Piccolo manuale di Umanesimo ateo

Il perché e il percome di una vita senza dèi.

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Intro
Prima parte / Un leggerissimo cambiamento
1. Allora, chi è Dio?
2. Quali prove abbiamo che esiste un dio?
3. Che bisogno c'è di credere?
4. Ma se Dio non c'è, come può l'uomo essere buono?
5. In cosa credere? Il cuore dell'Umanesimo
Seconda parte / Cosa dice la Chiesa
6. Perché ci battezzano?
7. A che serve la prima comunione?
8. Un dio così ci rende schiavi

9. Il male, il peccato, il sesso
Terza parte / Quello che la Chiesa non dice
10. Le bugie della Bibbia
11. Credenze cristiane tutte da verificare
12. I brutti esempi di chi predica il Bene
Help & Tips / I trucchi della comunicazione
Finale
Appendice A / I comandamenti: 10 …o 40?
Appendice B / Il peccato originale
Bibliografia

Help & Tips

Consigli per non farsi raggirare

L’opinione di uno può essere vera o meno, chisseneimporta. È importante per te solo quando ha una conseguenza su di te, o su chi ti sta a cuore. A quel punto, meglio sai giudicarla, migliore sarà la tua decisione su cosa fare.

I Trucchi della Comunicazione

Ora, nel comunicare si usano le parole, giusto? Sì. Solo quelle? A-ah, no! La comunicazione è fatta di altre componenti: significative, efficaci, ma non chiare e palesi come le parole. Il tono di voce e i movimenti del corpo ne sono un esempio facile: mai visto un mimo? Mai ascoltato la voce sintetica di un vecchio software che legge un testo? Nel primo caso è solo il corpo a parlare; nel secondo le frasi non hanno alcuna variazione espressiva, e quindi risultano impersonali, fredde, vuote. L’estetica è un altro fattore di comunicazione.
Quando sono coerenti con le parole che pronunciamo le spiegano meglio e aggiungono, come dire, un po’ di pepe al discorso. Se non lo sono, il loro diverso e stridente significato si aggiunge comunque al messaggio, il cui senso completo cambia, e si fa più impegnativo da decodificare consciamente.
L’importanza del linguaggio non verbale e paraverbale, ma anche di altri elementi caratteristici, è anche maggiore di quella delle semplici parole, per 2 motivi ugualmente validi: essi definiscono e completano la natura del messaggio parlato, eppure in genere sono tremendamente sottovalutati. Essendo parte della comunicazione, è possibile individuarli, separarli e comprenderli. Qual è il problema, allora? È che spesso e per molti sono ancora un mistero. Parlando o ascoltando, ne ignoriamo l’esistenza. Perciò ci influenzano – nel bene e nel male – passando sotto la soglia di attenzione, e finiscono per condizionare reazioni, risposte, decisioni e la stessa relazione in corso.

In questo ambito, di elementi non secondari ce ne sono diversi, li usiamo tutti per dare un verso alle parole, e in genere con ottime intenzioni. Ma usati in modo scorretto possono ad esempio servire a insabbiare una verità, a dire una cosa e il contrario, a colpire sembrando innocenti, a mascherare una proposta sconveniente con della finta grazia, mescolando segnali contrastanti in uno solo.
Chiamiamoli ‘Trucchi della Comunicazione’. Chi usa i TdC in questo modo vuole ferirci o farci fessi, e se anche non è lo scopo… spesso ne è comunque il risultato.
Come in un abile gioco di specchi, i TdC fanno sembrare serio, importante o ‘logico’ uno sfondone pazzesco, perché all’informazione principale, quella che dovrebbe essere semplicemente com’è, si accostano modi e contenuti a causa dei quali il senso del discorso cambia, si fa diverso, doppio, o più complesso. Sono efficaci, quindi, e potenzialmente determinanti nella creazione di una reazione predeterminata, con il destinatario che resta con l’impressione di aver capito e scelto, o quella di essere stato giocato ma non sa perché. Per prima cosa è meglio, dunque, molto meglio saperli riconoscere. A maggior ragione oggi poi che la comunicazione riempie la nostra giornata molto più che in passato, attraverso i media e internet; oggi che il marketing sociale di politica, religione e altre lobby ci investe con regolarità e preme per ottenere attenzione, consenso e denaro da ognuno di noi. Portando alla nostra attenzione tutto ciò che il messaggio vorrebbe dirci, possiamo capire in maniera più precisa le reali intenzioni di chi ci parla, consce o inconsce, e modulare una risposta migliore. Non saremo mai ricevitori passivi che è facile accontentare, ma uditori critici e non manipolabili, pronti a farsi ascoltare a loro volta.

