti basati su potere e dipendenza, e quello con il dio cristiano lo è per definizione, è facile capire perché si cominci dai bambini: sono vulnerabili, fiduciosi, curiosi, inesperti e sensibili, sì che una volta iniettato quest’impianto nel loro cuore, esso viene metabolizzato con facilità, e sarà molto più difficile scacciarlo via. E non perché questo o quel dio esista, semplicemente perché l’idea diventa un grumo di valori, schemi mentali, abitudini e doveri che circola dentro di noi a livello emotivo. Sarebbe difficile cambiare anche se avessimo subìto un lavaggio del cervello apertamente brutale e lo avessimo riconosciuto come un torto… a maggior ragione è difficile, persino solo accorgersene, dopo lunghi anni di condizionamento ‘dolce’, continuamente spacciato e giustificato come ‘il nostro bene’. Convinti di questo fin da piccoli, come potremmo liberarcene con facilità? Come, senza essere straziati dal dubbio, dalla paura o da un senso di cattiveria pazzesca?

Bada bene, non sto negando il diritto dei genitori di insegnare e promuovere ciò in cui loro stessi credono, ci mancherebbe. In ogni caso poi, non si può non influenzare. Ma un conto è questo, che è legittimo, altro è l’indottrinamento a una causa, con l’oscuramento delle altre, lezioni a senso unico e il costante obbligo morale a sottostarvi, guardati a vista, senza – e prima – di sviluppare nel bambino la reale capacità di scegliere, e scoraggiando la sua indipendenza di pensiero e di cuore attraverso una fede da credere. Indottrinamento! Io spero che siamo tutti d’accordo: sarebbe disonesto, doloroso, e micidiale per il futuro dei ragazzi. Vorremmo mai che qualcun altro glielo facesse?
Che piaccia o no, l’educazione a una fede – religiosa ma anche politica ecc. – corre questo rischio di continuo, laddove proprio non si faccia un punto d’onore di favorire libera scelta, maturità e onesta informazione.

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C’è anche da dire che a questa cerimonia religiosa segue in effetti una bella festa.
In classe, più o meno alla stessa età, molti compagni si vanno a fare questa prima comunione, e tu dopo vai alla loro festa, e ti diverti, e – coi tuoi 9 anni – ammiri i regali che ricevono, e scopri che chi si fa la prima comunione, poi alla festa sta al centro dell’attenzione, è il/la protagonista della serata, come fosse un matrimonio, forse meglio… Molto fico! E allora magari uno pensa: «Caspita! La voglio fare pure io la prima comunione!». Certo, si può capire… Si può capire eccome, ma… che c’entra la comunione? La comunione è una cosa di fede, di religione e tutto il resto. Il divertimento, gli amici, i doni, non c’entrano nulla!
Ci avevi mai pensato?

È vero, quella per la comunione è una festa speciale: è un evento. È come se si festeggiasse un momento importante della vita di qualcuno, tipo se uno vince un campionato, compie 18 anni o va a vivere da solo/a… Cioè, gli adulti in genere lo considerano un evento. E chi non crede in dio, e non ha voglia di farlo tanto per fare? Beh, di eventi ne abbiamo a bizzeffe nella vita!
Per dire: il fatto che siamo nati (che meraviglia!), che diventiamo grandi, che iniziamo o finiamo una scuola. Festeggiamo l’amicizia, la primavera, la vita stessa! In realtà, quello che vuoi. Quello che tu, la tua famiglia, i tuoi migliori amici sentite importante. C’è sempre un buon motivo per festeggiare, non occorre aspettare una ricorrenza religiosa!
Ad esempio, una coppia che conosco ha avuto un bimbo, e ha organizzato un incontro con gli amici più cari per celebrare il suo arrivo in famiglia. Hanno pranzato insieme, e nel pomeriggio hanno potuto fare molte coccole al nuovo arrivato: volevano dirgli «Ehi, ciao! Ti vogliamo bene, benvenuto!». Che cerimonia fantastica!
Scegli un motivo che sia importante per te, e festeggialo con la giusta solennità…
Può sembrare strano, ma a pensarci non lo è: è insolito (sappi che molte persone, fra gli umanisti non credenti di molte nazioni, usano già festeggiare in questo modo). Ed è tuo.
Magari all’inizio ti ci vorrà del coraggio, per vedere come reagiscono i tuoi e i tuoi amici, ma chi ti è vicino ti capisce e accetta le tue scelte. La tua decisione, la tua voglia, convincerà tutti. E non ti preoccupare di dover spiegare perché non segui certi riti: dì semplicemente la verità, che essere cattolici non è obbligatorio, che hai altre idee, che ci sono altre importanti occasioni da festeggiare, e che questo è il tuo parere. Se qualcuno insiste, chiedigli di rispettare le tue intenzioni così come tu rispetti le loro. Se capiranno, bene; se non capiranno… ma… stanno dalla tua parte?

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Ah: gli atei non credono nei santi (i quali devono aver fatto almeno un paio di miracoli… da morti! Di essi peraltro pure la vita è spesso bell’e romanzata), quindi possono evitare di ricordare il santo che corrisponde al proprio nome. Certo, se la nonna vuole proprio farci un regalo…
E… il Natale? Beh, chi ci vieta di festeggiarlo anche noi? Io ad esempio, che sono ateo, lo festeggio eccome! Certo, con uno spirito tutto naturale: per me le grandi ricorrenze cristiane sono formalità, coincidenti a festività antiche e precedenti il cristianesimo (a fine dicembre si festeggiava il Sole e la rinascita della Terra dopo la notte più lunga dell’anno, a marzo l’arrivo della primavera e con essa il nuovo raccolto), e non vado a messa. Il resto è valido per me come per i credenti: ci tengo che ci siano momenti speciali, nell’anno, in cui fare doni, riunirsi e dirsi quanto ci si vuole bene. È un mio desiderio! Decoro la casa, mi vedo con amici e parenti, cerco il regalo giusto, mi godo l’aria di festa e di bontà… e non ci appiccico alcun motivo religioso: lo spirito rosso del Natale è ciò che mi interessa.

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Un’ultima cosa, che quasi scordavo di dirti: se decidi di essere ateo/a, puoi sempre seguire le tradizioni e i costumi di una religione, quale che sia il motivo. Tieni conto di questo: lo si può fare per gentilezza e rispetto, da osservatori esterni. Invece, fingere di credere è degradante per le tue idee. Ora, in situazioni minori ok, si può anche lasciar perdere, ma in quelle per te di grande valore meglio di no: in genere ci rende felici pochissimo.
Liberati da questo dovere, dovere non è. Se vuoi vivere come credi tu (e questo sì che appaga), bisogna che impari a sostenere le tue idee e che tu le difenda, quando è importante, anche a costo di rimetterci qualcosa sul momento.
Ricorda: minimo le tue idee hanno la stessa dignità e importanza di quelle altrui, anche se più comuni o religiose. E meritano il massimo rispetto: da parte tua, poi, che ne sei il/la sostenitore/trice, soprattutto.