Ecco alcuni TdC, senza particolare ordine:

* La simpatia, lo charme, il carisma, la convinzione, la risolutezza, l’entusiasmo, la passione, la commozione di chi parla: coinvolgono, certo, ma non dicono niente sulla verità dei fatti. Ad esempio, nel Piccolo manuale ci sono molte espressioni divertenti. Senza quelle, il ragionamento regge ancora?
* Anche l’atmosfera (lo sfarzo di una cattedrale, il misticismo di una chiesetta, musica alta e cori, una folla di persone, …) e altri ‘effetti speciali’ attraggono e… distraggono.
* La ripetizione di uno stesso concetto lo rafforza ma… solo apparentemente.
* Bugie! Pure e semplici… Le affermazioni che si ascoltano vanno controllate, e anche quando sono in forma di ‘prova’.
* Il tono falsamente dolce e accogliente: «Per il tuo bene, cara, tu resti in castigo tutta la settimana!».
* Affermare senza sostenere, accusare ma non spiegare. “È tutto sbagliato, è una sciocchezza, è fazioso e ridicolo, è falso e inventato” sono semplici affermazioni: quali sono gli argomenti? Le prove quando arrivano? Come diceva la mia prof di matematica: se ‘sì’, perché? Se ‘no’, perché?
* Rafforzare una brutta credenza generale su sé stessi a causa di un singolo fatto (o di una breve serie di fatti) giudicati per eccesso, come se non fosse possibile in assoluto fare o essere diversamente: «E ti pareva, non ci riuscirò mai!», «Ancora un 4. In matematica sarò sempre una capra», «Sei una continua delusione…», «Alzati, sei la solita pigra!», «Sono un fallito», «Buona a nulla», «È timida», «Tanto non ce la farò», «Nessuno mi amerà mai», «Sono una stupida», «Sei cattivo». Giudizi infami, perché falsi ma potenti, capaci di spezzarci dentro. La cosa più drammatica è che alla lunga possono diventare credenze disfunzionali e profezie che si auto-avverano: se prendiamo a credere di essere così, perché ce lo hanno e ce lo siamo ripetuto in continuazione, tenderemo inconsciamente a provocare noi stessi le condizioni che ce lo riconfermeranno. Magari tutta la vita.
Ridimensionare il giudizio, ecco cosa serve. Non minimizzare ma nemmeno sopravvalutare. Non «che sciocco che sono», ma «che sciocchezza che ho fatto». Più che sufficiente, realistico e motivante, no? Hai notato, certe parole fanno scena ma spesso dicono poco: mai, sempre, tutti, nessuno…
* “Quindi, ovviamente, non c’è dubbio, naturalmente allora, segno evidente di, è chiaro che, ne consegue che…” Sono espressioni che preannunciano una conclusione del tutto logica del discorso, quindi possono essere usate per dare l’impressione che lo sia. «Il furto è avvenuto a mezzanotte, dunque è lampante che evidentemente è stato Dino, naturale!». Prove?
* Buttarla sul ridere, cambiare discorso, minimizzare, far prediche, alzare gli occhi al cielo, ironizzare, ridicolizzare: sembrano niente, ma spesso scoraggiano, ci fanno sentire incompresi, mettono un freno alla voglia di chiarirsi e conoscersi.
* Il ricatto, che spesso è buttato lì come fosse niente, con un sorrisetto, ma è un ordine che non dà scampo. «Lava i piatti o ti scordi della festa, figliolo».
* Double-speak: traduciamolo in parlare con lingua biforcuta. Si fa double-speak quando si usa un’espressione più soft in luogo di un’altra ritenuta rude o sconveniente, per scopi poco seri che si intende nascondere. A volte usiamo veri sinonimi per buone ragioni (es. ‘persona di colore’ invece di ‘negro’). In altri casi però si usano alternative per far passare idee sul serio inaccettabili, motivazioni e fini di facciata, eufemismi o termini gergali come vere e proprie maschere per distorcere i significati. Ed ecco che il politicamente corretto diventa ipocrisia, e la discrezione si fa inganno da propaganda. «Religione cattolica a scuola come momento di riflessione sulla vita e i valori, e in quanto cultura italiana». Ma conoscere la religione è un conto, impartire precetti un altro: alla faccia di tutte le altre religioni e di una seria, completa riflessione sulla vita. Coltura, non cultura. La realtà che si vuole nascondere è quella di un catechismo cattolico infiltrato nella scuola pubblica e laica, senza alternative e fin dall’infanzia. Detto così, però, suona male…
* Senso inverso: semplice e… assurdo, ma talvolta assai efficace. È la forma estrema di double-speak: consiste nel definire un concetto con un altro dal significato opposto. Ad esempio chiamando ‘libertà’ la sottomissione a dio, ‘felicità’ l’afflizione, ‘conoscere’ il credere, e ‘Umanesimo’ ciò che invece è teocrazia, la quale ne è appunto proprio il contrario. Ciò genera confusione di senso e rovesciamento della realtà, uno stato davvero pericoloso per chi ci affonda.
* Abilità retorica: attenzione! Comunicare bene è estremamente importante, e tutti dovremmo migliorare un po’ la nostra abilità retorica perché il nostro messaggio sia chiaro e la capacità di argomentare vincente. Ma è anche vero che non basta essere un grande oratore, né usare termini tecnici, ricercati e altisonanti, se poi i contenuti mancano o le ragioni della nostra tesi da sole non stanno in piedi. Anzi, di fronte a un bravo istrione, può essere facile capire meno o lasciarsi accalappiare dalla sola sensazione di ‘professionalità’.
* Giocare con le emozioni: mettere in discussione l’amore e il rispetto di base («Vergognati, è questa è la figlia che ho cresciuto?»), far dipendere la stima di sé dal soddisfare pretese altrui («Niente piercing, sei o non sei un bravo ragazzo!»), suscitare senso di colpa («Farai venire di nuovo il mal di cuore a tua madre!»)… Sebbene il messaggio principale riguardi chiaramente una certa situazione particolare, questo tipo di affermazioni ci ferisce il cuore. Di fronte ad esse spesso il discorso si chiude, non sappiamo perché ma gliela diamo vinta. È perché ci sentiamo moralmente ricattati: per non meritare quel titolo ingiusto, ci abbassiamo ad accontentare chi ce lo ha dato, sperando di dimostrargli/le l’errore e che torni ad apprezzarci come siamo (cosa che spesso non avviene. Chi è uso a tali coltelli, dovrebbe innanzitutto arrivare a riconoscerli come tali. Un viaggio nella propria coscienza lungo e faticoso).
* … (Ne hai scoperto uno? Aggiungilo!)

Nel Piccolo manuale abbiamo anche incontrato:

* Trappole mentali. Sono affermazioni dall’apparenza logica e certa, ma false e fantasiose, che hanno un particolare effetto schiacciante sulle emozioni e sull’opinione di sé. Usate in qualsiasi ambiente, nel cristianesimo suonano così: “Senza Dio è il caos, siamo tutti peccatori, la morte del Figlio è l’amore del Padre (!); l’uomo tende naturalmente a Dio (ergo, non credere è innaturale); peccando ferisci Gesù (?); se non vedi Satana lo fai vincere; non è Dio che non ti ascolta ma tu che non hai abbastanza fede, Dio ti osserva e giudica; Gesù è il buon Signore e tu gli obbedirai; …”. Come ci si può sentire rispetto a queste frasi? Dargli peso ci chiude all’angolo: più si pensano più turbano, se ci crediamo diventano pietre nel nostro cuore, e a dubitarne ci sentiamo indegni, soli e perduti nel buio. Ma sono false, e questo è il punto: o vengono provate, o non hanno alcun senso reale. Smettiamo di dargli forza col nostro stesso panico. Può aiutare sai cosa? Metterle in forma di domanda: «Davvero senza Dio è il caos? Davvero sono un peccatore?». E ora rispondi.
Un altro modo per non farcene infettare – come un pensiero fisso che ci lascia senza parole – è definirle. Farle uscire da noi, guardarle, e giudicarle lì davanti per cosa veramente sono. Definire una cosa mette distanza fra questa e noi, ci aiuta a capirla e a passare oltre. Possiamo cominciare dicendo anche solo: «Puttanate». «Balle!». O facendo dell'ironia: «“la Legge di Dio è scritta nei cuori di tutti"? E si vede che con me aveva finito l'inchiostro». È poi essenziale tirare fuori i motivi per cui lo pensiamo: «“Se siamo onesti con noi stessi, sappiamo di essere colpevoli". Uhm... Che significa? Colpevoli di cosa? Colpevoli quanto? Perché questa parola così pesante? E perché – se siamo onesti – non consideriamo anche che siamo buoni e in gamba tante volte, e anche di più? Ogni giorno cerco di fare bene e se sbaglio mi correggo, questo non è essere ‘colpevole’».
Una volta imparato a farlo, le trappole mentali smetteranno di essere trappole. E potremmo persino desiderare, nel discutere con chi ne fa uso, di controbattere per faglielo notare. In questo caso, tieni conto che spesso esordire duramente o con sarcasmo non è molto efficace, perché l'altro/a può vederla, non a torto, come un assalto personale. Che siano «Tutte sciocchezze!» lo potrà capire da sé e solo se gli arriva il tuo ragionamento, quindi dopo, come conseguenza. La tua risposta sia densa, sintetica, specifica, di qualità:
– «Dobbiamo riconoscere di meritare l'Inferno, perché Dio è infinitamente santo, dunque il peccato è un offesa infinita». – «No. Intanto, per favore, prima di minacciare l’Inferno provami che esiste, che Dio esiste, che sia infinitamente santo. Poi: la gravità dipende dal contesto, dalla natura e dalle ragioni dell'offesa, o vogliamo considerarle tutte uguali? E come può un essere tanto santo sentirsi così offeso, e pretendere una infinita riparazione, e nel dolore? Semmai, proprio perché tanto superiore, qualsiasi offesa sarà per lui una sciocchezza, no? Forse che – al rovescio – l'offesa all'uomo di Dio non varrebbe nulla? E, lasciamelo dire: che il peccato sia un’offesa a Dio può interessare solo a chi ci crede. Se una cosa è sbagliata non lo è certo perché offende dio, ma perché fa danni. Perciò pentirsi e chiedere perdono a dio non basta, non cancella nulla, non serve che a soddisfare l’ego di dio. Per riparare occorre provvedere al danno e alle eventuali vittime, o pagare per esso».
– «Il tuo cuore è duro e non vuoi sottometterti alla Verità». – «Come ti permetti di dire che il mio cuore è duro? Ancora non mi conosci, non mi hai capito? Il mio cuore è aperto, sei tu che non mi hai dimostrato nulla. La chiami Verità ma non sai provarla. E infatti pensi che ci si debba soltanto ‘sottomettere' ad essa. Se tu lo hai fatto, a mio parere sei tu che hai il cuore troppo molle. E ti giustifichi con arroganza accusando me, gli atei, chi crede in altro, e tutti quelli che non la pensano come te riguardo a ciò che tu credi essere la verità. Eppure, facendo questo, dimostri e confermi proprio ciò che gli atei ritengono un difetto del pensare religioso: che esso possa favorire presunzione, vanità, fanatismo, intolleranza e – di base – cecità emotiva».
Se dopo qualche scambio persiste e ti sembra come di parlare al muro, considera un successo il fatto di avergli potuto dare alcuni spunti di riflessione: c'è la possibilità che ne faccia uso in futuro, e questo è bene. Quanto però al momento attuale, taglia pure corto e fagli/falle notare perché:
– «Proprio in quanto creatura, l'uomo ha il dovere di obbedire al suo Creatore!». – «Che siamo ‘creature', dimostramelo. E anche fosse, non è detto che la creatura abbia il dovere di obbedire. Lo ha se il creatore lo pretende. Invece potrebbe averla fatta per lasciarla libera di essere. Sai, se parti da preconcetti che confermano la tua idea è ovvio che ci riesci, ma sempre un errore è. E il nostro dialogo non andrà lontano.»
* Finte equivalenze. Tipo: Dio=Amore=Dio. Così se si esalta una cosa bella e umana (come l’amore), anche l’altra di rimbalzo ci fa bella figura. Fino a prenderne il posto.
* Doppio standard. Uno stesso tema si giudica una volta in un modo, una volta in un altro, ma entrambi i giudizi sarebbero veri, a turno o… persino contemporaneamente. 2 pesi e 2 misure.
Ne è piena quella fede che chiama la verità Dio (v. equivalenze), ma se costretta a scegliere butta a mare la verità. Sostiene infatti che: Dio è (cosìcosà)/Dio è inconoscibile, la ragione giunge a Dio/Dio non ha bisogno di provare sé stesso, Dio è vicinissimo/è trascendente, Dio è uno/è tre, Gesù è Dio/è uomo, Gesù è morto per noi/è vivo con noi, Gesù ci ha salvati/siamo tutti peccatori, la Salvezza è dono/va meritata, basta la fede in Cristo/è necessario essere cattolici, se fai cose cattive hai sbagliato tu/le buone te le ha ispirate Dio, questo è Dio che dona/Satana che tenta, quest’altro è Satana che mette paura/Dio che mette alla prova, bisogna amare tutti/gli atei vanno fermati, la Bibbia è l’esatta e perfetta parola di Dio/è scritta da uomini erranti, la Bibbia descrive il reale/è metafora, la preghiera funziona/grazie dottore, il Papa capo religioso/capo di Stato estero, la Verità divina è immutabile/va interpretata e precisata nel tempo… Seee. Quando riconosci questo trucco, metti in evidenza che si stanno usando 2 metri di giudizio per la stessa cosa, chiedi perché, e vedi se la spiegazione ha senso o fa senso.
* Pregiudizi, cioè giudizi ripetuti senza prima alcuna verifica. Non per forza sono sbagliati, ma se ci si azzecca lo si fa per caso, appunto perché non si è verificato. Spesso il pregiudizio riguarda intere classi di persone, e non è raro che serva a difesa rigida e più o meno cieca di altre idee: le sue conseguenze quindi sono ad alto rischio. Nel caso della religione, ecco esempi: Gesù è buono e Dio fa solo bene, gli atei sono malvagi, arroganti e infelici. Anche agli atei capita: ‘i cristiani’ sono stupidi, ‘i musulmani’ sono fanatici. Puoi capire come queste idee non solo siano false (troppo generiche!), ma come possano condurre a scelte personali e sociali sconsiderate, fino ad azioni drammaticamente violente.
* Errori nella logica di ragionamento. Sono errori che ne rendono sbagliate le conclusioni. Ne conosciamo una lunga lista eppure sono ancora usati da molti, nel discutere. Non per stupidità, e spesso nemmeno con malizia, ma per ignoranza di essi e inconsapevolmente. La cosa simpatica è che in questo caso chi li usa è perfettamente convinto/a di aver usato una logica d’acciaio. È spesso da qui che nasce l’idea che la ragione sostenga la fede.
Abbiamo già visto: lo spaventapasseri (estremizzare o fare una caricatura di una cosa, e criticare questa invece che la cosa come è), il pendio scivoloso (esasperare inverosimilmente le possibili conseguenze future di una cosa, per criticarla ora), la razionalizzazione (improvvisare apposite ragioni e soluzioni inverificabili per un caso specifico [ad hoc], pur di salvaguardare una posizione indifendibile) e la ricompensa personale (un fatto è vero semplicemente perché ci si guadagna bene o ci si salva da tormenti e sanzioni). La mezza verità (fatti e osservazioni, ma solo quelle utili alla causa), la contraddizione interna, il pensare per cliché (per stereotipi, pregiudizi), lo spostare la bandierina (ricevuta buona risposta si rilancia cambiando domanda, glissando sulla confutazione precedente senza ammettere il torto o, almeno, discuterla. Se poi l’altro non fa pesare l’errore e dopo un po’ lascia il gioco, il primo annuncia vittoria).
Usati spesso sono anche l’attacco personale (accuse e insulti alla persona) e il ricorso all’autorità («L’ha detto mia madre/l’esperto/il Papa, è antica tradizione/è moderno e attuale…»). Errori quando evitano il cuore del discorso: l’argomento e le sue ragioni.
Onere della prova: «Dio esiste, e Sirio è un ologramma, ora provate voi che mi sbaglio, ahahahah!». È chi asserisce una cosa che ha il dovere di provarla, a meno che non voglia che resti campata in aria.
I ‘dunque’ di una fede sono non di rado dei non sequitur, espressione latina per dire che, quando si afferma che da una cosa ne consegue un’altra, in realtà non segue affatto, o non necessariamente.
Un altro classico è il ricorso alla premessa: «Dio esiste perché lo dice la Bibbia, e la Bibbia è la parola di Dio». «La Creazione stessa è prova di un Creatore». «Dio è buono in quanto è Dio, e Dio è buono». Ragionamenti circolari, in cui per provare vero X si usa un ragionamento che già presuppone vero X. La premessa sostiene la conclusione che però sostiene la premessa: ciascuna affermazione vorrebbe sorreggere l’altra, ma chi sorregge loro?
* …

Errori di logica? No paura! Come al solito, se non sappiamo fare, possiamo imparare. In Rete trovi guide complete con spiegazioni, esempi e risposte adeguate.

I TdC sono nascosti, dicevamo. Sono l’arma che sostituisce le armi, la violenza diretta e l’oppressione aperta, che oggi nei paesi democratici non sono più possibili. Ma gli scopi di chi ha interesse nel dominio e nello sfruttamento – per i più vari motivi e ad ogni livello di comando – sono spesso ancora gli stessi. Allora oggi la guerra si fa con la (cattiva) comunicazione. Essa permette di dirigere la mente, confondere il cuore, intorpidire la coscienza, piegare la volontà. Manipolare la verità, spostare consensi, fingere di informare, tenere all’oscuro di obiettivi disonorevoli, pubblicizzare il peggio, distrarre dal giusto, apparire caritatevoli, accogliere e in realtà evadere le proteste, limitare le aspirazioni e il raggio d’azione, rallentare l’indipendenza e la maturazione di una singola persona o di un intero popolo. Un’arma dialettica che invece di colpire il corpo per convincere la mente mira direttamente ad essa, e la fa sua. Per questo non si vede, ma c’è.
E il danno che produce è peggiore, perché non provoca ferite esteriori, ma fa piangere; non mostra la cattiveria, la fa vivere; non costruisce prigioni, le fa costruire a noi e non costringe a entrare, ci spinge a credere che sono case, la vita, la felicità. È la normalizzazione del caos.
In questo sta la forza dei TdC: stare in ombra, sconosciuti, non capiti, sottili, usati senza saperlo o senza badarci o intenzionalmente, sottintesi, ingannatori e feroci… Sembrano comunicare e invece vogliono persuadere, incantare, condizionare, imporre. Tecniche efficaci, quindi, se riescono a far accettare brutte idee senza nemmeno alzare un po’ di polvere, persino facendo figurare chi le offre come un tenero e saggio babysitter. Ma questo, finché non si scoprono. Riconoscerli è stupendo: perdono il 100% della forza, e i potenziali effetti su di noi vanno in fumo all’istante. Cade la maschera, l’attore è nudo. E ci deve delle spiegazioni.

Divertiti allora a riconoscerli, facendo attenzione a cosa ti viene detto e come. Un po’ di pratica ti aiuterà a farla diventare una sana abitudine.
A quel punto se vuoi puoi informare chi li ha appena usati. A volte chi lo fa è un tipo corretto che non ne immagina l’importanza. Allora ottimo: evidenziato e chiarito insieme l’errore, l’atteggiamento di chi è in buona fede cambierà in uno meno sadico, e il vostro rapporto ne uscirà persino più forte. Se invece il messaggio resta uguale o avverti anche più resistenza, sospetta cattive intenzioni e – come minimo – una certa insensibilità. Tieni conto che chi lo fa apposta in genere da quell’orecchio ci sente poco, e magari si crede pure nel giusto perché non ci ha preso a schiaffoni, anzi ha provato a farci ‘ragionare’. Con tipi così, parlarne potrebbe essere una perdita di tempo. Sganciati, o ripeti una sola frase che evidenzi il difetto e le tue esigenze: «Scusa Giovanni, stai di nuovo minimizzando. Questo però per me è importante, ti dispiace tenerne conto per favore?».

Occhio ai significati nascosti, attento/a ai messaggi dai significati impliciti. Se ne scopri pensa: perché questa persona usa dei TdC? Con chi ho a che fare?

Come capire se un TdC è di quelli brutti? Sentire se la propria serenità diminuisce è un ottimo campanello di allarme. La verifica principale infatti è: sei a tuo agio? In un rapporto si esprimono sentimenti, desideri, bisogni: i tuoi sentimenti sono ascoltati? I desideri sono considerati? I bisogni esauditi? E ancora: hai tu l’ultima parola su quello che pensi e fai? Puoi fare liberamente domande? Ti vengono date risposte? Le risposte ti soddisfano? Puoi tranquillamente essere in disaccordo? Hai diritto di voto nelle questioni che riguardano anche te? Ti senti rispettato/a? E gli altri? Si può parlare di ogni aspetto della questione? Si incoraggia la discussione e la ricerca di soluzioni che vadano bene a tutti? Gli accordi casomai possono essere cambiati? Nel caso una certa cosa non possa andare diversamente, puoi esprimere la tua irritazione o dispiacere? E chi ti parla, accetta la tua reazione ed è davvero amareggiato/a di non poterti venire incontro?
In altre parole, c’è vero rispetto reciproco?
Capita che qualcuno dica di farlo ‘per il tuo bene’… e può essere. Dunque chiediti: ha capito bene qual è il mio bene? Per caso invece soddisfa una sua necessità o un suo interesse (es. tranquillità, piacere, superiorità, prepotenza, …)? È abituato a un modello sbagliato, è un problema suo? Cosa ci guadagna se accetto? Cosa perdo o rischio io? Se la risposta è proprio ‘niente’, allora in genere è davvero per il tuo bene. …Ancora una volta: ti senti ben bene? Perché questo è lo scopo finale: che tutti si sentano bene!

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Un discorso a parte facciamo per la prepotenza chiara: una sculacciata, uno strattone, un’occhiataccia, un ordine, un giudizio troppo severo, un tono villano, uno strillo, una cattiveria… Uno li guarda e non sbaglia, dice «Uè, ma è violenza!». Sì, e non va bene lo stesso.